Il tema delle droghe leggere è tornato sulle pagine dei giornali italiani a causa di un tragico fatto di cronaca: il suicidio di un sedicenne a Lavagna, durante una perquisizione nella sua casa da parte della Guardia di Finanza. Dopo aver commentato quanto successo a Lavagna su Repubblica, lo scrittore Roberto Saviano ha lanciato un appello per la legalizzazione.
Riccardo Magi e Antonella Soldo, rispettivamente segretario e presidente di Radicali Italiani, hanno subito raccolto l’appello dichiarando, il 15 febbraio: “Grazie a Roberto Saviano per l’appello all’apertura di un dibattito serio e ragionevole sulla legalizzazione della cannabis rivolto ai parlamentari italiani. Un appello che facciamo nostro, perché i rappresentanti dei cittadini non possono restare inerti di fronte ai dati che – anche nell’ultima relazione che il governo ha presentato al parlamento – dimostrano in modo inconfutabile i danni delle politiche proibizioniste, né a quelli sul calo dei consumi registrato negli Usa dopo la legalizzazione”.
Agenzia Vista/Alexander Jakhnagiev - Agi
Andiamo quindi a verificare.
Ci sono dati che dimostrano senza ombra di dubbio che il proibizionismo non funziona? E davvero, negli Stati Uniti, alla legalizzazione è seguito un calo del consumo?
Tra l’altro, vale la pena menzionare il fatto che in Italia è depositata in Parlamento una legge di iniziativa parlamentare, sottoscritta da 221 deputati, che propone proprio la legalizzazione dei derivati della cannabis. È stata presentata a luglio 2015 e, secondo le parole del suo promotore Benedetto Della Vedova, che chiede venga adesso messa ai voti, finora “è stata parcheggiata su un binario morto” in Parlamento.
Più di un italiano su dieci fuma cannabis
I radicali Magi e Soldo sembrano fare riferimento, in particolare, ai dati contenuti nella Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, edizione 2016, curata dal Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio. Qui si legge che “per il 2013 (ultimo annualità disponibile) è stato stimato che sono 6,1 milioni gli utilizzatori di cannabis”, un decimo circa della popolazione residente in Italia.
La percentuale è senz’altro notevole, nonostante “i sequestri di sostanze analizzate rapportati in valori percentuale corrispondano al 43% derivati della Cannabis (hashish e marijuana)”, mentre la cocaina è appena il 16% e l’eroina il 4%.
Le denunce in Italia
Anche nel campo delle denunce le droghe leggere hanno il primato. Nel 2015 ci sono state 13.360 denunce per marijuana, hashish o piante di cannabis. Segue la cocaina, con 9.206 denunce. Nel 70,4% dei casi alla denuncia è seguito l’arresto. Le operazioni di polizia finalizzate al contrasto dei derivati della cannabis, sempre nel 2015, sono state 10.751.
Nonostante la repressione, nota ancora la Relazione, “dopo un decennio di andamento decrescente, si registra una ripresa dei consumi di cannabis dal 2011 al 2014”. Di qui la critica al modello proibizionista, che sarebbe stato inefficace. I consumi non sono infatti diminuiti a fronte di un dispendio di risorse economiche e umane – non solo i poliziotti ma anche personale giudiziario e penitenziario – significativo.
Fine della guerra contro le droghe?
Nella Relazione si cita spesso anche il report dell’Ungass (United Nation General Assembly Special Session) sulle droghe del 2016. Qui risulta evidente un mutamento di approccio rispetto al passato, quando la questione della droga era posta solo in termini di repressione.
Nel 1998 infatti, l’Ungass si era posta l’obiettivo, su spinta americana, di “un mondo senza droghe” entro il 2008. Prevedeva soprattutto la distruzione dell’offerta – nel senso di distruggere materialmente le coltivazioni – e interventi per la riduzione della domanda. Secondo molti esperti e osservatori questa strategia ha fallito: la collettività ha speso miliardi di dollari per una battaglia che ha causato molti morti e che è stata persa, considerato l’andamento dei consumi.
Ora invece, come si legge nel documento del 2016, “è stata sottolineata la necessità di affrontare le cause profonde del problema della droga, sia sul lato dell’offerta, con interventi di sviluppo socioeconomico nelle aree di produzione, sia nelle aree di consumo, con politiche di prevenzione e trattamento”.
Ancora, “la Comunità internazionale dovrebbe pienamente riconoscere il consumo di droga come una questione sanitaria e la tossicodipendenza come un disturbo multi-fattoriale cronico e curabile, che dovrebbe essere trattato e non punito. Dovrebbe tenere un approccio pragmatico, non ideologico. Un approccio orientato ai risultati, che incoraggi gli Stati nazionali a promuovere politiche pubbliche in considerazione della loro efficacia, più che in obbedienza a mere declamazioni di principio.”. E “un approccio meramente punitivo nei confronti del tossicodipendente è contrario allo spirito delle convenzioni e non contribuisce al recupero della persona”.
Ma la legalizzazione è un percorso davvero difficile
Ma l’evoluzione, in seno all’Onu, da repressione ideologica a un approccio più “illuminista” circa le sostanze stupefacenti, basato su dati scientifici e incentrato su cura e riduzione del danno, non implica un favore nei confronti della legalizzazione.
Come si legge ancora nella Relazione, “tra i temi che saranno verosimilmente discussi nelle prossime sessioni della conferenza Onu sulle droghe vi è la legalizzazione della cannabis per uso non medico, in particolare alla luce delle politiche adottate in Uruguay ed in alcuni Stati degli USA negli ultimi anni. Durante la preparazione dell'Ungass, l'Incb (International Narcotic Control Board) ha ribadito la sua contrarietà a tali politiche”.
Non solo. “La maggior parte dei G77 [Paesi in via di sviluppo, NdR.] ha espresso posizioni critiche verso le politiche di legalizzazione, sottolineando come esse equivalgano ad una violazione del principio di responsabilità comune e condivisa, tuttora uno dei principi cardine della cooperazione internazionale in materia di droga”.
Il caso degli Usa
E veniamo dunque al “calo dei consumi registrato negli Usa dopo la legalizzazione”. Si tratta in particolare della legalizzazione del consumo di marijuana per scopo ricreativo, quindi non esclusivamente a scopo medico, avvenuta in
- Colorado (2012),
- Washington (2012),
- Alaska (2014),
- Oregon (2014),
- California (2016),
- Nevada (2016),
- Maine (2016) e
- Massachusetts (2016).
La questione non è così semplice. In base alla relazione annuale dell’Onu sul contrasto alla droga, è difficile stabilire già ora i risultati di queste legalizzazioni. Si registra infatti un aumento dei consumi, ma non si riesce ancora a valutare se tale aumento sia costante anche rispetto agli anni precedenti alla legalizzazione – che, in questo caso, non avrebbe avuto alcun impatto sui consumi – o se sia invece un aumento maggiore o minore rispetto al trend precedente.
Per quanto riguarda il Colorado, il primo Stato Usa a legalizzare la marijuana a scopo ricreativo e su cui si hanno i dati più significativi, da un report del governo statale risulta che la legalizzazione non ha aumentato il consumo tra gli adolescenti. Tra i più grandi (maggiori di 18 anni), al contrario, il consumo è aumentato di circa il 5%.
Dopo la legalizzazione sono inoltre diminuite le importazioni illegali di droghe leggere dal Messico, a danno dei cartelli della droga.
In conclusione
Magi e Soldo hanno ragione quando parlano dei danni che ha fatto un approccio esclusivamente repressivo e proibizionista al problema, poiché anche a livello internazionale rapporti autorevoli hanno raggiunto simili conclusioni. Sul fronte dell’alternativa, però, le loro argomentazioni sono meno solide: non è vero, infatti, che i consumi negli Usa siano calati dopo la legalizzazione in alcuni Stati. Un calo sembrerebbe aver riguardato i più giovani, mentre nel complesso si è registrato un aumento, e in generale non è ancora sicuro quanto la legalizzazione abbia inciso su questi cambiamenti.