Da settimane l’Australia è devastata da centinaia di incendi, una notizia tra le più commentate degli ultimi giorni, come già era accaduto per i roghi in Amazzonia dell’agosto 2019. Ad oggi si stima che le fiamme abbiano bruciato un’area grande oltre 84 mila chilometri quadrati, una superficie superiore a quella di Piemonte, Lombardia, Liguria e Valle d’Aosta messe insieme.
Sui social e sui media tradizionali hanno iniziato a circolare in poco tempo diverse storie e immagini sui roghi australiani, ma non tutte sono vere. Dall’arresto di decine di «piromani» alla morte di «un miliardo di animali», cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi anni.
No, non sono stati arrestati circa 200 piromani
Nelle ultime ore, in Italia è circolata molto una notizia – che si è poi rivelata essere falsa – sull’arresto da parte della polizia australiana di circa 200 piromani, accusati di aver appiccato deliberatamente incendi boschivi. Questa, secondo i negazionisti climatici, sarebbe stata una prova che il riscaldamento globale non c’entra con i roghi (cosa anche questa non vera, come vedremo meglio più avanti).
Il 7 gennaio il sito di fact-checking statunitense Snopes ha spiegato che cosa non torna in questa storia dei circa 200 piromani arrestati. La notizia corretta è che il 6 gennaio 2020 la polizia del Nuovo Galles del Sud – una delle aree maggiormente colpite dalle fiamme – ha pubblicato un comunicato in cui dice che «da venerdì 8 novembre 2019 sono state intraprese azioni legali (che vanno da diffide a imputazioni di carattere penale) nei confronti di 183 persone (tra cui 40 minorenni) in relazione a 205 incendi boschivi».
Nello specifico, 24 persone sono state accusate (e non arrestate) di aver acceso deliberatamente delle fiamme, mentre le rimanenti 159 di non avere rispettato alcune misure di sicurezza, per esempio per aver buttato al suolo delle sigarette non spente.
Dunque non si tratta di 200 piromani, ma di una ventina di sospetti piromani e di centinaia di persone che potrebbero aver causato incendi in maniera del tutto accidentale.
Negli Stati Uniti, il comunicato della polizia del Nuovo Galles del Sud è stato ripreso in maniera sbagliata da alcuni siti vicini all’estrema destra, come Infowars e Breitbart, famosi per diffondere contenuti falsi e a favore del negazionismo climatico.
È morto davvero un miliardo di animali?
Un’altra delle notizie più lette riguarda il numero di animali uccisi dagli incendi, che secondo alcune stime avrebbe superato il miliardo. Ma da dove viene questa cifra?
Il 7 gennaio 2020 il Wwf Australia ha pubblicato un comunicato stampa in cui stima che «oltre 1 miliardo e 250 milioni di animali potrebbero essere stati uccisi direttamente o indirettamente dalle fiamme che hanno bruciato 8,4 milioni di ettari in Australia».
Il dato – spiega il Wwf – proviene da alcuni calcoli fatti da Chris Dickman, professore di Biologia alla University of Sydney, che già il 3 gennaio 2020 aveva chiarito sul sito ufficiale della sua università il metodo di calcolo utilizzato per elaborare una precedente stima, più bassa, del numero di animali colpiti dalle fiamme («480 milioni»).
In sostanza – sulla base di alcune stime contenute in un report del 2007 di cui è stato co-autore – Dickman è partito dalla premessa che in un ettaro di terreno del Nuovo Galles del Sud, uno degli Stati australiani, vivano in media 17,5 mammiferi, 20,7 uccelli e 129,5 rettili (sono esclusi dunque dal conto gli invertebrati). Dickman ha così moltiplicato la somma di questi numeri per l’area del Nuovo Galles del Sud bruciata in questi giorni ottenendo così il numero di circa 500 milioni di animali (una stima molto «prudente», secondo Dickman).
Il 6 gennaio il professore ha chiarito in un’intervista all’Huffington Post statunitense che questa stima andava aggiornata, sia estendendo i calcoli agli altri Stati australiani coinvolti, sia inserendo stime sulla presenza degli invertebrati (tra cui gli insetti). Si è così ottenuto il numero superiore al miliardo.
Questi dati vanno però sempre presi con le pinze, per una serie di motivi, come hanno spiegato il 4 gennaio anche i nostri colleghi fact-checker del Reality check team della Bbc.
Per esempio, bisogna specificare che il numero – sia esso oltre un miliardo o mezzo miliardo – fa riferimento agli animali coinvolti dagli incendi, e non necessariamente a quelli «uccisi». Esistono infatti diverse specie, soprattutto tra i mammiferi e gli uccelli, che possono fuggire dalle fiamme, anche se è vero che potrebbero aver subito ferite letali nel medio-lungo periodo.
Resta dunque molto difficile capire con precisione quali e quante siano ad oggi le vittime degli incendi tra le specie viventi in Australia, ma le stime che parlano di centinaia di milioni di possibili morti non sono prive di fondamento.
Cammelli abbattuti e koala estinti?
Sempre per quanto riguarda le storie relative alla fauna australiana, due animali hanno ricevuto particolare attenzione: i cammelli e i koala.
Per quanto riguarda i primi, è vero che nell’area di Anangu Pitjantjatjara Yankunytjatjara (Apy) – regione che si trova nell’Australia Meridionale, ha una superficie grande un terzo dell’Italia e conta meno di 3 mila abitanti – è iniziato l’abbattimento di migliaia di camelidi selvatici (per lo più dromedari), accusati di mettere a rischio le riserve d’acqua della zona. Gli aborigeni che amministrano l’Apy hanno motivato la loro decisione dicendo anche che i camelidi invadono i centri abitati, mettendo a rischio l’incolumità delle persone.
Questa notizia non è però una novità. A fine 2013, per esempio, il governo federale australiano aveva pubblicato i risultati ottenuti dall’Australian Feral Camel Management Project, un progetto (finanziato con circa 19 milioni di dollari) che dal 2009 aveva portato all’uccisione di circa 160 mila camelidi selvatici.
In Australia, cammelli e dromedari sono ormai considerati animali invasivi. Portati sull’isola nell’Ottocento, nel 2010 si stimava che la loro popolazione superasse il milione di individui.
A novembre 2019, invece, era circolata la notizia che gli incendi australiani avessero di fatto estinto funzionalmente i koala (in parole semplici, rendendo quest’ultimi non più in grado di svolgere un ruolo attivo nell’ecosistema). All’epoca il Wwf e diversi esperti avevano detto che questo scenario è ancora lontano dal realizzarsi, anche se il koala rimane un animale in pericolo. Se le condizioni di vita dovessero restare le stesse di quelle vissute dalle ultime tre generazioni, è molto probabile che entro il 2050 i koala si estinguano nell’Australia Orientale ed entro il 2100 nell’intero Paese.
Le foto e i video fuorvianti sugli incendi
Come era già successo per gli incendi in Amazzonia, nelle ultime settimane stanno circolando numerose foto e video sui roghi in Australia, ma non tutte sono veritiere.
Per esempio, il 6 gennaio 2020 il debunker David Puente ha ricostruito su Open come è stata creata l’immagine di una bambina con una maschera che tiene in braccio un koala, salvato dagli incendi sullo sfondo.
Si tratta di un fotomontaggio, diffuso con il messaggio: «Pray for Australia» (in italiano, «prega per l’Australia). La foto del koala è stata aggiunta sopra quella della bambina, mentre anche i roghi sono stati duplicati, per rendere più vivida l’immagine delle fiamme.
Una questione più articolata riguarda invece un altro contenuto, che ha trovato ampia condivisione sui social negli ultimi giorni e che mostrerebbe una foto dell’Australia vista dallo spazio e ricoperta per buona parte dai roghi.
In realtà la foto in questione non è davvero una foto. Come hanno spiegato il 7 gennaio i nostri colleghi fact-checker dell’agenzia stampa Afp, l’immagine è un’elaborazione grafica 3D realizzata dal fotografo australiano Anthony Hearsey, che utilizzando il programma Cinema 4D (un software usato per l’animazione e la modellazione tridimensionale) ha rielaborato i dati satellitari della Nasa sugli incendi che hanno colpito l’Australia tra il 5 dicembre 2019 e il 5 gennaio 2020.
Esistono comunque vere immagini satellitari della Nasa che mostrano gli incendi dall’altro. L’effetto visivo è diverso da quello della rielaborazione 3D, ma se si guarda agli scatti della Stazione spaziale internazionale (Iss) o dell’Agenzia spaziale europea (Esa), l’effetto è comunque molto forte.
I nostri colleghi fact-checker di Maldita hanno invece raccolto un paio di esempi di video fuorvianti che stanno circolando sui social ma che non sono collegabili agli incendi in Australia.
Per esempio, spiega Maldita, «è diventato virale un video di un canguro abbracciato da una persona con un messaggio che dice che questa è una volontaria che ha salvato la vita dell’animale dagli incendi». In realtà, la donna nel video è la giornalista Laura Brown, che l’8 gennaio 2020 ha spiegato sul suo profilo Instagram che il canguro – del The Kangaroo Sanctuary di Alice Springs, nello Stato del Territorio del Nord – non è stato salvato dalle fiamme. Un altro video molto condiviso sui social mostra invece tre ragazze appiccare un incendio, ma le immagini sono vecchie, del 2018.
Che cosa c’entrano le politiche dell’Australia
Oggetto delle critiche negli ultimi giorni è stato il governo australiano, a cui capo c’è il conservatore Scott Morrison del Liberal Party, accusato di essere un «negazionista climatico».
In effetti, nonostante a fine dicembre 2019 il ministro dell’Energia australiano Angus Taylor abbia difeso le politiche ambientali del suo Paese, l’Australia sta facendo ancora troppo poco per limitare gli effetti del riscaldamento globale, che sta creando condizioni sempre più favorevoli per il verificarsi di eventi estremi come i roghi degli ultimi giorni.
Secondo uno studio pubblicato nel 2019 da Climate Analytics, un’organizzazione che fa ricerca sui cambiamenti climatici di origine antropogenica, nel 2017 l’Australia è stata responsabile dell’1,4 per cento delle emissioni di CO2 nel mondo (una cifra bassa dunque, anche se va considerato che la popolazione australiana pesa per lo 0,3 per cento circa sulla popolazione mondiale). Un dato che oltretutto sale al 5 per cento se si considerano le esportazioni di fonti fossili (una percentuale pari a quella della Russia, quinto Paese al mondo per emissioni).
A fine 2019, il Climate Change Performance Index (Ccpi) – una delle ricerche più autorevoli che periodicamente valuta le politiche dei singoli Paesi al mondo per contrastare l’emergenza climatica – ha messo l’Australia nelle ultime posizioni in classifica. Peggio dell’Australia fanno solo la Corea del Sud, Iran, Taiwan, Arabia Saudita e Stati Uniti.
Il Climate Action Tracker – un sito che permette di monitorare quanto un Paese sta rispettando gli impegni presi con l’Accordo di Parigi nel 2015 – certifica invece come siano «insufficienti» gli sforzi fatti fino ad oggi dall’Australia per ridurre il proprio contributo al riscaldamento globale.
Sempre il Climate Action Tracker spiega che le politiche approvate nel 2019 dal Paese sono del tutto inconsistenti con gli obiettivi indicati dalla comunità scientifica, anche per quanto riguarda la riduzione del sostegno governativo all’industria del carbone.