Domenica 3 settembre il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (M5S) e il leader della Lega Nord Matteo Salvini sono stati ospiti al forum di Cernobbio, il congresso economico internazionale organizzato dalla società di consulenza The European House - Ambrosetti che si tiene ogni anno sul Lago di Como. In un intervento di una decina di minuti, poi ripreso sulla sua pagina Facebook, Di Maio ha toccato parecchi temi: dal lavoro alla crescita economica al futuro della mobilità. Lo stesso ha fatto poco dopo anche Matteo Salvini: vediamo quali dati hanno citato e come se la sono cavata alla prova del fact-checking.
Luigi Di Maio (Movimento 5 Stelle)
1. «Nel 2025, circa il 50 per cento dei lavori esistenti saranno lavori creativi, legati all’innovazione tecnologica, al turismo, alla cultura, all’istruzione» (1’ 20’’)
La percentuale è di dubbia provenienza. Di Maio fa riferimento con ogni probabilità allo studio commissionato dallo stesso M5S, svolto dal sociologo Domenico De Masi, con il titolo Lavoro 2025. La ricerca poneva alcune domande a undici esperti di provenienza molto varia (qui la lista) e raccoglieva le loro risposte, per poi rielaborarle. Una delle domande chiedeva appunto come sarebbe evoluto il mix delle tipologie di lavoro nel 2025, partendo dal fatto che oggi impiegati, operai e creativi rappresentano ciascuno circa un terzo degli occupati.
Già qui c’è qualche problema, perché il dato di partenza - presentato in apertura del cap. 12, Tre tipi di lavoro - è discutibile: l’Eurostat pone la percentuale degli italiani impegnati in professioni culturali e creative al 2,7 per cento nel 2015 (poco sotto la media europea, al 2,9%). La seconda edizione del rapporto Italia Creativa, sostenuto tra gli altri dal MiBACT, dalla Siae e da Confindustria Cultura, indica nel 4 per cento della forza lavoro italiana quella impiegata nell’industria culturale e creativa.
Sembra quindi che la ricerca faccia riferimento a qualche definizione più ampia dei “creativi”, ma essa non è esplicitata nel capitolo. Ad ogni modo, al di là del problema di definizione, anche la previsione di un’incidenza del 50% nel 2025 è tutt’altro che pacifica. Molti esperti intervistati non danno cifre o restano sul generico: il professor Butera scrive infatti che "la proporzione fra creativi, impiegati e operai forse non cambierà"; il giornalista Luca De Biase dice: "Ho l’impressione che il lavoro impiegatizio diminuirà più degli altri. Il lavoro creativo dovrebbe aumentare" e così via.
L’unico a lanciarsi in una previsione numerica, che sembra quella poi ripresa da Di Maio, è il sacerdote Fabiano Longoni, direttore dell’ufficio CEI per i problemi sociali e il lavoro, che ha detto:"Credo che aumenterà la quota del lavoro creativo che sarà del 50%".
Insomma, non è del tutto chiaro che cosa intenda Di Maio con “lavori creativi” - difficilmente si può sostenere che tutti quelli legati al turismo o all’istruzione lo siano, per esempio - e la sua previsione per il 2025 sembra basata su poche stime generiche.
2. «Circa dieci anni fa eravamo a meno del 100% [nel rapporto] debito/PIL, oggi siamo a 32 punti in più, 132 per cento» (3’ 14’’)
Di Maio ha ragione. Nel 2007, la percentuale del debito pubblico italiano in rapporto al PIL si attestò al 99,8 per cento, mentre negli anni successivi è sempre stata più alta, fino al 132,6 per cento del 2016.
3. «Da quest’anno, nella legge di Bilancio, [c’è] l’indice di Benessere Equo e Sostenibile» (4’ 33’’)
Di Maio ha ragione. A fine luglio 2016, il Parlamento ha approvato definitivamente alcuni cambiamenti nella struttura della legge di bilancio (legge 4 agosto 2016, n. 163). Tra questi, si prevede che in un allegato della legge venga riportato, ogni anno, l’andamento degli indicatori del Benessere Equo e Sostenibile, calcolati dall’Istat. Nel DEF 2017 sono stati inclusi, in via sperimentale, i primi quattro indicatori.
4. «Un milione di auto elettriche in cinque anni in Italia. Questo obiettivo se l’è dato la Germania al 2020, l’Olanda nel 2025 bandirà le auto a benzina e l’India lo farà nel 2030» (6’ 55’’)
Le previsioni per i Paesi esteri sono piuttosto imprecise.
Gli obiettivi per la Germania sono corretti: per raggiungerli, il governo federale tedesco ha fondato nel 2010 la Piattaforma Nazionale Tedesca per la Mobilità Elettrica (NPE). Sembra difficile, tuttavia, che si arriverà al milione, visto che nel 2015 il totale delle auto elettriche nel Paese era di appena 23.500. La NPE sembra consapevole delle difficoltà ma dice comunque che l’obiettivo "può ancora essere raggiunto".
I Paesi Bassi non hanno abolito le auto a benzina, hanno solo fatto un primo passo in quella direzione che non ha avuto conseguenze decisive. Una mozione in questo senso è stata approvata dalla Camera bassa del Parlamento ad aprile 2016, ma non è mai stata approvata dal Senato. Ad ogni modo, i Paesi Bassi hanno già una percentuale di diffusione delle auto elettriche relativamente alta e, secondo gli osservatori, è un ottimo candidato per diventare il primo Paese senza auto a benzina. L’evento, comunque, non sembra imminente.
Anche per l’India - in cui l’inquinamento atmosferico è un problema gravissimo - le cose stanno in modo un po’ diverso. Il governo ha fatto diversi annunci molto coraggiosi negli ultimi mesi, ma si tratta appunto di annunci: i piani concreti sono stati mostrati ad aprile scorso e non ancora messi in pratica.
A marzo 2016, il ministro dell’Energia Piyush Goyal aveva detto appunto che l’India «poteva» puntare ad avere il 100 per cento di veicoli elettrici nel 2030; in un blog post sul sito del Ministero dell’Energia si parla dell’«ambizione» che nel 2030 tutte le auto vendute siano elettriche (il che non vuol dire, naturalmente, che lo siano quelle già nelle strade). Questo secondo obiettivo, la sostituzione totale delle vendite, è stato ripetuto di recente anche dal ministro Goyal.
5. «Un Parlamento che fa una legge ogni due giorni e mezzo crea burocrazia» (7’ 58’’)
Di Maio esagera un po’. Secondo le statistiche fornite dalla Camera, al 3 agosto scorso il totale delle leggi approvate definitivamente dalle due camere del Parlamento era di 325: dall’inizio della XVII legislatura, il 15 marzo 2013, si tratta di una legge ogni 4,9 giorni.
Per quanto riguarda la Camera, tra il 15 marzo 2013 e il 3 agosto scorso erano state approvate 373 leggi, una ogni 4,3 giorni. Al Senato, al 16 luglio scorso erano state approvate 393 leggi, una ogni 4 giorni.
Matteo Salvini (Lega Nord)
1. «[Lombardia e Veneto] rappresentano un terzo del Prodotto interno lordo italiano» (00’ 49’’)
Salvini ha ragione. Secondo l’annuario statistico della Lombardia, che contiene un confronto tra le regioni europee con i dati aggiornati al 2014, il Veneto e la Lombardia insieme contavano rispettivamente per 348.615 e 147.498 milioni di euro, circa un terzo del Pil italiano, che in quell’anno era di 1.613.859 milioni di euro (precisamente il 30,7 per cento). Per popolazione, invece, le due regioni contano poco meno di 15 milioni di abitanti, dunque circa un quarto dei residenti in Italia.
2. «[La flat tax al 15 per cento] non è inventata da noi, ma copiata da 40 realtà produttive e sviluppate al mondo, certificata dal professor Alvin Rabushka dell’università di Stanford» (5’ 58’’)
Salvini esagera un po’ la diffusione della tassa ad aliquota fissa.
Alvin Rabushka dell’università di Stanford è in effetti uno dei più convinti sostenitori della flat tax. La lista dei Paesi e territori che hanno una flat tax è stata fornita dallo stesso Rabushka durante un evento tenuto a Milano, per la Lega Nord, alla fine del 2014. Sul blog dello studioso è presente un elenco più aggiornato, al marzo 2015, dei Paesi che adottano quel sistema di tassazione.
Sul “produttive e sviluppate” si potrebbe discutere, visto che il gruppo non è molto omogeneo. Si tratta di 44 entità, tra cui numerosi microstati o piccoli territori autonomi (Hong Kong, Tuvalu, Ossezia del Sud, Jersey, Guernsey, Andorra). Gli stati indipendenti sono una trentina, e il gruppo più consistente è costituito da numerosi stati dell’Est Europa, dalla Russia alla Bulgaria, dalla Serbia all’Estonia.
Infatti, negli ultimi vent’anni è rinato un certo interesse per la flat tax, specie tra i Paesi dell’ex Unione Sovietica. L’Estonia ha aperto la strada introducendola nel 1994, ma è stata soprattutto la riforma fiscale russa all’inizio del 2001 a ispirare diversi altri Paesi come la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Romania.
3. «L’Italia, con la legislazione vigente, è il paese europeo che dà più cittadinanze: 202 mila nel 2016» (7’ 36’’)
È vero. Il dato di 202 mila nuovi italiani nel 2016 è confermato dall’Istat, mentre il confronto europeo si può fare fino all’anno precedente: anche allora l’Italia era prima tra i Paesi UE, con 178 mila nuovi cittadini, davanti al Regno Unito (118 mila) e alla Spagna (114 mila).
È un primato recente: dal 2006 in poi, l’Italia non era mai stata in testa alla classifica - fino appunto al 2015. Negli anni precedenti il primo posto è stato della Spagna (2013-2014), del Regno Unito (2006-2007; 2009-2012) e della Francia (2008).
4. «Due milioni di persone sopra i 90 anni nel 2050» (10’ 42’’)
Salvini esagera un po’, o dà credito alle stime più alte. Al 1° gennaio 2017, le persone con 90 e più anni in Italia erano circa 720 mila. Il sito Demo.istat.it permette di consultare le previsioni demografiche fino al 2065, selezionando anche le età interessate.
Per comodità abbiamo raccolto qui i numeri dello scenario mediano per gli ultranovantenni nel 2050: si prevede che, quell’anno, gli ultranovantenni saranno più di 1,6 milioni. Un numero ragguardevole, ma più basso di quello citato dal leader della Lega. Le stime si basano comunque su previsioni che possono cambiare facilmente: nello scenario più “anziano” possibile, infatti, gli ultranovantenni superano i 2 milioni.
5. «In Francia, ogni anno, nascono 200 mila bambini più che in Italia» (11’ 19’’)
Salvini sbaglia per difetto. Nell’ultimo decennio, la differenza tra le nascite in Italia e quelle Oltralpe è stata più vicina alle 250 mila, e più di recente ha raggiunto le 300 mila. Sul sito dell’ente statistico francese si legge ad esempio che, nel 2015, i nuovi nati in Francia sono stati 798.900, mentre in Italia il numero si è fermato a 485.780: oltre 300 mila in meno.
Non molto diverse le statistiche degli anni precedenti: mentre in Francia i nuovi nati sono rimasti stabili intorno agli 780-790 mila (senza contare i territori fuori dalla Francia metropolitana), in Italia la natalità ha avuto una fortissima riduzione, dai 576 mila nuovi nati nel 2008 al record negativo dall’Unità d’Italia del 2016, con appena 474 mila.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it