Lo scorso 7 marzo Piercamillo Davigo, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), ha dichiarato a Carta Bianca su Rai3:
“I magistrati italiani sono quelli che, fra i 47 stati membri del Consiglio d’Europa, lavorano di più. Noi lavoriamo il doppio dei nostri colleghi francesi e il quadruplo dei nostri colleghi tedeschi. E questi sono dati disponibili su Internet, controllando sul sito della CEPEJ che è la commissione europea per l’efficienza della giustizia”.
Davigo aveva già espresso lo stesso concetto in altre occasioni, ad esempio già nell’aprile 2016, quando aveva sostenuto che “i magistrati italiani sono i più produttivi dei 47 Stati del Consiglio d’Europa” o ancora a luglio dello stesso anno, quando disse che “i magistrati italiani sono quelli che lavorano di più”. Ancora in tempi più recenti, il primo febbraio scorso, aveva detto: “lavoriamo il doppio dei nostri colleghi francesi, il quadruplo dei tedeschi”.
Ma è vero?
Abbiamo analizzato il rapporto del CEPEJ che cita lo stesso Davigo e i numeri di cui parla il presidente del sindacato delle toghe non ci sono. Abbiamo chiamato la CEPEJ per ulteriore verifica e uno dei ricercatori che ha curato il rapporto ci ha confermato che quella classifica, nelle 500 pagine del rapporto, non c’è. A quanto pare, infatti, Davigo ha messo insieme due dati diversi, come fece notare già nel 2013 l’Unione delle Camere Penali. Ha preso tutti i procedimenti di primo grado risolti in Italia in un anno – qui il database del CEPEJ a cui attinge il rapporto - e li ha divisi per il numero di giudici. Un conto che la CEPEJ non fa.
Il risultato è che ogni giudice italiano “risolve” in un anno 831 procedimenti, contro i 451 per ogni giudice francese e 255 per ogni giudice tedesco. Dunque sembrerebbe vero che i giudici italiani lavorino quasi il doppio dei loro colleghi d’Oltralpe e poco più del triplo (non il quadruplo) di quelli tedeschi.
Abbiamo deciso di procedere per la strada tracciata da Davigo e di fare i conti anche per gli altri paesi del Consiglio d’Europa, usando i dati del rapporto più recente che si riferiscono al 2014.
I risultati sono sorprendenti. Meglio dei giudici italiani farebbero le toghe di molti altri Paesi, come
- l’Irlanda (con oltre 3.200 procedimenti risolti per giudice),
- l’Inghilterra e il Galles (2.300 abbondanti) e soprattutto
- la Danimarca, dove sarebbero più di 7.000, secondo il conto che fa Davigo, i procedimenti risolti da ogni singolo giudice. Cioè 20 procedimenti al giorno per 365 giorni all’anno.
Quello di Davigo è un conto affidabile?
No. Il conto che fa il presidente dell’Anm non è affidabile in primo luogo perché nel numero dei giudici si tiene conto solo dei giudici che il rapporto definisce “professionali” e non, ad esempio, degli equivalenti stranieri dei giudici di pace.
Il numero di cause risolte, invece, è il totale delle cause che vengono risolte in primo grado. In questo numero pesa per l’appunto il lavoro dei giudici di pace che quindi dovrebbero essere contati.
Nell’esempio della Danimarca che si faceva, accanto agli appena 341 giudici “professionali” operano ben 12.000 equivalenti dei giudici di pace. Sommando i due numeri e rifacendo il calcolo che fa Davigo si passa da oltre 7.000 cause a giudice a un più modesto (e realistico) 196 cause a giudice.
Ma, anche sommando giudici professionali e giudici onorari, il calcolo resta comunque inaffidabile. Nello stabilire quali procedimenti vengano conteggiati per ogni Paese, prima nel totale e poi come “risolti”, entrano infatti in gioco molti altri fattori, diversi oltretutto da ordinamento a ordinamento. Le cause possono essere risolte da un accordo tra le parti che il giudice si limita a ratificare, oppure con altre forme di mediazione, o ancora con decreti, senza contare i diversi regimi di prescrizione che portano il fenomeno ad avere un impatto molto diverso da Paese a Paese sul numero di cause che si risolvono in questo modo.
Come sottolinea a più riprese lo stesso rapporto CEPEJ, le metodologie che usano gli Stati per fornire i dati sono dunque molto diverse. Inoltre le peculiarità di ogni singolo ordinamento sono tali da impedire che, sui dati riportati, si possa stilare una classifica affidabile dei Paesi per produttività dei giudici.
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