Lo scorso 2 settembre il ministro della Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, ha twittato un pezzo di Repubblica intitolato “Roma, addio trasparenza: norma anti-cronisti”, scrivendo a commento: “Nei millegiorni abbiamo approvato il Foia per attuare la massima trasparenza. M5S, a Roma, vuole nascondere le carte con un regolamento”.
Il pezzo di Repubblica criticava in particolare il nuovo regolamento sulla trasparenza amministrativa che il Comune di Roma starebbe per approvare.
L'articolo 39
Secondo quanto riporta il quotidiano, che cita il testo del regolamento, un nuovo articolo in particolare andrebbe a “mettere il bavaglio” all’informazione. L’articolo (il 39) imporrebbe ai dirigenti romani che devono dare accesso ai documenti di tenere in considerazione alcuni aspetti, come “il rilievo pubblico, il potenziale uso strumentale e il danno all'immagine che le risposte dell'amministrazione possono generare attraverso la loro pubblicazione sui social network, sui blog o sulle piattaforme web”.
Questi criteri sarebbero uno scoglio alla diffusione delle informazioni.
Il Foia
Il cosiddetto Foia – acronimo che copia il Freedom of Information Act statunitense – a cui fa riferimento la Madia è contenuto nel decreto legislativo sulla trasparenza del 17 maggio 2016 e ha garantito ai cittadini il diritto di conoscere dati e documenti in possesso della pubblica amministrazione. La novità principale è che il diritto c’è anche senza un interesse diretto, che prima invece bisognava dimostrare per ottenere documenti che l’amministrazione non fosse specificamente obbligata a pubblicare.
La replica del M5S
Dopo una prima risposta dai toni polemici apparsa sul blog di Grillo il 3 settembre, il giorno dopo è arrivata anche una spiegazione più pacata da parte dell’assessora a Roma Semplice, Flavia Marzano.
Sulla sua pagina Facebook, Marzano ha diffuso il 4 settembre una nota in cui afferma: “Nessun bavaglio all’informazione: trasparenza e tutela del ruolo della stampa nostre assolute priorità (…). La norma [l’articolo 39 di cui si diceva, ndR] non è inserita tra le previsioni in tema di improcedibilità o inammissibilità delle istanze di accesso, le uniche su cui può legittimamente fondarsi un provvedimento di diniego da parte dell’Amministrazione”.
Insomma, Marzano dice: i criteri non sono inseriti tra quelli in base ai quali si può negare una richiesta d’accesso. Sono semplicemente aspetti di cui i dirigenti devono tener conto al momento di fornire quanto richiesto, senza che abbiano possibilità di negare l’accesso.
La spiegazione successiva nella nota di Marzano è un po’ più contorta, ma sembra confermare questa posizione. Infatti, la nota prosegue spiegando che lo scopo era quello di “responsabilizzare il personale dirigente sul tenore delle risposte e sulla qualità dell’informazione, proprio per evitare, ad esempio, che un uso strumentale di dati non attuali generi un dibattito pubblico, anche su piattaforme social, fondato su informazioni non affidabili”.
L’incontro con la FNSI
L’assessora ha fatto poi un’apertura a cambiare l’articolo. Marzano ha scritto infatti “abbiamo chiesto un incontro con la Federazione Nazionale della Stampa Italiana per chiarire l’equivoco e, se necessario, riformulare insieme la disposizione in modo da fugare ogni possibile dubbio”.
Dopo l’incontro, svoltosi il 5 settembre, il Campidoglio ha diffuso un comunicato – qui ripreso da “Roma Daily News” - in cui ribadisce ancora una volta che “l’art.39 non può dare adito ad alcuna possibilità di rigetto proprio per la sua collocazione sistematica, non essendo inserito tra le previsioni in tema di improcedibilità e/o inammissibilità dell’istanza di accesso”.
Inoltre il comunicato preannuncia la diffusione, una volta completato l’iter di approvazione in Assemblea capitolina, di “una circolare interna di accompagnamento al regolamento che aiuterà gli uffici nella sua corretta applicazione”.
Rassicurazioni, queste, che non hanno del tutto soddisfatto la FNSI, secondo cui “la formulazione del secondo comma dell'articolo 39 sembra concedere una inaccettabile discrezionalità ai dirigenti che dovranno rilasciare gli atti pubblici”.
Il testo del regolamento
Abbiamo consultato il regolamento e riportiamo qui l’articolo 39 per intero:
“1. Ferma restando la necessità di istruire in modo completo ed accurato ogni singola richiesta di accesso, l’Amministrazione tiene conto della particolare rilevanza delle istanze provenienti da organi di stampa o da organizzazioni non governative, verificando con la massima cura la veridicità e l’attualità dei dati e dei documenti rilasciati, onde evitare che il dibattito pubblico si fondi su informazioni non affidabili o non aggiornate.2. I Dirigenti chiamati all’attuazione delle diverse forme di accesso, disciplinate dal presente regolamento, tengono in considerazione il rilievo pubblico, il potenziale uso strumentale e il danno all'immagine che le risposte dell'amministrazione possono generare attraverso la loro pubblicazione sui social network, sui blog o sulle piattaforme web realizzate per la promozione la difesa del diritto di accesso all'informazione”.
Abbiamo inoltre verificato che né l’articolo 13 – che riguarda i casi di esclusione del diritto di accesso agli atti – né l’Allegato A al regolamento (che elenca le singole tipologie di atti esclusi dal diritto di accesso) contengono previsioni simili o collegate con quelle dell’articolo 39.
L’interpretazione
Premettiamo che il regolamento non è ancora stato approvato: siamo in fase di proposta. Sono possibili delle modifiche al testo per chiarire l’equivoco. Una eventuale interpretazione definitiva spetterebbe eventualmente ai giudici amministrativi (Tar e Consiglio di Stato).
Ad ogni modo, anche per come è scritto, l’articolo 39 sembra dare ragione all’amministrazione capitolina.
L’intenzione del legislatore, in questo caso il Comune di Roma, è chiaramente espressa nel primo comma (che oltretutto riprende quasi testualmente l’articolo 8.1 della circolare n. 2/2017 del ministero della Pubblica amministrazione, sull’attuazione del Foia). Si vogliono evitare danni e figuracce passando informazioni errate o non più attuali e si invita l’Amministrazione alla massima attenzione.
Qualche dubbio in più lo suscita il secondo comma (che non ha invece un corrispettivo nella circolare n.2/2017 del ministero della PA).
Nella sua nota, Marzano afferma che la finalità della norma è “responsabilizzare il personale dirigente sul tenore delle risposte e sulla qualità dell’informazione”. Ma questa è già garantita dal primo comma. Da noi sentita, Marzano ha dichiarato che “il secondo comma esplicita il contenuto del primo, in particolare chiarisce che per ‘dibattito pubblico’ si debba intendere anche lo spazio social”.
La spiegazione non esaurisce del tutto il problema, dato che il secondo comma – oltre a citare esplicitamente la dimensione del web e dei social – parla anche di valutazioni che i dirigenti dovrebbero fare sul rischio di strumentalizzazioni e danni d’immagine.
Un’interpretazione bonaria vedrebbe in questo comma un invito ai dirigenti ad utilizzare, nelle loro comunicazioni, toni e forme tali da non prestare il fianco a critiche o prese in giro. Ed è probabilmente quella con maggior fondamento.
Infatti, l’interpretazione opposta e più inquietante (paventata dalla stessa FNSI), quella per cui i dirigenti avrebbero un potere discrezionale di decidere quali informazioni divulgare o meno, valutando il danno di immagine per il Comune, si scontra con diversi argomenti.
Oltre a quanto scritto dalla Marzano sul fatto che l’articolo 39 non riguardi possibili cause di inammissibilità o improcedibilità delle istanze di accesso agli atti (trattate invece dall’articolo 13), bisogna considerare che un eventuale ostacolo posto da un regolamento comunale al diritto di accedere agli atti della pubblica amministrazione sarebbe in contrasto con la legge ordinaria dello Stato.
In particolare, la legge 241 del 1990 sancisce (art. 22 e ss.) che “l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza”.
Anche il decreto legislativo 33 del 2013 garantisce poi gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni (il decreto trasparenza è intervenuto infatti in particolare su di esso).
Dunque, avendo la legge ordinaria un rango più alto del regolamento comunale (che è una fonte secondaria del diritto), quest’ultimo potrebbe essere disapplicato dal giudice e reso così inefficace.
Conclusione
La formulazione dell’articolo 39, in particolare del secondo comma, non è probabilmente felicissima e una qualche preoccupazione – leggendo il testo – era legittima. Tuttavia sembra improbabile che l’amministrazione pentastellata volesse con questo regolamento mettere il bavaglio all’informazione, come invece affermato da Madia e non solo.
Non valgono solo le ragioni esposte dalla Marzano, che pure non sembrano destituite di fondamento. Il diritto di accedere agli atti è garantito dalla legge – che a sua volta si fonda su previsioni costituzionali, in particolare sul buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 co. 2 cost.) – e un regolamento non potrebbe negarlo.