Il 24 settembre, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto immigrazione e sicurezza, che ha suscitato diverse polemiche. Secondo i critici, rischia di essere incostituzionale la possibilità di sospendere l’esame della richiesta di asilo di un immigrato e di obbligarlo ad abbandonare il territorio italiano in caso di condanna in primo grado.
Per esempio, il senatore del Partito Democratico Edoardo Patriarca ha scritto su Facebook: "Salvini sa benissimo che nessuno è colpevole fino a prova contraria. Come fa a non dare l’asilo politico a qualcuno che è stato condannato in primo grado? E se poi questa persona venisse riconosciuta innocente?".
Vediamo meglio qual è la situazione.
Il decreto immigrazione e sicurezza
Il comunicato stampa
Nel comunicato stampa al termine del Consiglio dei Ministri numero 20, relativo alla riunione del 24 settembre, a proposito del decreto immigrazione e sicurezza si legge che «si interviene per ampliare il catalogo di reati che, in caso di condanna definitiva, comportano il diniego o la revoca della protezione internazionale, inserendovi ipotesi delittuose di particolare gravità e che destano allarme sociale».
Non solo: «Per tali reati si prevede, inoltre, in caso di condanna in primo grado, la sospensione del procedimento per la concessione della protezione e l’espulsione del cittadino straniero. Identica procedura è prevista nel caso in cui il soggetto imputato per tali reati, benché non ancora condannato, sia ritenuto di particolare pericolosità sociale».
Le norme
In effetti, l’articolo 7 del decreto – non abbiamo ancora il testo pubblicato dal governo, ma diversi siti specializzati in leggi e quotidiani nazionali hanno pubblicato il 25 settembre il medesimo testo “definitivo” – amplia la lista di reati per i quali, in base all’articolo 12 lettera c) e all’articolo 16 del d.lgs. 251/2007, si può negare la protezione internazionale.
Più complicato invece il passaggio successivo.
L’articolo 10 del decreto, infatti, stabilisce che al d.lgs 25/2008 venga aggiunta una nuova disposizione (l’art. 32 co.1 lett. b-ter), in base alla quale «nel caso in cui il richiedente è sottoposto a procedimento penale per uno dei reati di cui agli articoli 12, comma 1, lett. c) e 16, comma 1, lett. d-bis) del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, la Commissione territoriale sospende l’esame della domanda ed il richiedente ha l’obbligo di lasciare il territorio nazionale».
Se poi viene condannato definitivamente, arriva il diniego alla sua richiesta; se invece viene assolto definitivamente, il richiedente asilo ha 12 mesi per chiedere la riapertura del procedimento.
Ma, prima di addentrarci nell’esame dei rischi di incostituzionalità, bisogna notare che nella formulazione della nuova disposizione c’è qualcosa che non torna, specie rispetto a quanto affermato nel comunicato stampa.
Problema: condannati o indagati?
Il comunicato stampa parla di richiedenti asilo condannati in primo grado, mentre il testo della norma parla di richiedente «sottoposto a procedimento penale», quindi anche un imputato non ancora condannato.
Anche nella relazione illustrativa annessa al decreto – qui il pdf pubblicato dal quotidiano Il Messaggero – si legge che «l’articolo [10] prevede la sospensione del procedimento di esame della domanda di protezione internazionale dei richiedenti che hanno in corso un procedimento penale per l’accertamento di gravi reati e l’allontanamento immediato del richiedente dal territorio nazionale».
Dunque, o il testo del decreto pubblicato il 25 settembre dai siti specializzati e dai quotidiani non è l’ultima versione – quella a cui fa riferimento il comunicato stampa, che parla di «condanna in primo grado» come requisito per la sospensione e l’espulsione – oppure esiste una discrepanza tra comunicato e decreto.
Come funzionano la sospensione e l’espulsione
Al di là di questo problema, l’articolo 10 – che prevede la sospensione e l’espulsione – parla di richiedenti sottoposti a procedimento penale (o condannati in primo grado, nella versione del comunicato) «per uno dei reati di cui agli articoli 12, comma 1, lett. c) e 16, comma 1, lett. d-bis) del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251".
Gli articoli citati – 12 co. 1 lettera c) e 16 co. 1 lettera d-bis) – disciplinano i casi di diniego della protezione internazionale nel caso in cui «lo straniero costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica».
Questa pericolosità, tuttavia, deve essere confermata da una condanna «con sentenza definitiva» per gravi reati (come abbiamo visto, il loro elenco è stato ampliato dall’articolo 7 del decreto immigrazione e sicurezza).
In sostanza – come ci conferma anche Livio Neri, avvocato socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) – dalla norma, pure espressa in modo poco chiaro, si può desumere che «se il richiedente asilo è condannato in primo grado per quei reati che, in caso di condanna definitiva, porterebbero al diniego della protezione internazionale, allora la Commissione territoriale che sta esaminando la sua domanda può sospendere l’esame e il richiedente asilo deve lasciare il territorio dello Stato italiano».
Il rischio di incostituzionalità
Ma è possibile, da un punto di vista costituzionale, sospendere la domanda di asilo di un richiedente che non è ancora stato condannato in via definitiva ma solo in primo grado per determinati reati, e addirittura allontanarlo dal territorio nazionale?
Secondo autorevoli esperti di diritto costituzionale, questo non è possibile. Se il decreto non sarà modificato in Parlamento, il rischio che venga bocciato dalla Corte Costituzionale è concreto.
Il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick, intervistato il 25 settembre da Radio Radicale, che gli chiedeva un parere sull’ipotesi di espulsione del richiedente asilo condannato in primo grado, ha detto (min. 5.50): "Fino a che non c’è una definitività della sentenza, la persona è presunta non colpevole. Lo dice esplicitamente l’articolo 27 della Costituzione (…). Non possiamo derogare a dei valori costituzionali di garanzia, a meno che non si decida di cambiare l’articolo 27 della Costituzione".
L’articolo 27 della Costituzione, citato da Flick, dice (co.2 e ss.): "L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte".
È critico anche un altro ex presidente della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, che in un’intervista del 25 settembre con la Stampa ha affermato: "Il problema (…) è l’espulsione di chi sta affrontando un processo e ha subito una condanna in primo grado. Questa norma lede il diritto alla difesa e dunque l’articolo 24 della Costituzione. Ci sono già state delle sentenze della Consulta su casi di espulsione di stranieri che avevano un processo in corso in Italia e ha sempre prevalso il diritto della persona a potersi difendere nel processo".
L’articolo 24 della Costituzione, citato da Mirabelli, ai primi due commi stabilisce: "Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".
Un altro ex presidente della Corte Costituzionale, Ugo De Siervo, ci ha confermato che sicuramente esistono gravi rischi di incostituzionalità del provvedimento: "Non si può punire con una misura come l’espulsione un reato che è stato accertato in via transitoria, per quanto importante, come con un giudizio di primo grado. È un giudizio che può ancora essere oggetto di revisione. In questo modo si lede il diritto alla difesa".
"Ma anche l’espulsione stessa sarebbe problematica: serve che un Paese riconosca di essere il Paese di origine, che accetti di riprendersi il suo cittadino. Servono accordi in tal senso che al momento sono piuttosto rari ed eccezionali", ci spiega De Siervo. "La mia impressione è che ci sia una improvvisazione assoluta su argomenti che sono invece i più delicati dell’ordinamento".
Oltre a questi rilievi di diritto costituzionale, sull’espulsione ce ne sono anche di diritto internazionale. Come ci ha spiegato l’avvocato Neri, l’espulsione del richiedente asilo incontra in ogni caso dei limiti, in particolare – come abbiamo visto in una nostra recente analisi – non è possibile rimandare i migranti, anche se condannati in via definitiva o ritenuti pericolosi per la sicurezza dello Stato, in Paesi che non garantiscono il rispetto dei diritti umani (per esempio, potrebbero prevedere la pena di morte, vietata dalla nostra Costituzione, o trattamenti disumani e degradanti in carcere, tortura, e via dicendo).
Conclusione
Il decreto immigrazione e sicurezza, per come è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, contiene alcune norme che rischiano di essere incostituzionali, secondo il parere di autorevoli ex presidenti della Consulta.
I dubbi di Patriarca sul provvedimento, in particolare sulla possibilità di allontanare dal territorio italiano un richiedente asilo che sia stato condannato solo in primo grado per determinati reati, risultano quindi fondati.
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