AGI - Milioni di musulmani in tutto il mondo celebrano oggi la ricorrenza dell'Eid Al-Adha, una delle più importanti feste del mondo islamico. Conosciuta come "Festa del Sacrificio", è il giorno in cui si commemora l'aneddoto del Corano in cui il profeta Abramo (Ibrahim) accetta di sacrificare il proprio figlio Ismaele (Ismail), in un atto di riverenza nei confronti di dio. L'atto di fede e l'obbedienza di Abramo furono sufficienti a convincere la divinità, e a risparmiare la vita del giovane Ismaele, il cui corpo fu sostituito, un attimo prima del sacrificio, con un montone che venne sgozzato dallo stesso Abramo.
Un gesto che viene ripetuto nelle commemorazioni di oggi, caratterizzate appunto dal sacrificio di un animale, una capra, pecora, vacca o montone, la cui carne viene poi distribuita a familiari, parenti, vicini, amici e ai poveri all'interno della comunità. Per la religione islamica è il momento in cui i più ricchi mettono a disposizione le proprie risorse per permettere la macellazione di animali la cui carne viene elargita i poveri.
- LO SGOZZAMENTO DI ANIMALI, TRA TRADIZIONE E RESTRIZIONI
Nei secoli passati la 'Festa del Sacrificio' ha rappresentato il momento in cui le famiglie più importanti affermavano la propria influenza sulla comunitaà; oggi il sacrifico di questi animali costituisce un rito cui milioni di famiglie non rinunciano, anche se negli ultimi anni sono diversi i Paesi in cui questo atto è stato regolamentato. Il rituale islamico prevede infatti di sgozzare l'animale, far uscire tutto il sangue e poi eliminare la pelle e iniziare la macellazione. Una procedura non semplice e spesso controversa dal punto di vista igienico che continua ad avere luogo nelle campagne e nelle aree rurali, ma che è stata soggetta a restrizioni nelle città.
Restrizioni che sono servite sia a limitare i veri e propri torrenti di sangue che scorrevano nelle strade, ma anche a evitare migliaia di ferimenti di persone che non sono capaci né di immobilizzare né tantomeno di sgozzare animali che possono pesare anche diverse decine di chili. In Turchia il governo ha proibito lo sgozzamento 'fai da te', che viene effettuato perlopiù in fattorie e allevamenti autorizzati situati ai margini delle città, dove poi le famiglie si recano a ritirare la carne fatta a pezzi. È obbligatorio però dire che, anche in Turchia, in molti non rinunciano allo sgozzamento fatto in casa. Il rituale tradizionale cui partecipano tutti i membri della famiglia spesso avviene in cortili, garage, spazi aperti, nel tentativo di evitare comunque sanzioni da parte delle forze dell'ordine e della municipalità.
Lo sgozzamento segue un rituale preciso, che va avanti sempre uguale nelle aree rurali, villaggi, alpeggi sia in Turchia che in tutto il mondo islamico. L'uomo più anziano taglia la gola all'animale, che nel frattempo è stato immobilizzato e fatto cadere su un fianco, si attende che il sangue sgorghi e che l'esofago non esali più aria e allora tutta la famiglia entra pian piano in azione. I più grandi partecipano allo spellamento e al taglio dei singoli pezzi, i più piccoli portano i pezzi già tagliati dalle donne, che li lavano in capienti ciotole di plastica. Dopo il lavaggio, particolarmente minuzioso nella parte dell'intestino, le donne, tagliano la carne in pezzi sempre più piccoli, adeguati alla cottura. Una parte viene utilizzata per la zuppa, in particolare i pezzi di carne della testa e delle zampe e zoccoli. Il resto viene cotto al vapore, in piccoli pezzi che poi vengono serviti con riso bianco e distribuiti equamente.
- LA FESTA DEL SACRIFICIO ATTO FINALE DEL PELLEGRINAGGIO
La Festa del Sacrificio coincide con l'atto finale del pellegrinaggio in Arabia Saudita, e più precisamente alla Mecca, detto Hajii. Considerato uno dei 5 pilastri della fede islamica insieme alla professione di fede, alle preghiere giornaliere, al pagamento della tassa da redistribuire tra i bisognosi e al digiuno durante il mese sacro di Ramadan, l'hajii quest'anno ha già richiamato in Arabia Saudita più di 1,8 milioni di fedeli. Il pellegrinaggio prevede un rituale di 5 giorni e ricade nella seconda settimana del mese lunare del Dhul Hijja, dodicesimo e ultimo del calendario islamico. Un percorso che inizia con la vestizione, detta 'ihram' e termina con un simbolico lancio di pietre nei confronti di alcuni pilastri di roccia che rappresentano il diavolo.
'Ihram' è un termine che indica l'atto di svestirsi dei propri vestiti e averi e la vestizione con semplici tuniche bianche rigorosamente prive di cuciture, simbolo da un lato di umiltà e purezza, dall'altro di uguaglianza e unita' tra tutti i fedeli. Un viaggio che per molti inizia già prima della partenza per la Mecca. È infatti usuale che i fedeli si rechino da parenti, in particolare anziani o con problemi di salute, per raccogliere le preghiere che vogliono siano portate nei luoghi sacri dell'Islam. Chi compie il viaggio per la prima volta, magari dopo un lungo periodo dedicato a mettere da parte i soldi necessari, visita amici o parenti che hanno compiuto il pellegrinaggio e assunto il titolo di 'hajii' per chiedere consigli sul viaggio o su come fronteggiare il caldo torrido che quest'anno ha toccato i 47 gradi. Giunti nei luoghi sacri i pellegrini trascorrono tre giorni nei luoghi in cui il profeta Maometto secondo la tradizione ricevette le rivelazioni da parte di dio e iniziò a predicare, facendo proseliti attraverso sermoni il cui contenuto è poi stato fissato nel Corano.
I pellegrini si recano presso la Kaba, edificio più antico della storia dell'Islam, attorno alla quale prende forma il "tawaf", una processione che ruota intorno all'enorme cubo nero. Una rotazione che il singolo musulmano compie 7 volte, in verso antiorario, prima di lasciare il posto a un altro fedele e mantenere il rito in atto per giorni. Il 'tawaf' viene ripetuto, con un ultimo giro sempre in senso antiorario, dai pellegrini prima dell'abbandono dei luoghi sacri. In questi giorni i pellegrini effettuano il percorso tra le localita' di Safa e Marwa 7 volte avanti e indietro, facendo sosta sul monte Arafat. Sulle pendenze di questo promontorio spoglio, ogni anno, centinaia di migliaia di fedeli si affollano per pregare ed espiare i propri peccati.
- LA LAPIDAZIONE DEL 'DIAVOLO'
Qui avviene anche il rituale della lapidazione delle rocce che rappresentano il diavolo. Questi pilastri di roccia sono situati in un luogo sacro della Mecca, conosciuto come Mina, lo stesso punto in cui i musulmani credono che il profeta Abramo abbia acconsentito a effettuare il sacrificio del figlio Ismaele. Qui ogni pellegrino lancia sette sassi contro ognuno dei tre pilastri e può poi riposare in un complesso a più piani che ha rimpiazzato gli antichi caravanserragli. La lapidazione del simbolo del male costituisce uno dei riti conclusivi dell'Hajii, l'allontanamento del diavolo e delle tentazioni. Le pietre vengono infatti raccolte in un sito noto come Muzdalifa, dove i pellegrini trascorrono la notte dopo essersi radunati a pregare sul monte Arafat.
- LA KAABA, IL SANTUARIO PIU' SACRO DELL'ISLAM
A chiudere l'Hajii è l'ultimo rituale giro attorno alla Kaaba, il santuario più sacro dell'Islam. La Kaaba non è considerata un luogo da venerare di per se', ma la meta finale del viaggio, il punto verso cui è rivolta ogni singola preghiera di ogni singolo musulmano in ogni angolo del mondo. Nella tradizione islamica si narra che la Kaaba originaria fosse stata distrutta dal diluvio universale, ma alcuni pezzi della 'pietra nera' che la costituiva furono messi in salvo. Abramo riuscì a trovare la stessa pietra tra le rocce di una montagna e, aiutato dal figlio Ismaele, poté estrarla per la ricostruzione dell'edificio danneggiato. A uno dei restauri, secondo la narrazione islamica, prese parte anche il profeta Maometto, che una volta conquistata la Mecca distrusse tutti gli altri idoli pagani presenti nella Kaaba e la rese un simbolo dell'Islam. L'anno scorso, come quest'anno, furono quasi 2 milioni i fedeli che raggiunsero i luoghi sacri dell'Islam in Arabia Saudita, tuttavia prima della pandemia i numeri erano ben più alti e il numero di pellegrini superava i 2,5 milioni. Numeri che trovano giustificazione nel fatto che il pellegrinaggio costituisce un viaggio che "ogni musulmano deve portare a termine almeno una volta nella vita". Un obbligo da cui sono esentati solo coloro che non sono fisicamente in grado di raggiungere i luoghi sacri.