Il 22 giugno, alla manifestazione unitaria dei sindacati a Reggio Calabria, il segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini ha criticato (min. -24:19) le misure economiche del governo.
Secondo Landini, "al ministro Di Maio che dal balcone annunciò che il governo con un provvedimento aveva cancellato la povertà, gli dovremmo far vedere che al contrario, non i sindacati, ma l’Istat nei giorni scorsi ha certificato che la povertà purtroppo è aumentata, sia quella relativa che il resto".
Lo stesso giorno, la ministra per il Sud Barbara Lezzi (Movimento 5 stelle) ha risposto a questa critica, scrivendo su Facebook: "Landini, in sostanza, ha appena attribuito al reddito di cittadinanza l'aumento della povertà. Peccato che lo faccia citando dati dell'Istat che si riferiscono al 2018 mentre il reddito di cittadinanza è entrato in vigore nel 2019".
Ma che cosa si intende quando si parla di “povertà”? In Italia sta davvero aumentando come dice Landini, o no? E che cosa c’entra il reddito di cittadinanza? Abbiamo verificato.
Di che cosa stiamo parlando
Quando si parla di statistiche sulla povertà, bisogna stare attenti a non fare confusione. Esistono infatti due soglie entro le quali si può dire che una famiglia vive in condizioni di povertà.
La soglia di povertà assoluta rappresenta la spesa minima necessaria per acquistare beni e servizi di prima necessità (come quelli alimentari e legati alla salute) inseriti nel paniere di povertà assoluta.
Le famiglie povere in senso assoluto sono dunque quelle famiglie che non possono permettersi le spese minime per avere standard di vita ritenuti minimamente accettabili.
La povertà relativa è invece un concetto diverso, perché fa sì riferimento all’impossibilità di acquistare determinati beni e servizi, ma in relazione al reddito pro-capite medio di un Paese.
Una famiglia di due persone, dunque, vive in condizioni di povertà relativa se la loro spesa mensile per consumi è uguale alla spesa media per persona in Italia. Questa soglia si ottiene dividendo la spesa totale in consumi delle famiglie per il numero totale dei componenti.
Landini, nella sua dichiarazione, sembra fare riferimento a entrambe: esplicitamente a quella relativa e indirettamente a quella assoluta.
I numeri sulla povertà assoluta in Italia
Il 18 giugno 2019, l’Istat ha pubblicato un report con le statistiche più aggiornate sulla povertà in Italia.
Come si legge nel documento, nel 2018 la povertà assoluta è rimasta stabile, senza "variazioni significative" rispetto al 2017.
L’anno scorso, si stima che in Italia vivevano oltre 1,8 milioni di famiglie in povertà assoluta (circa il 7 per cento sul totale delle famiglie), per un totale di 5,8 milioni di individui (con un’incidenza pari all’8,4 per cento). Numeri in linea con quelli di due anni fa.
E la povertà relativa?
La povertà assoluta è dunque rimasta stabile a cavallo tra il 2017 e il 2018. La povertà relativa – a differenza di quanto sostiene Landini – è poi addirittura diminuita nel 2018 rispetto al 2017.
A livello individuale, si è assistito a un lieve calo del numero di individui in povertà relativa: nel 2018 questi erano quasi 9 milioni (circa il 15 per cento sul totale della popolazione), in diminuzione rispetto ai quasi 9 milioni e 370 mila del 2017 (circa il 15,6 per cento sul totale).
Anche per quanto riguarda le famiglie in condizioni di povertà relativa, nel 2018 la situazione è leggermente migliorata: l’anno scorso erano poco più di 3 milioni (l’11,8 per cento sul totale), contro i 3 milioni e 171 mila del 2017 (12,3 per cento sul totale).
A seconda delle aree geografiche, la dinamica della povertà relativa è però cambiata.
Rispetto al 2017, questo fenomeno si è infatti aggravato al Nord – dove l’incidenza a livello famigliare è passata dal 5,9 per cento al 6,6 per cento – ma è migliorato al Sud e nelle Isole, con una riduzione dell’incidenza dello 1,8 per cento nel primo caso (dal 24,1 per cento al 22,3 per cento) e del 4,3 per cento nel secondo (dal 25,9 per cento al 21,6 per cento). Nel complesso comunque, come abbiamo visto, c’è stato un leggero miglioramento.
L’Istat inoltre rileva “quanto poveri sono i poveri”, cioè quanto è minore in termini percentuali la spesa media mensile delle famiglie povere rispetto alla soglia della povertà relativa e al valore monetario del paniere utilizzato per calcolare la povertà assoluta.
L’intensità della povertà relativa è rimasta sostanzialmente stabile, passando dal 24,1 per cento nel 2017 al 24,3 per cento dell’anno scorso, mentre l’intensità della povertà assoluta familiare è calata dal 20,4 per cento nel 2017 al 19,4 per cento nel 2018.
Tiriamo le fila
Come spiega l’Istat, pur rimanendo ai livelli massimi dal 2005, dopo tre anni la crescita del numero e della quota di famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta si è fermata. E questo è avvenuto nonostante siano calate le spese per consumi delle famiglie, come abbiamo spiegato in una nostra precedente analisi.
Ricapitolando: a differenza di quanto dice Landini, secondo i dati più aggiornati dell’Istat la povertà relativa e quella assoluta non sono aumentate, anzi.
È vero che ci sono dinamiche diverse a seconda delle aree geografiche e della composizione dei nuclei famigliari, ma dopo anni di crescita si può dire che si sta assistendo a una fase di leggera diminuzione del numero di poveri – e di stabilizzazione del “quanto sono poveri” – nel nostro Paese.
Che cosa c’entra il reddito di cittadinanza?
Secondo la ministra per il Sud Barbara Lezzi, Landini stava accusando il reddito di cittadinanza per un aumento della povertà (che in realtà, come abbiamo visto, non è avvenuto). È un’interpretazione fondata.
Il segretario della Cgil infatti ha fatto riferimento alla nota dichiarazione del ministro dello Sviluppo economico e del lavoro Luigi Di Maio, che il 28 settembre 2018 aveva annunciato dal balcone di Palazzo Chigi che il governo aveva abolito la povertà.
All’epoca, l’esecutivo aveva approvato la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza che, tra le varie misure economiche, prevedeva l’introduzione del reddito di cittadinanza.
Questo provvedimento – come abbiamo spiegato nel nostro progetto Traccia il Contratto, che monitora le promesse mantenute o meno dall’esecutivo – è però diventato effettivo solo ad aprile 2019. Fino ad allora era rimasto in vita il reddito di inclusione (Rei), una misura di contrasto alla povertà introdotta dal precedente governo.
Lezzi ha dunque ragione quando dice che i dati Istat sono relativi al 2018 e che il reddito di cittadinanza con queste rilevazioni non c’entra nulla. Gli effetti di questo provvedimento sulla povertà in Italia si potranno sapere l’anno prossimo, quando l’Istat diffonderà i dati relativi al 2019.
Conclusione
Il 22 giugno, il segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini ha criticato il governo, accusandolo di aver fatto aumentare la povertà in Italia.
In realtà, i dati dell’Istat mostrano un quadro diverso: la povertà assoluta è rimasta stabile, mentre quella relativa è in leggera diminuzione.
La ministra per il Sud Barbara Lezzi ha poi ragione quando dice che questi dati non sono imputabili al reddito di cittadinanza, indirettamente evocato da Landini, visto che fanno riferimento al 2018, quando la misura non era ancora diventata operativa.
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