AGI - L'assassinio del capo politico di Hamas Ismail Haniyeh, ucciso nella notte a Teheran da un raid aereo presumibilmente israeliano, sta facendo salire la tensione in Medio Oriente mentre l'Occidente alza il livello di guardia contro un'eventuale escalation regionale che alcuni osservatori danno per scontata.
La violenta uscita di scena della mente politica di Hamas, da sempre legato agli Hezbollah sciiti, ha scatenato reazioni - benché in toni e gradazioni diverse - in quasi tutto il mondo islamico. Rimbomba il silenzio di Riad, Paese sempre più attivo a livello diplomatico sullo scacchiere internazionale, e della maggior parte dei paesi del Golfo riuniti nel Consiglio di Cooperazione del Goldo Persico (Gcc).
Paesi che per ragioni economiche e geopolitiche negli anni hanno cercato (spesso riuscendoci) di mantenersi in pragmatico equilibrio tra le diverse istanze di Stati Uniti e alleati Occidentali, da una parte, e 'fratelli' del mondo musulmano, dall'altra. Certo è che la morte di Hanyeh non resterà senza conseguenze. Sicuramente - osservano gli analisti - il conflitto che dal 7 ottobre vede Israele contrapposto ad Hamas, nella Striscia di Gaza, entra in una nuova fase: quella delle 'operazioni chirurgiche' nei Paesi amici dell'organizzazione terroristica volte a tagliare testa e braccia all'organizzazione artefice del brutale attacco a Israele dieci mesi fa. Israele aveva più volte annunciato di voler condurre una guerra 'selettiva' contro il nemico, ovunque si trovasse.
Il missile partito dall'estero (ma non ancora ufficialmente rivendicato da Tel-Aviv) contro un edificio residenziale di un quartiere apparentemente blindato di Teheran dove si trovava Ismail Haniyeh, insieme ad altri pezzi grossi di Hamas, fa ritenere che da oggi questa sarà una 'modalità' di guerra. Soprattutto, l'attacco a Haniyeh conferma una volta di più quello che il governo Netanyahu ha sempre ribadito ovvero che non c'è alcuna differenza, ai suoi occhi, tra braccio politico di Hamas e l'ala più dura, quella militare delle brigate Ezzedin al-Qassam guidate da Yehya Sinwar, secondo molti il vero artefice dell'attacco del 7 ottobre.
Sale la tensione nel mondo e si approfondiscono le spaccature che, senza sorpresa, interessano anche lo stesso mondo islamico. Le condanne a Israele, presunto mandante dell'operazione, sono ferme e minacciose da parte di Cina e Russia che si confermano sempre e comunque al fianco dell'Iran insieme alla Turchia di Erdogan. E se dal mondo sunnita arrivano dichiarazioni di condanna molto più simili a "prese di distanze", gli Stati Uniti - oggi nel vivo della campagna per le elezioni del 5 novembre - assicurano che "difenderemo Israele", lanciando l'ennesimo appello per un 'cessate-il-fuoco' immediato.
IRAN E HAMAS PROMETTONO VENDETTA. HOUTHI COL PIEDE DI GUERRA
La minaccia meno velata è giunta da Teheran che promette "una punizione severa". La morte di Haniyeh rappresenta un duro colpo per i Pasdaran e un rospo da ingoiare per il regime degli ayatollah. La Repubblica Islamica ha ancora una volta fallito nel garantire la sicurezza all'interno dei propri confini e traduce la propria frustrazione in minacce.
"Con questo atto, il regime criminale e terrorista sionista ha preparato il terreno per ricevere una severa punizione. Per noi e' un dovere vendicare il sangue che è stato versato sul territorio della Repubblica islamica dell'Iran", ha affermato la guida Suprema ayatollah Ali Khamenei, ultimo ad aver incontrato Haniyeh prima dell'attacco israeliano. Parole dure, che sono state ripetute dal neo presidente Masoud Pezeskian. Proprio il suo giuramento è stata l'occasione per portare Haniyeh fuori dal suo esilio "blindato" (tra Qatar e Turchia), a Teheran.
E Pezeskian, sulla stessa lunghezza d'onda dell'Ayatollah giura che l'Iran "è pronto a "far pentire gli invasori sionisti", a difendere il proprio "suolo, onore e dignita'" assicurando "d'ora in poi" un legame con la resistenza palestinese "ancora più forte". Parole che spengono sul nascere le speranze riposte da alcuni sul neo-presidente "riformista" e aperto al dialogo con l'Occidente.
Condanna e minacce sono arrivate ovviamente anche dagli sciiti yemeniti Houthi, da novembre impegnati a colpire le navi in transito nel Mar Rosso con azioni che hanno mandato in tilt il traffico marittimo. La scorsa settimana un razzo Houthi ha colpito Tel Aviv uccidendo una persona e innescando una reazione israeliana ancor più violenta, contro le infrastrutture portuali della città di Hodeidah. Gli Houthi avevano giurato che non avrebbero fermato gli attacchi contro l'Occidente fino alla fine della guerra a Gaza. Oggi hanno un motivo in più per mantener fede al giuramento.
RABBIA DEL QATAR, MEDIATORE IN PRIMA LINEA
In tutti questi mesi Doha è stata in prima linea con Turchia, Egitto e Usa nell'imbastire una trattativa per un cessate il fuoco con la liberazione degli ostaggi israeliani. Le dichiarazioni quatarine, tuttavia, rivelano i nervi scoperti del Paese che evidentemente vede traditi gli sforzi - forse anche maggiori di quelli egiziani e turchi - finora profusi per la pace. "Un vile crimine che mina speranze di pace", una "palese violazione dei diritti umani e del diritto internazionale che sta portando la regione nel caos". Il Paese del Golfo esce ugualmente colpito dalla morte del leader di Hamas: nonostante il proprio ruolo di mediatore, non da oggi ha finanziato, dato rifugio e protetto sul proprio territorio l'ufficio politico del movimento.
EGITTO, SIRIA E GIORDANIA PREOCCUPATI, 'TEL-AVIV NON VUOLE DE-ESCLATION'
La preoccupazione per una escalation che porti il conflitto nell'intera regione e' condivisa dai Paesi che confinano con Israele: Egitto, Siria e Giordania. In Siria, paese guidato con pugno di ferro da Bashar el-Assad dopo anni di guerra civile, il clima si era decisamente scaldato dopo l'attacco al campo di calcio druso, sulle contese alture del Golan. Per Bashar el Assad la morte di Haniyeh è una "sfacciata aggressione sionista" ma preoccupa ancora di più la possibilità di un'escalation in tutta la regione. Timori che il regime di Assad condivide con Il Cairo e Amman. Benché in toni diversi questi Paesi condannano Tel-Aviv per dimostrare nei fatti di non avere volontà politica di deesclare.
CONDANNE DA IRAQ E AFGHANISTAN MA RIAD TACE
La morte del leader di Hamas ha scatenato timori condivisi anche da parte del governo iracheno, che in questi mesi ha dovuto fare i conti con attacchi rivolti alle milizie filo iraniane presenti sul proprio territorio. Condanne ferme sono arrivate anche dal governo talebano afghano e dal vicino yemenita, mentre un altro Paese importante e dinamico del Golfo, gli Emirati Arabi Uniti, si limitano sui loro media ufficiali a prender atto dell'attacco chiedendosi come sia stato possibili arrivare a tanto. L'Arabia Saudita, vicina a uno storico riavvicinamento con Tel-Aviv, il Bahrein che con Tel-Aviv siglò gli accordi di Abramo ma anche l'Oman e il Kuwait tacciono.
BLINKEN, ORA CESSATE IL FUOCO E' IMPERATIVO
Pronta reazione anche da parte della diplomazia Usa, in queste ore impegnata in una missione in sud est asiatico. Da Singapore il segretario di Stato americano Antony Blinken avverte che ora un cessate il fuoco a Gaza è ancora più "imperativo". Blinken ha evitato di commentare nei dettagli l'accaduto anche perchè, a suo dire, gli Stati Uniti "non sono stati informati" né sono stati "coinvolti" nell'uccisione a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Washington nei giorni precedenti, soprattutto dopo l'attacco alla città drusa di Majdal Shams aveva ribadito il "diritto" di Israele di difendersi.