Due recenti casi di cronaca hanno messo Ikea, il colosso svedese dell’arredamento, al centro delle polemiche per il trattamento che riserverebbe ai suoi lavoratori. Una lavoratrice (Marica), madre di due figli di cui uno disabile, è stata licenziata per le continue assenze e cambi di turno, mentre un lavoratore (Claudio), anch’egli padre di due figli, per i frequenti ritardi. L’azienda ha provato a spiegare la propria posizione, in particolare riguardo al primo caso, rivendicando la correttezza del proprio operato, ma a quel punto l’accusa di comportamenti “padronali” e scorretti nei confronti dei lavoratori stava già montando sui social e non solo.
Al centro delle critiche è finito un algoritmo che, in base alle esigenze del singolo punto vendita (sono 21 in Italia in totale), stabilisce i turni di semestre in semestre. Ad esempio, nei punti vendita del milanese verrà prevista una necessità extra di personale in corrispondenza della festa del patrono, Sant’Ambrogio. O ancora, in un periodo dell’anno in cui si sa che arrivano gli stock di merci saranno necessari più magazzinieri, e via dicendo. Secondo i sindacati questo algoritmo non tiene in conto le esigenze dei lavoratori, che vedendosi cambiare la turnistica di frequente in base alle esigenze del negozio non sono in grado di pianificare con un minimo di serenità la propria vita.
Inoltre, altra critica mossa ad esempio dalle colonne del Fatto Quotidiano, Ikea sarebbe il “regno del part-time”, con lavoratori costretti a una flessibilità estrema proprio per andare incontro alle esigenze dell’azienda che vengono gestite e organizzate dall’algoritmo di cui si diceva.
Abbiamo sentito sia Ikea sia i sindacati (Filcams-Cgil) per cercare di fare maggiore chiarezza sulla situazione.
Precarietà e flessibilità in Ikea
Abbiamo chiesto a Ikea Italia alcuni dati sui loro dipendenti, per partire da una base fattuale. Ci hanno comunicato che ad oggi impiegano più di 6.500 collaboratori diretti (fra tempi indeterminati e determinati), in oltre 21 punti vendita. Il 90% è impiegato con un contratto a tempo indeterminato e il 65% del totale è part time. Evidentemente, dunque, ci sono moltissimi contratti a tempo indeterminato che sono tuttavia part-time.
L’azienda sottolinea poi anche il ruolo delle donne, con il 58% dei collaboratori e il 44% dei responsabili rappresentato da lavoratrici.
Fabrizio Russo, segretario nazionale della Filcams-Cgil, da noi sentito ha però sottolineato come la statistica del 90% di dipendenti a tempo indeterminato non consideri i lavoratori “somministrati” via agenzia di cui si avvale Ikea. Secondo Russo sarebbero un numero significativo.
Ikea, investita della questione, ci ha risposto che in base alla legge i lavoratori a tempo determinato (il 10% dei dipendenti, come abbiamo visto) e quelli somministrati non possono superare il 28% del totale, e che Ikea è sempre stata “ampiamente al di sotto” di tale limite di legge.
Facendo i calcoli*, il totale dei lavoratori somministrati potrebbe essere al massimo di 1.625 (ma ribadiamo che Ikea sostiene di essere ben lontana dalla soglia del 28% di contratti a termine o somministrati).
* se il 90% dei 6.500 dipendenti è a tempo indeterminato, significa che stiamo parlando di 5.850 lavoratori. Se ipotizziamo che questi rappresentino il 72% di non a termine o somministrati (100% - 28%), significa che al 100% corrisponderebbero 8.125 lavoratori. Sottraendo i 5.850 lavoratori a tempo indeterminato e i 650 a tempo determinato, risulta che il totale dei lavoratori somministrati potrebbe essere al massimo di 1.625.
La questione dell’algoritmo
La versione di Ikea
Sulla questione dell’algoritmo, Ikea ci ha poi comunicato che quella di ricorrere a un software per organizzare i turni di lavoro è una prassi normale in moltissime grandi aziende. L’algoritmo tiene conto di numerose variabili, tra cui anche le richieste di ferie e di permessi da parte dei lavoratori. Non solo esigenze di produzione/vendita dunque.
Lo schema di turni che viene programmato dal software non è poi affatto immutabile e i cambi di turno tra colleghi per esigenze dell’ultimo momento sono, secondo Ikea, all’ordine del giorno. Devono essere approvati dai responsabili del punto vendita ma, e secondo Ikea questo sarebbe stato confermato ad esempio anche dalla stessa Marica, è una prassi normale.
Ikea spiega poi che a fronte dell’algoritmo che decide i turni, esiste un meccanismo chiamato TIME (acronimo per Trovare Insieme il Miglior Equilibrio) che consente ai lavoratori di auto-determinare in base alle proprie esigenze in quali turni dare la propria disponibilità. Il progetto è partito due anni fa e secondo l’azienda è operativo in tutti i punti vendita. Secondo Ikea in molti funziona già al 100% mentre in altri, magari a causa dell’opposizione di certe sigle sindacali o per la poca solidarietà tra lavoratori che faticano a trovare accordi tra loro, non è ancora pienamente a regime.
Nel caso in cui i lavoratori non riescano a trovare un accordo tra di loro nella cornice di TIME, ci dice l’azienda, le questioni vengono risolte ricorrendo a una serie di criteri tassativi che sono stati concordati coi sindacati (ad esempio, se un lavoratore ha lavorato a Pasquetta non gli si chiederà di fare il turno di Santo Stefano, etc.).
Non saremmo, insomma, di fronte a un gelido Grande Fratello che obbliga i lavoratori ad assecondare le esigenze dell’azienda senza tenere minimamente in considerazione le loro esigenze di vita personale. E questo sarebbe dimostrato, ci riferisce Ikea, da un’indagine interna a cui ha partecipato il 90% dei dipendenti. I lavoratori, che hanno potuto esprimersi sotto la garanzia dell’anonimato, si sono detti “molto soddisfatti” di lavorare per Ikea nell’83% dei casi.
La versione dei sindacati
Completamente diversa la realtà che ci è stata dipinta da Fabrizio Russo, segretario nazionale della Filcams-Cgil. Secondo Russo il software utilizzato da Ikea “che non ci aveva convinto già in fase di negoziazione dei contratti aziendali, predispone i turni in modo automatico, senza tenere in conto le esigenze dei singoli lavoratori”.
Richiesto di dare un’alternativa, Russo chiede di “tornare a come si faceva prima: i turni venivano decisi nel confronto tra le rappresentanze sindacali e il punto vendita”.
Per quanto riguarda TIME, secondo Russo “salvo rarissime eccezioni - 2 o 3 punti vendita su 21 totali - non funziona. Già al momento della sua presentazione è stato da noi considerato come una degenerazione, perché di fatto estromette i sindacati. Mettendo in confronto diretto il singolo lavoratore con l’azienda, il primo risulta indebolito nel suo potere negoziale”.
Insomma, secondo il sindacato il software funziona bene per imporre le esigenze dell’azienda, ma la parte (TIME) che dovrebbe tutelare le esigenze dei lavoratori no. L’esclusione dei sindacati poi, che deriva dall’utilizzo di questo tipo di programmi, è un problema generale che rischia di causare nel futuro un indebolimento della posizione dei lavoratori di fronte alle aziende.
Conclusione
Per verificare se abbia ragione Ikea o il sindacato sul funzionamento di TIME e sulla inalterabilità degli schemi di turni prodotti dal software sarà necessaria un’inchiesta giornalistica approfondita, che vada a esaminare da vicino la realtà nei 21 punti vendita italiani dell’azienda svedese.
Possiamo comunque dire, in base ai dati raccolti, che Ikea non sia un luogo di lavoro particolarmente precario: il 90% dei dipendenti è a tempo indeterminato e anche il lavoro a termine o somministrato rispetta le soglie di legge, secondo l’azienda addirittura “ampiamente”.
Sicuramente c’è molta flessibilità (il 65% dei lavoratori sono part-time). Possiamo infine dire sia vero che il ruolo dei sindacati è stato compresso dall’adozione di strumenti automatici, come software e programmi, che attribuiscono maggiori responsabilità al singolo lavoratore.
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