Il 12 febbraio l’aula del Senato ha approvato la richiesta, avanzata dal Tribunale dei ministri di Catania, di autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti di Matteo Salvini per il reato di sequestro di persona, nell’ambito del caso Gregoretti del luglio 2019.
A differenza che per il caso Diciotti, molto simile, Salvini non è insomma stato tenuto al riparo dall’indagine della magistratura e dovrà ora affrontare il processo penale. Ma quali sono i limiti dell’immunità di cui godono i ministri? E come funziona per i parlamentari? E per il presidente della Repubblica? Andiamo a vedere i dettagli.
L’immunità dei ministri ed ex ministri
Il presidente del Consiglio e i ministri, in base all’articolo 96 della Costituzione, «sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati».
Godono quindi di una “immunità relativa”, cioè parziale, in base alla quale gli è comunque garantita una tutela rafforzata rispetto a quella prevista per i comuni cittadini: se il reato è stato commesso nell’esercizio delle loro funzioni (non si tratta quindi di “reati comuni”, slegati dalla funzione ministeriale: ad esempio un ministro che trova la moglie a letto con l’amante e li uccide entrambi), il Senato può decidere se dare o meno l’autorizzazione ai giudici a procedere.
Se l’indagine della magistratura è successiva alla cessazione dalla carica, ma riguarda fatti accaduti durante questa, anche gli ex ministri e gli ex presidenti del Consiglio sono coperti dall’immunità.
Questa facoltà del Senato è disciplinata dalla legge costituzionale n.1 del 1989. In base a questa il Tribunale dei ministri, una sezione specializzata del tribunale ordinario composta da tre magistrati estratti a sorte che è presente in ogni Corte d’Appello, avanza la sua richiesta di autorizzazione a procedere in giudizio alla camera competente (quella di appartenenza o, nel caso in cui il presidente del Consiglio o il ministro non siano anche parlamentari, il Senato). Questa analizza la richiesta prima nella propria Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, che redige una relazione per chiedere all’aula di dare o meno l’autorizzazione, poi nell’aula con un voto finale che definisce la questione.
Inoltre, sempre in base alla legge costituzionale n.1 del 1989 (art. 10), nei procedimenti disciplinati dall’art. 96 della Costituzione il presidente del Consiglio e i ministri non possono essere sottoposti a misure limitative della libertà personale, a intercettazioni telefoniche, sequestro della corrispondenza o perquisizioni «senza l'autorizzazione della Camera competente (...) salvo che siano colti nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura».
L’immunità parlamentare
I parlamentari, in base all’articolo 68 della Costituzione, godono dell’immunità per quanto riguarda le «opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Possono insomma, nell’esercizio delle loro funzioni, esprimere opinioni che configurano un reato (ad esempio ingiuria o diffamazione) senza doverne rispondere.
Inoltre non possono subire perquisizioni domiciliari o personali, non possono essere arrestati o altrimenti privati della libertà personale, mantenuti in detenzione e intercettati senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. L’arresto non deve essere autorizzato solo se arriva in conseguenza di una sentenza irrevocabile di condanna o se avviene in flagranza di reato (cioè quando si viene colti “con le mani nel sacco”).
A differenza che per i ministri e per il presidente del Consiglio, questa tutela rafforzata dei parlamentari nei confronti delle indagini e dei provvedimenti della magistratura non è limitata ai reati funzionali: i giudici ad esempio non possono intercettare senza autorizzazione un parlamentare, anche se temono che sia coinvolto in un traffico internazionale di droga che nulla ha a che vedere con la sua funzione.
L’immunità del presidente della Repubblica
Il presidente della Repubblica gode della forma più forte di immunità prevista dall’ordinamento italiano. In base all’articolo 90 della Costituzione, infatti, il presidente della Repubblica «non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione».
A differenza dell’immunità parlamentare, quella del presidente della Repubblica copre non solo i voti e le opinioni, ma tutti gli “atti” compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.
A differenza dell’immunità dei ministri e del presidente del Consiglio, poi, non è nemmeno prevista la possibilità che il Parlamento possa autorizzare i giudici a procedere contro il Quirinale. Sempre, è bene sottolinearlo, per reati funzionali. Quelli extra-funzionali, secondo la giurisprudenza costituzionale (che pure ammette non sia sempre facile operare la distinzione), non sono coperti da immunità.
Le uniche eccezioni a questa irresponsabilità sono due reati gravissimi: l’alto tradimento e l’attentato alla Costituzione. Il contenuto di questi reati non è particolarmente definito, anche perché in concreto non è mai successo che un presidente della Repubblica venisse accusato di averli commessi. A livello teorico si tratta comunque di gravissimi casi di infedeltà del Capo dello Stato rispetto ai valori, ai comportamenti e alle istituzioni costituzionali.
Il presidente della Repubblica viene messo in stato di accusa, per questi reati, dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi componenti (art. 90 co.2 cost.), e viene poi giudicato (art. 134 cost.) dalla Corte Costituzionale.
Conclusione
L’ordinamento italiano prevede diversi tipi di immunità. I ministri e il presidente del Consiglio godono dell’immunità più blanda: per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni possono essere processati solo se lo autorizza il Parlamento e, nelle indagini relative, non possono subire arresti, perquisizioni o intercettazioni senza autorizzazione parlamentare.
I parlamentari godono di un’immunità più ampia: non possono essere perseguiti per le opinioni e i voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni, in nessun caso, non ci sono di mezzo autorizzazioni insomma. Non possono poi subire arresti, perquisizioni o intercettazioni – sia per i reati funzionali sia per i reati comuni – senza l’autorizzazione del Parlamento, a meno che non ci sia una sentenza irrevocabile di condanna o un arresto in flagranza di reato.
Il presidente della Repubblica, infine, gode di un’immunità molto ampia per quanto riguarda i reati funzionali: in questo caso non è mai responsabile – di nuovo non ci sono autorizzazioni che possano essere concesse o meno – salvo che nei gravissimi casi di attentato alla Costituzione e alto tradimento. Due ipotesi che prevedono la messa in stato d’accusa da parte del Parlamento e il giudizio della Corte Costituzionale, e che non si sono mai verificate nella storia repubblicana.
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