Il segretario dei Radicali Italiani, Riccardo Magi, ha pubblicato il 21 settembre una nota in cui si legge: “La Bce oggi evidenzia l’ampio contributo positivo dell’immigrazione alla forza lavoro durante la ripresa nell’Eurozona, in particolare in Italia. Che l’immigrazione, dai nuovi stati Ue come da quelli extracomunitari, sia una risorsa indispensabile per l’Europa e per l’Italia è una realtà”.
Magi fa riferimento al bollettino pubblicato sempre il 21 settembre dalla Banca Centrale Europea, in cui venivano riviste al rialzo le stime di crescita del Pil della Ue nel 2017. Tra le altre cose, nel bollettino c’è scritto: “Nell’area dell’euro nel suo complesso, durante la ripresa l’immigrazione ha dato un ampio contributo positivo alla popolazione in età lavorativa, riflettendo soprattutto l’afflusso di lavoratori dai nuovi stati membri dell’Unione europea. A sua volta, ciò ha verosimilmente avuto un effetto considerevole sulla forza lavoro, in particolare in Germania e Italia, ma anche in altre economie minori dell’area”.
Dunque il segretario dei Radicali sembra perfettamente in linea con la Bce quanto alla sua prima affermazione, ma è poi vero – come dice Magi nella seconda affermazione – che gli immigrati siano “una risorsa indispensabile”?
Guardiamo più da vicino il bollettino della Banca centrale europea.
Qual è il contributo dell’immigrazione?
Il contributo positivo dell’immigrazione è “alla forza lavoro”. Con questa espressione si intende – definizione Istat – la somma delle persone occupate (che hanno un lavoro) e disoccupate (che non hanno un lavoro ma lo cercano attivamente).
Secondo la Bce “gli andamenti dell’offerta di lavoro sono una determinante significativa sia della ripresa economica sia della crescita a lungo termine. Dal punto di vista strutturale, l’offerta di lavoro può contribuire in maniera considerevole alla crescita potenziale, mentre in un’ottica congiunturale influisce direttamente sull’occupazione e sulla disoccupazione”.
Insomma, avere tante persone che lavorano o che sono disposte a lavorare è centrale nel lungo termine per avere un’economia in crescita. Dunque anche la seconda affermazione di Magi trova fondamento nel bollettino della Bce.
L’aumento della forza-lavoro
La Bce registra poi che “l’offerta di lavoro nell’area dell’euro è in crescita da molto tempo”, ma durante la crisi (2° trimestre 2008 – 2° trimestre 2013) e successivamente durante la ripresa (1° trimestre 2013 – 1° trimestre 2017) il suo tasso di crescita ha avuto una battuta d’arresto rispetto al periodo precedente.
Questa dinamica tuttavia non ha interessato la Germania e, in misura inferiore, l’Italia. Entrambi i Paesi hanno visto crescere il tasso di crescita dell’offerta di lavoro dopo la crisi. Secondo la Bce, questo dipende appunto principalmente dal flusso migratorio.
La Spagna, per fare l’esempio contrario, dei grandi Paesi Ue è l’unico che, durante la fase della ripresa, ha visto il tasso andare in negativo, dunque verso una “decrescita” dell’offerta di lavoro. Questo, secondo la Bce, “per effetto soprattutto dei cambiamenti nei flussi migratori. Prima della crisi si osservava una consistente immigrazione netta verso la Spagna, ma tale dinamica si è invertita dopo che nel paese si è registrato un marcato aumento del tasso di disoccupazione. Ciò ha avuto un forte impatto negativo sia sulla popolazione in età lavorativa sia sull’offerta di lavoro in Spagna”.
Dunque, in sintesi, si può dire che il flusso migratorio contribuisce a mantenere positivo il tasso di crescita dell’offerta di lavoro – specialmente in Germania e Italia – e questo, a sua volta, è una delle basi teoriche per avere crescita economica nel lungo periodo.
Una questione aperta
L’economia di un Paese avanzato è comunque un meccanismo complesso ed è difficile arrivare ad automatismi, come quello di considerare l’immigrazione un bene in assoluto (lasciando da parte, naturalmente, ogni considerazione politica o morale). Ad esempio, non viene toccato dal bollettino della Bce il problema di come il flusso migratorio di lavoratori impatti sulle condizioni economiche e di vita dei lavoratori autoctoni.
Si tratta di una questione estremamente complessa e gli studi fatti in proposito, a seconda delle variabili che vengono prese in considerazioni e degli approcci che si seguono, hanno dato risultati discordanti.
Le altre variabili
Come spiega sempre il bollettino della Bce, ci sono altri fattori che hanno impattato sul buon andamento dell’offerta di lavoro.
La tendenza, diffusa in tutto il Continente, a innalzare l’età pensionabile ha portato ad un aumento del tasso di partecipazione alla forza lavoro della fascia 50-64 anni della popolazione. Inoltre questa fascia, con l’invecchiamento della generazione dei “baby boomers”, sta diventando più consistente nella demografia complessiva, anche a fronte di un calo relativo della quota di popolazione giovane.
“Proseguendo un trend di lungo periodo, l’aumento della forza lavoro durante la ripresa economica è stato trainato dalla partecipazione femminile”, scrive ancora la Bce. Questo dipende in buona parte dal fatto che “nella popolazione femminile in età lavorativa la percentuale di donne con un’istruzione terziaria è più elevata rispetto all’analoga percentuale fra gli uomini”.
Infine, e si ricollega con quanto appena detto, l’aumento della forza lavoro è dipeso soprattutto da lavoratori altamente qualificati. “Si registra – riporta la Bce – una chiara transizione di più lungo periodo verso una sempre maggiore presenza di lavoratori altamente qualificati nell’offerta di lavoro, mentre il numero di coloro che hanno al massimo solo un’istruzione primaria è sceso a partire dal secondo trimestre del 2013”.
Conclusione
Magi ha dunque ragione: durante la ripresa (dal 2013 a oggi) l’immigrazione ha contribuito alla crescita della forza lavoro in Europa, e in particolar modo in Italia. Non è stato l’unico fattore, ma ha comunque aiutato l’aumento. A sua volta, la crescita della forza lavoro non genera da sola e automaticamente crescita economica, ma ne è uno dei presupposti per averla nel lungo periodo.
L’immigrazione è un fenomeno complesso, come sono complessi i suoi effetti sull’economia. Il bollettino BCE ne ha messo in luce uno positivo, ma non voleva dare una valutazione a tutto campo dell’impatto economico dell’immigrazione. Concludere che la comunicazione di Francoforte sia una dimostrazione definitiva è senz’altro una forzatura.
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