Si torna a parlare di voucher. Il segretario della Cgil Susanna Camusso, intervistata dal manifesto l’11 luglio, ha affermato: “Ricordo bene che quando presentammo a tutte le forze parlamentari i nostri referendum, i Cinquestelle ci dissero di essere d’accordo con noi”.
Si tratta di un’affermazione corretta, ma proviamo a contestualizzarla.
Che cosa sono i voucher
I voucher erano uno strumento per pagare i piccoli incarichi lavorativi: dalle ripetizioni scolastiche alle pulizie, passando per i lavori agricoli stagionali e quelli nel settore turistico. Venivano acquistati dal datore di lavoro che poi li consegnava al lavoratore. Il taglio più piccolo valeva 10 euro, di cui 7,5 euro di compenso per il lavoratore e 2,5 euro di contributo per l’INAIL e l’INPS, che in cambio fornivano una copertura contributiva e assicurativa.
Come vedremo più avanti sono stati prima aboliti e poi parzialmente reintrodotti, sotto diversa forma e con un diverso regime.
Come nascono i voucher
I voucher sono nati nel 2003, con il secondo governo Berlusconi e nell’ambito della riforma Biagi, ma il loro utilizzo è diventato sensibile solo a partire dal 2008 (di nuovo con Berlusconi al governo). La loro utilizzabilità è stata notevolmente estesa nel 2012 dal governo Monti.
Il governo Renzi ha introdotto nuove modifiche. Ha prima alzato, con il Jobs Act (d.l. 81/2015, art. 48), il massimo legale che può percepire il lavoratore tramite voucher – da 5 mila a 7 mila euro netti all’anno – e poi, per contrastare gli abusi, ne ha introdotto la tracciabilità (d.l. 185/2016 art. 1 lett. b) nel settembre 2016.
Ma a quel punto, la grande crescita nel loro utilizzo aveva portato a una grande polemica politica nel corso del 2016 e all’inizio del 2017, preludio alla proposta di referendum della Cgil e alla sostanziale abolizione dello strumento.
Il referendum
La polemica sui voucher era parte delle critiche mosse al governo Renzi sulla legislazione sul lavoro. Prima ancora dell’ultimo intervento del governo Renzi, infatti, la Cgil – a luglio 2016 – aveva depositato 3,3 milioni di firme a sostegno di tre referendum abrogativi sul Jobs Act: uno per ripristinare l’articolo 18, uno per riesumare la responsabilità in solido negli appalti tra appaltante e appaltatore in caso di violazioni dei diritti dei lavoratori, e l’ultimo per abolire voucher.
A gennaio 2017 la Corte Costituzionale ha bocciato il quesito sull’articolo 18, ma ha promosso quelli su appalti e voucher.
Il referendum poi non si fece, perché il governo Gentiloni abolì le norme interessate dai due quesiti superstiti con il decreto legge 17 marzo 2017, n. 25.
Ad aprile tuttavia – sotto una forma diversa e con molti più limiti – i voucher furono reintrodotti in altra forma, sempre dal governo Gentiloni, con l’articolo 54 bis del d.l 50/2017.
In particolare vennero allora previsti, e sono ad oggi ancora in vigore, due strumenti in sostituzione dei voucher: il libretto di famiglia e il contratto di prestazione occasionale. Il libretto di famiglia serve per emettere buoni da 10 euro (di cui 8 vanno al lavoratore) per le prestazioni occasionali in ambito di aiuto domestico, giardinaggio, manutenzione, lezioni private e assistenza domiciliare (e comunque con molti limiti).
Il contratto di prestazione occasionale è utilizzabile, di nuovo a determinate condizioni, solo da imprese piccole, col limite tornato a 5 mila euro netti annui e col vincolo della tracciabilità. Qui l’importo della prestazione oraria sale a 12,5 euro, di cui 9 netti per il lavoratore.
Perché se ne parla adesso?
Il tema dei voucher è tornato di attualità perché il ministro del Lavoro del M5s, Luigi Di Maio, ha di recente fatto delle aperture a una loro reintroduzione, seppure limitata. Di Maio cita infatti i settori del turismo e dell’agricoltura e chiede che, nel percorso parlamentare della questione, non si lasci aperta la porta a possibili abusi.
Secondo i critici, questa posizione sarebbe in contraddizione con la posizione del Movimento all’epoca dei referendum, come ha appunto fatto notare Camusso.
La posizione del M5s
Vediamo dunque qual era la posizione del Movimento 5 Stelle sui voucher nella scorsa legislatura.
La proposta di legge Ciprini
Mentre la Cgil portava avanti la campagna di raccolta firme per i referendum abrogativi, iniziata il 9 aprile e terminata il primo luglio 2016, il M5s stava elaborando una proposta di riforma dello strumento dei voucher, depositata il 2 maggio 2016 a prima firma Tiziana Ciprini.
La proposta Ciprini voleva limitare molto l’uso dei voucher a poche categorie e in settori delimitati, un ritorno all’impostazione data dal secondo governo Berlusconi. Nel dettaglio, nella proposta si legge che le “prestazioni di lavoro accessorio” devono essere limitate a quelle “di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne”.
In particolare, specifica ancora la proposta, “i disoccupati da oltre un anno; le casalinghe, gli studenti e i pensionati; i disabili e i soggetti ospitati presso comunità di recupero; i lavoratori di Stati non membri dell'Unione europea, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro”.
Inoltre queste prestazioni possono essere rese esclusivamente negli ambiti “dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare”, delle ripetizioni private, dei piccoli lavori di giardinaggio, “della realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli” e interventi di emergenza dovuti a calamità.
Il referendum della Cgil
Tuttavia, dopo che la raccolta firme della Cgil ebbe successo e la Consulta approvò il quesito sui voucher a inizio 2017, il Movimento decise di appoggiare il referendum abrogativo.
Il 25 gennaio 2017, durante la discussione sulle mozioni riguardanti la riforma del lavoro e i referendum promossi dalla Cgil, il deputato del M5s Alessandro Di Battista dichiarò infatti: “Voucher? Meglio abolirli del tutto in questo momento con un referendum popolare, che ci deve essere il prima possibile, magari assieme ad elezioni politiche. Questo Parlamento non si deve permettere di mettere mano ai voucher”.
Di Battista rimandava insomma le speranze di riforma, nella direzione auspicata del M5s, alla successiva legislatura. Per il momento il Movimento avrebbe sostenuto l’abolizione.
La stessa posizione è stata poi ribadita il 14 marzo 2017 da Luigi Di Maio, che aveva dato esplicitamente la linea sul referendum voluto dalla Cgil, affermando: “In ogni caso il Movimento 5 Stelle voterà sì” al referendum abrogativo sui voucher. E ancora: “Noi siamo per l’abolizione di questo strumento, che può rimanere se riportato ai casi limitati per i quali era stato previsto” in origine.
Un richiamo, quest’ultimo, alla proposta Ciprini, che era stata nuovamente indicata quale linea ufficiale del Movimento da un post del primo marzo sul blog dei Cinquestelle.
Conclusione
Susanna Camusso ha ragione nel sostenere che, all’epoca del referendum sui voucher, il M5s avesse espresso posizioni favorevoli all’abolizione di questo tipo di strumenti.
Ma è anche vero, come risulta dalle dichiarazioni degli esponenti del Movimento e dalla proposta di legge Ciprini, che il M5s non volesse in linea teorica un’abolizione totale dei voucher, quanto un ritorno alla disciplina originaria – e più restrittiva – del 2003. La scelta di sostenere il referendum derivava, secondo il M5s, dall’incapacità del Parlamento di allora di riformare in modo condivisibile lo strumento dei voucher.
Rispetto ai limiti previsti dalla proposta Ciprini è però anche vero che le recenti affermazioni di Di Maio – che fanno riferimento a interi settori come turismo e agricoltura, e non a limitazioni soggettive a studenti e disoccupati e così via – sembrano aprire a scenari più permissivi.
Non sembra insomma priva di fondamento l’accusa rivolta al M5s di aver cambiato idea sui voucher, anche se non siamo ancora arrivati a vedere la lettera delle proposte concrete.
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