Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha chiesto, e ottenuto, la fiducia al Senato lo scorso 5 giugno. Abbiamo sottoposto alcuni passi del suo lungo discorso, che nella trascrizione è un testo di 24 pagine, al nostro fact-checking.
L'austerità ha contribuito alla crescita del debito pubblico?
Partiamo dai dati macroeconomici. Conte ha affermato (p. 6): “il debito pubblico lo vogliamo ridurre, ma vogliamo farlo con la crescita della nostra ricchezza, non con le misure di austerità che, negli ultimi anni, hanno contribuito a farlo lievitare”.
Il presidente del Consiglio fa riferimento al rapporto tra debito pubblico e Pil e alla necessità di farlo calare. La crescita della “ricchezza” (intesa come Prodotto interno lordo) di per sé non è infatti collegata al debito pubblico in valore assoluto.
È vero che il rapporto debito/Pil sia lievitato negli ultimi anni. Siamo passati, come riporta Eurostat, dal 99,8% del 2007 al 131,8% del 2017 (in lieve calo dal 132% del 2016).
Conte dice che le misure di austerità “hanno contribuito” a questo aumento.
Sugli effetti economici dell’“austerità” il dibattito è feroce. Secondo alcuni le politiche fiscali restrittive messe in atto in gran parte d’Europa in risposta alla crisi hanno depresso l’economia e portato quindi a un peggioramento del rapporto debito/Pil, secondo altri invece sono state necessarie a prevenire una situazione ancora peggiore.
Non proviamo neppure a riassumere il dibattito e ci limitiamo a segnalare un solo intervento di orientamento diverso rispetto a quello di Conte, pubblicato a luglio 2017 sul Foglio dall’economista Carlo Cottarelli: in esso si citano ad esempio il caso del Belgio e le politiche di Reagan per difendere la necessità di una “moderata austerità fiscale”.
Si può potenziare la legittima difesa?
Conte ha poi anche detto (p. 6) che “il cambiamento è in una giustizia rapida ed efficiente e dalla parte dei cittadini, con nuovi strumenti come (…) il potenziamento della legittima difesa”.
La legittima difesa può essere “potenziata”? Ci siamo occupati spesso del tema in passato (qui e qui, ad esempio). In breve, possiamo dire che già oggi legislazione e giurisprudenza prevedono quanto la Lega ha promesso in campagna elettorale: modifiche più “estreme” potrebbero risultare incostituzionali, in particolare se il legislatore volesse comprimere in modo irragionevole la discrezionalità dei giudici nel valutare caso per caso.
La de-carbonizzazione
Conte ha dichiarato (p. 8): “Con le nostre scelte politiche ci adopereremo per anticipare i processi, peraltro già in atto, di ‘decarbonizzazione’ del nostro sistema produttivo”.
Il presidente del Consiglio ha ragione nel dire che ci sono processi di “decarbonizzazione” in atto. L’Italia è uno dei Paesi europei che già fa minor ricorso al carbone.
Come abbiamo già verificato il precedente governo, con la Strategia energetica nazionale 2017, ha anticipato dal 2030 al 2025 il phase-out dal carbone, cioè la cessazione completa nell’utilizzo di carbone per la produzione di energia elettrica in Italia. Un’operazione dal costo stimato di 3,8-4,2 miliardi di euro aggiuntivi rispetto ai 11,6-12,1 miliardi già previsti.
Si vedrà dunque quanto e in che modo il governo Conte intenda anticipare il phase-out.
È vero che c'è un divario di crescita con l'UE?
Conte ha detto (p. 10) che “l’eliminazione del divario di crescita tra l’Italia e l’Unione Europea è un nostro obiettivo”.
È vero che l’Italia abbia un gap di crescita rispetto all’Unione europea, che negli ultimi anni è stato intorno a un punto percentuale. Come risulta dai più recenti dati e previsioni economiche della Commissione europea, nel 2017 il Pil dell’Italia è cresciuto dello 1,1% in meno rispetto al Pil medio dell’Unione europea (1,5% contro il 2,6%), come anche nel 2016 (0,9% contro il 2%).
Nel 2018 e nel 2019, il divario dovrebbe rimanere costante intorno a un punto percentuale (1,5% contro 2,5% quest’anno, 1,2% contro 2,2% il prossimo).
Disuguaglianze e povertà si sono aggravate?
Conte ha affermato che (pagina 13) “Anche in Italia (…) le diseguaglianze si sono aggravate e le povertà si sono moltiplicate”.
Si tratta di un’affermazione corretta.
Diseguaglianze
Come abbiamo già verificato, l’aggravamento delle diseguaglianze è testimoniato dall’andamento del coefficiente di Gini, che misura la diseguaglianza nella distribuzione del reddito in un Paese. Se il coefficiente è uguale a zero c’è una distribuzione perfettamente egualitaria, dove tutti hanno lo stesso reddito. Se è uguale a 100 la diseguaglianza è massima, con la condizione ugualmente teorica di tutto il reddito del Paese concentrato in un’unica persona.
Nel 2008, secondo Eurostat, l’Italia aveva un coefficiente di Gini pressoché identico alla media europea (31,2 Italia e 31 Ue), ma negli anni successivi il dato italiano è cresciuto fino ad arrivare nel 2016 al 33,1 (contro una media europea del 30,8).
Povertà
L’aumento della povertà è poi testimoniato dai dati Istat*. Le famiglie che vivevano in condizione di povertà assoluta in Italia nel 2007 erano infatti il 3,5% del totale. La percentuale è andata crescendo negli anni della crisi fino a raggiungere il 6,3% nel 2013.
Nel 2014 il dato percentuale è sceso al 5,7%, ma già dall’anno successivo ha ricominciato a salire: prima al 6,1% nel 2015, poi al 6,3% nel 2016 e nel 2017 – secondo quanto riferito dal presidente dell’Istat Giorgio Alleva nel corso di un’audizione parlamentare – dovrebbe attestarsi al 6,9%. Quasi il doppio di dieci anni prima.
*Percorso: Condizioni economiche delle famiglie e diseguaglianze > Povertà > Povertà nuove serie > Principali dati
La spesa sanitaria in Italia è diminuita?
Conte ha dichiarato (p. 17): “Il Documento di economia e finanza già deliberato prevede una contrazione della spesa sanitaria”.
Si tratta di un’affermazione che va meglio precisata.
In valore assoluto infatti la spesa sanitaria, in base al Def approvato il 26 aprile 2018, aumenta: dai 113,599 miliardi del 2017 si passa a 115,818 miliardi del 2018, ai 116,382 del 2019, ai 118,572 miliardi del 2020 e, infine, ai 120,894 miliardi del 2021.
Quella che si contrae è la spesa sanitaria in rapporto percentuale al Pil. Qui si passa dal 6,6% del 2017 e 2018 al 6,4% del 2019 e al 6,3% del 2020 e 2021.
Si può infine sottolineare che la spesa sanitaria anche in valore assoluto sia sì aumentata, ma meno di quanto previsto in passato (ci eravamo occupati qui del tema dei “mancati aumenti”).
L'export delle industrie italiane è poco vitale?
Conte infine ha sostenuto che (p. 21) “Occorre (…) restituire vitalità all’industria, specialmente esportatrice”.
Sembra però abbastanza scorretto sostenere che l’industria esportatrice italiana, al momento, non sia vitale. L’export italiano è infatti in un periodo estremamente positivo. Come abbiamo già verificato, negli ultimi anni un record è succeduto all’altro e l’Italia – terza in Europa per volume delle esportazioni – sta recuperando terreno su Francia e Germania, che la precedono.
È semmai il resto dell’industria italiana che non si è ancora ripresa dalla crisi. Tra il 2008 e il 2015, infatti, l’Italia ha perso il 22,4% della sua produzione industriale.
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