Nelle ultime ore diversi quotidiani italiani hanno riportato la notizia secondo cui il nuovo coronavirus 2019-nCoV sopravviverebbe fino a nove giorni sulla superficie degli oggetti, aumentando il rischio di contagio.
A sostegno di questa presunta notizia – definita «choc» da alcuni media – viene citato un recente studio, pubblicato online il 6 febbraio 2020 sul The Journal of Hospital Infection, la rivista scientifica ufficiale della Healthcare Infection Society (un’organizzazione britannica che riunisce centinaia di esperti nell’ambito della prevenzione e del controllo delle infezioni in ambito sanitario).
Ma che cosa dice davvero la ricerca in questione? Chiariamo subito che lo studio non parla del 2019-nCoV, ma di altri coronavirus simili. Uno degli autori della ricerca ha inoltre spiegato a Pagella Politica che ad oggi non c’è nessuna evidenza che il nuovo coronavirus possa essere trasmesso attraverso il contatto con oggetti o mani contaminate, in linea con quanto detto da istituzioni internazionali, come l’Organizzazione mondiale della sanità, o l’Istituto superiore della sanità italiana.
Vediamo meglio i dettagli della vicenda.
Come è stato condotto lo studio
Lo studio in questione è stato realizzato in Germania da quattro ricercatori, uno dell’Istituto per l’igiene e la medicina ambientale della Università di medicina di Greifswald e tre del Dipartimento di virologia medica e molecolare della Ruhr University di Bochum.
La ricerca è intitolata Persistence of coronaviruses on inanimate surfaces and its inactivation with biocidal agents, ossia “Persistenza dei coronavirus sulle superfici inanimate e la sua inattivazione con agenti biocidi”. In sostanza, sull’onda dell’emergenza causata dalla diffusione del nuovo coronavirus 2019-nCoV, i ricercatori si sono posti una domanda molto semplice: quanto può sopravvivere questo tipo di virus una volta finito sugli oggetti?
«L’idea di analizzare tutti i dati scientifici disponibili sulla persistenza dei coronavirus sugli oggetti mi è venuta in mente durante la diffusione del contagio del 2019-nCoV, quando ho notato che un articolo sull’efficacia dei disinfettanti contro la Sars era stato letto molte volte negli ultimi giorni», ha spiegato a Pagella Politica Günter Kampf, uno degli autori dello studio. «Questo mi ha fatto capire che c’era bisogno di maggiori informazioni nella comunità scientifica».
Ad oggi non è però ancora possibile rispondere con precisione alla domanda vista in precedenza, ossia sapere nel dettaglio quale sia il tempo di persistenza del nuovo virus sugli oggetti. Basti pensare che il 2019-nCoV è stato isolato solo da alcune settimane in pochi laboratori in giro del mondo, tra cui allo Spallanzani di Roma, in Italia.
I ricercatori si sono dunque concentrati sulla più ampia famiglia dei coronavirus – di cui fa parte il 2019-nCoV – e il 28 gennaio 2020 hanno consultato il database statunitense Medline, uno dei più autorevoli e ricchi di materiale nell’ambito medico-scientifico internazionale.
Attraverso una ricerca sul database fatta con alcune parole chiave specifiche, gli autori del paper hanno individuato 22 studi che negli ultimi anni hanno indagato il tempo di persistenza su diverse superfici (per esempio, vetro, legno e alluminio) di sei tipi di coronavirus. Tre di questi possono contagiare gli esseri umani (Sars-CoV, Mers-CoV e HCoV), mentre altri tre sono esclusivi del mondo «veterinario»: la gastroenterite trasmissibile dei maiali (TGEV), l’epatite virus dei topi (MHV), e un coronavirus canino (CCV).
Ricapitolando: i ricercatori (senza condurre un vero e proprio esperimento in laboratorio) hanno descritto quello che ad oggi è lo stato dell’arte della letteratura scientifica sulla persistenza di alcuni coronavirus (non del nuovo 2019-nCoV) su diversi tipi di superfici e – come vedremo meglio – in alcuni contesti particolari. Gli autori, nella seconda parte della loro ricerca, hanno anche descritto quello che dicono gli oltre 20 studi analizzati in merito alla possibilità di eliminare i virus dalle superfici e con quali prodotti specifici.
Ma concentriamoci sulla prima parte della questione.
Che cosa dice lo studio
Le ricerche analizzate dai quattro autori – condotte tra il 1982 e il 2019, e tutte citate nella bibliografia in fondo al paper – sono state condotte in laboratorio, dunque in contesti controllati, e hanno riportato un’ampia varietà di risultati.
I tre coronavirus umani analizzati «possono rimanere infettivi sulle superfici inanimate a temperatura ambiente fino a nove giorni», riassumono i quattro ricercatori, mentre «i coronavirus veterinari hanno mostrato di durare anche per più di 28 giorni».
Come mostra una tabella contenuta nello studio, per quanto riguarda Sars, Mers e HCoV (i tre coronavirus che possono contagiare gli esseri umani) le tempistiche cambiano molto a seconda dei materiali e delle temperature. In base a uno studio del 2013, il Mers può avere una persistenza di circa 48 ore a una temperatura intorno ai 20 gradi sull’acciaio, mentre il dato dei «nove giorni» è relativo al virus della Sars (analizzato in uno studio del 2005) che può avere quella persistenza massima quando è sulla plastica e a temperatura ambiente (ripetiamo, in contesti sperimentali di laboratorio).
Da questi dati, i quattro ricercatori sono arrivati a una prima conclusione in base alla quale «la contaminazione di superfici di frequente contatto nei contesti sanitari può essere una potenziale fonte per la trasmissione virale» di questi coronavirus.
Da sottolineare dunque che si parla di «contesti sanitari», ma ancor più importante è evidenziare altre due osservazioni fatte dagli scienziati: da un lato «non sono stati trovati dati sulla trasmissibilità del coronavirus dalle superfici contaminate alle mani»; dall’altro «non sono stati trovati dati che descrivano la frequenza con cui le mani si contaminino con i coronavirus dopo aver toccato superficie contaminate».
In concreto, che cosa significa?
Gli oggetti trasmettono il coronavirus?
«Non c’è nessuna evidenza diretta che conferma che il nuovo coronavirus possa essere trasmesso attraverso oggetti o mani contaminate», ha spiegato a Pagella Politica Kampf. «C’è solo un’evidenza indiretta sul Sars-CoV, che suggerisce che le mani possano avere un ruolo nel contagio, dal momento che vengono tipicamente contaminate nelle infezioni alle vie respiratorie, attraverso le goccioline prodotte dai pazienti o attraverso il contatto con le superfici».
Come ha chiarito Kampf stesso a Pagella Politica, con «evidenza indiretta» il ricercatore fa riferimento in particolare a uno studio, pubblicato nel 2010, che ha mostrato come l’installazione di stazioni per il lavaggio delle mani negli ospedali di Taiwan abbia probabilmente aiutato a ridurre i contagi di Sars nei dipartimenti di emergenza.
Una frenata all’eccessivo allarmismo è stata data nelle ultime ore anche da due virologi italiani.
«I coronavirus umani possono rimanere infettivi sulle superfici inanimate a temperatura ambiente fino a 9 giorni», ha scritto il 9 febbraio 2020 il professore di virologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele Roberto Burioni sul suo sito Medical Facts, commentando lo studio in questione. «Questo, però, badate bene, significa solo che c’è il virus, perché dati sulla trasmissibilità attraverso il contatto con una superficie contaminata non sono disponibili per il coronavirus. Sappiamo però che per altri virus, come l’influenza, può avvenire, per cui rimane validissimo il consiglio di lavarsi bene le mani».
Gli stessi ricercatori, come abbiamo anticipato, hanno infatti riassunto il contenuto degli studi analizzati, in base ai quali bastano prodotti come l’alcol e l’acqua ossigenata per disinfettare le superfici degli oggetti.
«Si tenga presente che la carica virale si abbassa nell'arco delle ore e successivamente dei giorni. Questi studi, inoltre, sono stati condotti in condizioni sperimentali», ha detto invece in un’intervista a Il Messaggero del 10 febbraio il virologo dell’Università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco. «Noi sappiamo che la sopravvivenza dipende poi dall'umidità, se ce n'è di più resistono di più, e dalle tipologie di substrato: se c'è del materiale organico questi virus si salvano; il materiale proteico infatti fa da schermo e li difende, come biofilm. La cosa certa è che con il lavaggio noi asportiamo questo materiale e conseguentemente i batteri e il virus».
Non c’è dunque motivo di alimentare inutile allarmismo su questo tema, se non ripetere quali sono le buone pratiche d’igiene da condurre quotidianamente.
«Per il coronavirus cinese l’occasione di contatto principale sono le goccioline più grosse di quelle che emettiamo, e devono essere assorbite in grande quantità», ha aggiunto Pregliasco. «Per cui, per esempio, la piccola quantità che si può prendere attraverso il dito di una mano su una superficie che ha una ridottissima quantità di virus non determina una infezione efficace. Infatti, non tutte le infezioni ovvero i contatti avvenuti con il virus possono in qualche modo determinare la malattia. La cosa importante è che le prove mostrano che i più semplici e più disponibili disinfettanti agiscono in meno di un minuto».
Rassicurazioni arrivano anche dalle istituzioni internazionali e italiane.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), non c’è pericolo di contagio per esempio nel ricevere pacchi o lettere dalla Cina: «Da analisi fatte in passato – spiega l’Oms – sappiamo che i coronavirus non sopravvivono a lungo su questi oggetti». La via principale con cui si diffonde il virus è il contatto stretto con un paziente infetto, che manifesta già i sintomi come tosse e febbre (il contagio da persone asintomatiche o con sintomi molto lievi è ad oggi considerato possibile, ma molto raro e improbabile).
Sulla stessa posizione è anche l’Istituto superiore di sanità (Iss), che sul suo sito ha chiarito una questione più specifica, ossia se sia possibile contrarre il nuovo coronavirus attraverso il contatto con le maniglie degli autobus.
«Allo stato attuale, non essendoci evidenze scientifiche della circolazione del nuovo coronavirus (2019-nCoV) in Italia, è altamente improbabile che possa verificarsi un contagio attraverso le maniglie degli autobus o della metropolitana», ha scritto l’Iss. «È comunque buona norma, per prevenire infezioni, anche respiratorie, lavarsi frequentemente e accuratamente le mani, dopo aver toccato oggetti e superfici potenzialmente sporchi, prima di portarle al viso, agli occhi e alla bocca».
Conclusione
Nelle ultime ore è circolata molto la presunta notizia secondo cui il nuovo coronavirus 2019-nCoV sopravvivrebbe per giorni sulle superfici degli oggetti, aumentando il rischio di contagio.
Abbiamo analizzato nel dettaglio che cosa dice lo studio citato da diversi quotidiani (che, sottolineiamo, non parla del nuovo coronavirus), intervistato uno degli autori della ricerca, raccolto le opinioni di due virologi italiani, dell’Organizzazione mondiale della sanità e dell’Istituto superiore di sanità italiano. La conclusione unanime è che ad oggi non c’è alcun motivo di creare allarmismo su questa questione.
Non c’è infatti alcuna evidenza diretta che si possa contrarre il coronavirus attraverso il contatto con oggetti “infettati” da giorni, anche se non è da escludere a priori questa possibilità, e la principale via di trasmissione rimane quella con pazienti sintomatici.
Per questo motivo – ma anche per prevenire malattie al loro picco stagionale, come l’annuale influenza – è necessario rispettare le quotidiane buone pratiche in termini d’igiene, come lavarsi frequentemente le mani e coprirsi naso e bocca quando si tossisce o starnutisce.