La presidente della Camera uscente, Laura Boldrini, lo scorso 12 marzo sulla sua pagina Facebook ha scritto: “Sempre meno persone hanno sempre di più. E più di 4 milioni di famiglie vivono in povertà. Tredici milioni di persone: il 21 per cento della popolazione. Vale a dire 1 italiano su 5”.
Si tratta di un’affermazione imprecisa, ma sostanzialmente corretta.
Meno persone hanno di più?
Nel report dell’Istat su “Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie”, pubblicato lo scorso 6 dicembre e relativo al 2016, si certifica un aumento delle diseguaglianze. In particolare, si legge, “La crescita del reddito è più intensa per il quinto più ricco della popolazione […]. Si stima che il rapporto tra il reddito equivalente totale del 20% più ricco e quello del 20% più povero sia aumentato da 5,8 a 6,3”.
Che la situazione delle diseguaglianze sia in peggioramento lo conferma anche l’andamento del coefficiente di Gini, che misura la diseguaglianza nella distribuzione del reddito in un Paese. Se il coefficiente è uguale a zero c’è una distribuzione perfettamente egualitaria, dove tutti hanno lo stesso reddito. Se è uguale a 100 la diseguaglianza è massima, con la condizione ugualmente teorica di tutto il reddito del Paese concentrato in un’unica persona.
Nel 2007, secondo Eurostat, l’Italia aveva un coefficiente di Gini pressoché identico alla media europea (31,2 Italia e 31 Ue), ma negli anni successivi il dato italiano è cresciuto fino ad arrivare nel 2016 al 33,1 (contro una media europea del 30,8).
Sull’aumento della disuguaglianza in Italia, dunque, ha ragione la Boldrini.
La povertà
Per quanto riguarda la povertà, come avevamo già scritto, l’Istat certifica che nel 2016 quella “assoluta” riguardava 1 milione e 619mila famiglie residenti, cioè 4 milioni e 742 mila individui (erano 4 milioni e 598 mila nel 2015). Si trovavano invece in condizione di povertà “relativa” – che comprende anche quella assoluta, ma è calcolata in modo diverso – 2 milioni 734mila famiglie residenti, cioè 8 milioni 465mila individui (erano 8 milioni e 307mila nel 2015).
Il dati citati dalla Boldrini non sono relativi a chi “vive in povertà” ma a chi è “a rischio povertà”, cioè chi vive in famiglie che hanno un reddito familiare equivalente inferiore al 60% del reddito mediano (siamo intorno ai 9.500 euro per persona all’anno, a seconda degli anni).
La definizione di “persone a rischio povertà o esclusione sociale” è stata adottata nell’ambito della Strategia Europa 2020, il programma dell’UE per la crescita e l’occupazione per il decennio in corso.
L’Istat sul rischio di povertà non dà dati numerici ma percentuali. In particolare l’Istituto di statistica certifica che nel 2016 “il 20,6% (in aumento rispetto al 19,9% del 2015) delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà”. Siamo dunque vicini al 21% citato dalla Boldrini.
Su una popolazione residente pari, al 1° gennaio 2017, a 60.589.445 individui, quelli “a rischio povertà” sono dunque circa 12 milioni e mezzo, poco meno dei 13 milioni citati dalla presidente della Camera.
Non si tratta tuttavia di “1 italiano su 5”, in quanto nel conto sono ricompresi anche tutti gli stranieri regolarmente residenti. Tra questi, certifica l’Istat, il rischio di povertà è ancora più elevato che tra gli italiani: “Tra coloro che vivono in famiglie con almeno un cittadino non italiano il rischio di povertà o esclusione sociale è quasi il doppio (51,0%) rispetto a chi vive in famiglie di soli italiani (27,5%). Il divario è analogo sia per il rischio di povertà (37,7% dove c’è almeno un componente non italiano, contro 18,6% per le famiglie di soli italiani) sia per la grave deprivazione materiale (24,0% contro 10,7%)”.
Conclusione
Boldrini ha sostanzialmente ragione, pur con alcune imprecisioni. È vero infatti che negli ultimi anni siano aumentate le diseguaglianze, la povertà assoluta e relativa, e il rischio di povertà. Tuttavia il dato citato dalla presidente della Camera uscente di coloro che “vivono in povertà” è in realtà relativo a chi è “a rischio povertà”, e non riguarda “1 italiano su 5” ma un residente in Italia su cinque, con un’incidenza significativa della presenza straniera regolare.
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