Matteo Salvini, commentando il 16 gennaio la necessità di una nuova legge elettorale per andare subito al voto, così da potersi finalmente concentrare sulle emergenze del Paese "lavoro e tasse", ha dichiarato: "L'Europa chiede all'Italia di mettere nuove tasse sui cittadini italiani".
Il segretario della Lega Nord faceva riferimento alle voci sull'imminente arrivo di una lettera di chiarimenti all'Italia sul debito. Voci confermate oggi dall'arrivo della missiva sul tavolo di Padoan. La richiesta di chiarimenti da parte della Commissione è solo il primo di una lunga serie di passaggi previsti dalla procedura europea che può culminare, in caso d' inadempienza, in una vera e propria procedura d'infrazione. Prima che si arrivi a sanzioni, è necessario che la palla passi al Consiglio - l'organo dell'Ue dove sono rappresentati gli Stati - e che l'Italia, presentate le sue ragioni che devono essere valutate e solo eventualmente respinte, persista nella sua condizione di irregolarità.
Il rapporto deficit/Pil per l'anno in corso, in base alla legge di bilancio approvata a dicembre 2016, salirà al 2,4%, mentre la Ue chiede che non superi il 2,2%. Non deve stupire che venga chiesta una correzione di un dato comunque inferiore a 3 punti percentuali - il parametro fissato nei trattati di Maastricht - perché dal 1 gennaio 2013 è in vigore il fiscal compact, che impegna gli Stati dell'Unione a criteri piu' stringenti al fine di perseguire il pareggio di bilancio.
Questo 0,2% di Pil che la Commissione chiede venga limato vale 3,4 miliardi di euro, una somma che il governo dovra' reperire con una manovra correttiva (al di la' del nome preciso che sara' dato a quest'azione di bilancio). Ma, anche se non la trovasse, e' dubbio che scattino le sanzioni previste dai Trattati. In passato, come certifica uno studio dell'IFO, prestigioso istituto di ricerca economica, in centinaia di casi di violazioni non fu data alcuna sanzione.
E' tuttavia sbagliato, come fa Salvini, sostenere che l'Europa chieda all'Italia di aumentare le tasse. L'Unione europea chiede di rispettare dei parametri, a cui l'Italia ha scelto di sottostare e su cui ha in tempi recenti goduto di una flessibilità "senza precedenti", senza specificare il "come" lo Stato italiano debba farlo.
L'aumento delle tasse e' ovviamente una possibilita' e in Italia spesso, a fronte di situazioni difficili, si e' scelta questa via. Ad esempio, dopo la crisi del 2011 e la "cura" del governo Monti, la pressione fiscale in Italia - secondo i dati dell'Ocse - aumento' di due punti percentuali, passando dal 41,9% del 2011 al 43,9% del 2012. Ma non e' l'unica possibilita', anzi.
L'altra via, spesso consigliata all'Italia, è quella della riduzione della spesa pubblica. Il precedente commissario per gli affari economici e monetari, il finlandese Olli Rehn, ad esempio già nel 2013 consigliava all'Italia di "agire sul lato della spesa piuttosto che sul lato delle tasse". Consiglio ribadito a livello generale anche nel 2014. Attualmente si tratta di trovare il modo, su un totale di oltre 800 miliardi di euro - a tanto ammontano le uscite per lo Stato italiano negli ultimi anni - per risparmiarne 3,4.
Secondo i lavori dei vari tecnici incaricati della spending review negli ultimi anni, una cifra del genere sarebbe facilmente risparmiabile se la politica avesse il coraggio di prendere decisioni strutturali e di lungo termine. Ma, come riscontrato da ultimo dall'ex consulente di Palazzo Chigi, l'economista Roberto Perotti, e prima di lui gia' da Carlo Cottarelli e da Enrico Biondi, tale coraggio alla politica italiana e' sempre mancato. Senza bisogno di tirare in mezzo l'Europa.