AGI - L’esposizione agli attuali livelli di ozono troposferico (O3) è una delle principali cause di mortalità prematura dovuta all’inquinamento atmosferico in Europa, soprattutto in estate; e il 60% di questo ozono è importato. Lo rivela uno studio condotto dal Barcelona Institute for Global Health, ISGlobal, centro sostenuto dalla Fondazione “la Caixa”, in collaborazione con l’Istituto nazionale francese di sanità e ricerca medica, Inserm, assieme al Barcelona Supercomputing Center – Centro Nacional de Supercomputación, BSC-CNS, pubblicato su Nature Medicine. I ricercatori hanno quantificato, per la prima volta, l’impatto dell’O3 importato sulla mortalità.
I risultati hanno importanti implicazioni per la qualità dell’aria e le politiche di salute pubblica nel continente e all’interno dell’Unione Europea. L’ozono troposferico è un inquinante atmosferico nocivo che si forma nella troposfera dall’interazione della luce solare con diversi gas precursori, principalmente ossidi di azoto (NOx) e composti organici volatili (COV) di origine naturale e antropica. Elevati livelli di O3 sono associati a una serie di effetti negativi sulla salute respiratoria, tra cui l’aggravamento dell’asma, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, la riduzione della funzionalità polmonare e le infezioni, che nei casi più gravi portano all’ospedalizzazione e alla morte.
Il gruppo di ricerca ha quantificato il contributo dell’O3 nazionale e importato alla mortalità in 35 Paesi europei, tra il 2015 e il 2017, coprendo 813 regioni e circa 530 milioni di persone. Gli esiti mostrano che l’O3 importato ha contribuito all’88,3% di tutti i decessi attribuibili a questo inquinante. La maggior parte di questo O3 transfrontaliero proveniva da fonti emisferiche e trasporti, rappresentando il 56,7% della mortalità totale attribuibile. Anche l’O3 importato dagli altri 34 Paesi europei ha avuto un effetto significativo sulla mortalità, pari al 20,9%. La concentrazione di O3 in un determinato luogo dipende molto dal trasporto troposferico dell’inquinante stesso.
“Gli effetti sulla salute dell’O3, e di qualsiasi inquinante atmosferico in generale, non sono affatto una questione locale”, ha detto Hicham Achebak, ricercatore presso l’Inserm, in Francia, e ISGlobal e titolare di una borsa di studio post-dottorato Marie Sklodowska-Curie della Commissione europea. “In questo studio – ha continuato Achebak – abbiamo scoperto che l’11,7% dei decessi attribuibili all’O3 è causato da fonti nazionali”. “Questo fatto sottolinea la necessità di azioni coordinate su scala locale, continentale e globale da parte di tutti i Paesi per ridurre le concentrazioni di O3 e il loro impatto sulla salute”, ha aggiunto Achebak, che è anche primo autore dello studio.
L’analisi si è basata sui dati della stagione calda, da maggio a ottobre, dove vi sono i valori più alti di O3. Per tracciare le concentrazioni di O3, lo studio ha utilizzato il sistema di qualità dell’aria CALIOPE, sviluppato presso il BSC-CNS, che copre l’Europa e le aree circostanti. Questo sistema tiene traccia sia dell’O3 che dei suoi precursori, cioè NOx e COV, che si formano o vengono emessi in ogni regione. Per ottenere dati al di fuori dell’area di studio, i ricercatori hanno utilizzato un approccio modellistico che ha permesso di tracciare la dispersione e il trasporto degli inquinanti atmosferici su lunghe distanze. Il metodo ha incluso anche le emissioni provenienti dalla terraferma e dal mare. La concentrazione media di O3 in tutti i Paesi e nel periodo di studio è stata di 101,9 μg/m3, con un range che va dai 76,7 μg/m3 della Finlandia ai 130,1 μg/m3 di Malta.
Il numero stimato di decessi attribuibili all’O3 durante il periodo di studio è stato di 114.447, stimati sulla base dell’intera gamma di concentrazioni di O3, con un tasso di mortalità attribuibile di 72 decessi per milione di popolazione all’anno. I paesi più industrializzati e popolosi contribuiscono maggiormente alla mortalità. Inoltre, poiché le temperature più calde al sud favoriscono la formazione di O3, le concentrazioni di questo inquinante diminuiscono nel nord del continente. I carichi di mortalità più elevati sono stati stimati nei Paesi più popolati, come Germania, Italia, Francia, Regno Unito, Spagna e Polonia, mentre i tassi di mortalità più alti sono stati riscontrati nei Paesi sud-orientali, come Bulgaria, Serbia, Croazia, Ungheria, Grecia e Romania.
L’analisi ha anche mostrato che all’interno dell’Europa i Paesi più industrializzati sono i maggiori responsabili della mortalità attribuibile all’O3 transfrontaliero trasportato, in particolare la Francia, con una stima di 4.003 decessi tra il 2015 e il 2017, e la Germania, con 3.260 decessi. L’O3 proveniente dalla Francia ha avuto un impatto significativo sui Paesi vicini, come il Lussemburgo, con il 32,3% dei decessi attribuibili all’O3, la Svizzera, con il 29,3%, il Belgio, con il 24,4%, o la Spagna, con il 16,8%. Anche l’O3 proveniente dalla Germania ha avuto un impatto significativo su Paesi vicini come il Lussemburgo, con il 24,2% dei decessi, la Repubblica Ceca, con il 23,3%, o i Paesi Bassi, con il 21,5%. I risultati evidenziano l’importanza dei venti occidentali, con i Paesi situati a est che hanno un numero maggiore di decessi attribuibili all’O3 importato da altri Paesi europei.
I Paesi dell’Europa sudoccidentale sono stati i meno colpiti dagli effetti sulla salute dell’O3 importato da altri Paesi europei. Infatti, Spagna, Francia e Portogallo sono stati i Paesi con la maggiore frazione di mortalità attribuibile all’O3 nazionale, rispetto ai contributi di altri Paesi europei, con rispettivamente il 53,7%, il 47,1% e il 46,2% dei decessi e il più basso rapporto tra 03 importato ed esportato di decessi attribuibili. In alcune regioni costiere e nei piccoli Paesi del Mediterraneo, il contributo delle emissioni del trasporto marittimo è stato significativo, come nel caso di Malta, con i 24% dei decessi, e Cipro, con il 14%.
Lo studio sottolinea la necessità di una quantificazione sistematica dei contributi nazionali, comunitari ed extracomunitari ai livelli di inquinamento atmosferico e agli impatti sulla salute ad esso associati, come passo essenziale prima dell’elaborazione di piani di regolamentazione e mitigazione, in particolare per gli inquinanti atmosferici, come l’O3, che sono facilmente trasportati attraverso i confini politici. “Finora, gli sforzi di mitigazione si sono concentrati principalmente su scala nazionale e regionale, senza una valutazione completa e transfrontaliera degli effetti sulla salute associati”, ha affermato Joan Ballester Claramunt, ricercatore ISGlobal e coautore dello studio.
“Il nostro studio è un primo passo verso questa analisi approfondita, che aiuterebbe a raggiungere gli standard di qualità dell’aria dell’OMS per prevenire le morti premature e altri impatti sulla salute, come i ricoveri ospedalieri e le malattie croniche”, ha proseguito Ballester Claramunt. Dati i grandi contributi non nazionali all’O3 medio in ogni località, lo studio sottolinea che i risultati non dovrebbero essere interpretati dalle autorità locali per la qualità dell’aria come una giustificazione per la negligenza locale. “Durante gli episodi di O3 più elevati, i contributi locali e nazionali possono aumentare in modo sostanziale e le azioni di mitigazione locali possono aiutare a ridurre notevolmente i superamenti giornalieri delle soglie regolamentate”, ha dichiarato Carlos Pérez García-Pando, professore di ricerca ICREA e AXA presso il Dipartimento di Scienze della Terra del BSC-CNS e coautore dello studio.
“Inoltre – ha precisato Pérez García-Pando – le strategie di mitigazione locale sono fondamentali per ridurre l’esportazione di O3 in altre regioni e Paesi”. Il riscaldamento climatico rafforzerà le condizioni per la formazione di O3 nella troposfera in futuro, poiché i meccanismi fotochimici di formazione di O3 sono favoriti durante le ondate di calore e i periodi di elevata radiazione solare. “Affrontare il cambiamento climatico è fondamentale per migliorare la qualità dell’aria e, a sua volta, è un elemento chiave da considerare quando si progettano e si attuano politiche a lungo termine e durature su scala globale”, ha osservato Oriol Jorba, ricercatore e capogruppo del Gruppo di Composizione Atmosferica presso il Dipartimento di Scienze della Terra del BSC-CNS.
“Inoltre – ha concluso Jorba – le ricerche future dovrebbero concentrarsi sul perfezionare i nostri risultati, analizzando il contributo alla mortalità dei diversi settori economici e delle fonti naturali, che subiscono l’impatto dei cambiamenti climatici”.