di Marta Allevato
Mosca - Amico e alleato nel migliore dei casi, "fantoccio e utile idiota di Putin" nel peggiore: sono questi alcuni degli appellativi con Donald Trump è stato apostrofato durante la campagna elettorale per via dei suoi presunti legami con il presidente russo. Nella difficoltà di provare reali interessi economici o patti politici che leghino a Mosca il candidato repubblicano alla Casa Bianca - il quale rifiuta di pubblicare la sua dichiarazione dei redditi - l'unica cosa certa è che con il leader del Cremlino non si è mai incontrato. Trump aveva invitato Putin alla serata di Miss Universo che, nel 2013, aveva portato a Mosca, anche grazie all'intercessione dell'oligarca azero vicino al governo russo, Aras Agalarov. Putin, però, declinò all'ultimo momento l'invito e fece arrivare in dono al miliardario americano una scatoletta di lacca, tipica dell'artigianato russo, con un bigliettino di "calorosi saluti", come raccontato dallo stesso Agalarov.
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Il leader del Cremlino si è tenuto ben lontano dal dare il suo endorsement a uno o all'altro candidato in questa campagna in cui la Russia mai come prima è stata al centro del dibattito. "Il popolo degli Stati Uniti farà la scelta che ritiene necessaria e in ogni caso lavoreremo con qualsiasi leader, se naturalmente questo vorrà lavorare con noi", ha detto Putin a ottobre, ripetendo la formula con cui Mosca si pone ufficialmente verso tutti i processi elettorali in altri paesi. La retorica della campagna elettorale di Trump è "il più grande sogno di tutti al Cremlino", ha commentato al The Post Tina Khidasheli, ministro della Difesa della Georgia, alleato degli Usa. "E' spaventosa, pericolosa e irresponsabile", ha aggiunto.
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PERCHE' TRUMP STRIZZA L'OCCHIO A MOSCA
Trump ha già annunciato un'America meno interventista e proiettata all'interno; ha paventato un disimpegno degli Usa dalla Nato qualora gli alleati non inizino a contribuire in modo maggiore alle spese di difesa; ha parlato in favore di un ripristino delle relazioni e del dialogo con Mosca per combattere l'Isis e ha dichiarato che non vorrebbe vedere Washington intervenire automaticamente al fianco dei paesi Baltici, minacciati dalla Russia. Il candidato repubblicano è arrivato a invocare l'aiuto della Russia per andare piuù a fondo nello scandalo e-mail dell'avversaria democratica Hillary Clinton e ha messo in dubbio che esista una campagna di hackeraggio lanciata dal Cremlino contro gli Usa; sulla Siria si è rifiutato di condannare i raid russi e siriani su Aleppo e ha detto di preferire una Crimea russa a una terza guerra mondiale per restituirla all'Ucraina. Da non trascurare, che Trump ha anche espresso più volte apprezzamenti personali su Putin ("è stato un leader molto più di quanto sia stato il nostro capo Obama") e si è detto disposto a invitarlo negli Stati Uniti. Mosca ha sempre bollato le sue parole come "retorica da campagna elettorale", ma devono essere suonate come musica nelle orecchie del leader del Cremlino, che nel suo terzo mandato si è concentrato soprattutto sul ritorno della Russia a grande potenza internazionale e sulla conquista del rispetto/timore da parte degli Usa. Putin dal canto suo, ha definito il tycoon americano "un uomo senza dubbio di grande talento". "Sostiene di voler far balzare a un altro livello le relazioni con la Russia. Come potremmo non vedere favorevolmente questa prospettiva?", ha dichiarato Vladimir Vladimirovich.
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I DUBBI DEL CREMLINO
Ma Trump rappresenta un'incognita. A Mosca si guarda all'elezione di Hillary Clinton con apprensione per via delle sue dichiarazioni sulla politica energetica e sulla Siria, ma si tratta di un 'nemico', con cui si è già avuto a che fare quando era segretario di Stato e di cui si conoscono punti forti e debolezze. A differenza di Trump. "La tv russa loda Trump perché dice cose belle su di noi, ma la posizione del governo è diversa, perché comprende che si tratta solo di parole. Quando le elezioni saranno finite, dovremo avere a che fare non solo con il nuovo presidente, ma con il sistema americano", ha spiegato a Foreign Affairs l'analista politico Serghei Markov, a capo di un think-tank filo Cremlino. A molti in Russia, Trump appare "troppo poco prevedibile, perchè non troppo esperto" di politica. "Certo, Trump ci piace - ha continuato l'analista - ma ha un forte super ego e potrebbe diventare ostaggio delle sue promesse. Apprezza Putin non per le sue politiche, ma perchè è un tipo figo, e temo che proverà costantemente a essere anche lui un tipo figo, magari più di Putin", ha spiegato Markov. "Se vincerà Trump, al Cremlino si brinderà a champagne, ma non per molto", ha dichiarato Gleb Pavlovsky, ex consigliere dell'amministrazione presidenziale russa e ora critico di Putin. "Presto, però, capiranno che non hanno risolto nulla e che l'elezione di Trump porterà più caos, ma quello che stiamo vendendo è proprio questo: caos", ha fatto notare. Soprattutto a causa della Siria, la crisi di fiducia tra i due paesi è ai livelli massimo dalla fine della Guerra Fredda e Trump più che un reale interlocutore con cui stringere alleanze è visto come un utile potenziale elemento di destabilizzazione interna. "Non importa chi sarà presidente, ogni tipo di subbuglio o divisione interna che sia difficile da superare è buona per la Russia. Se il tuo superpotente avversario è indebolito dall'interno, questo gioca a tuo vantaggio", ha spiegato l'analista Masha Lipman.
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CHE COSA PIACE DI TRUMP
Trump, inoltre, mina uno dei pilastri della politica estera Usa, che più disturba Putin: l'esportazione della democrazia e dei valori americani come forza di cambiamento positivo nel mondo. "Dicono che le nostre elezioni non sono buone, ma guardate le loro, guardate la loro tanto promossa democrazia", spiega Lipman il punto di vista russo. "Questa idea è molto più importante di una sola singola persona", sottolinea Lipman, spiegando che quello che "torna utile" a Mosca è "tutto cio che succede intorno alle elezioni Usa": la perdita di fiducia in un sistema che non è così forte come si pensava, l'avere due candidati che nessuno ama, i comportamenti poco trasparenti di chi aspira alla Casa Bianca. Il concetto che gli Stati Uniti non siano un modello a cui aspirare fa comodo anche sul fronte interno. "L'idea non è mostrare che esiste una verità ed è la tua, ma annacquare l'idea stessa della verità, dipingere un mondo, dove non ci sono standard morali e in cui importa solo da che parte stai. Se le posizioni coincidono, allora si gioca nella stessa squadra", conclude la Lipman. (AGI)