AGI - Le elezioni dello scorso 31 marzo hanno scavato un solco nella politica turca. Dopo 22 anni l'Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan non è più primo partito del Paese e non governa nelle cinque più popolose città, ma va anche registrato il crollo del partito filo curdo Dem e la crescita del partito islamico ultraconservatore Yeni Refah. Un risultato che, al di là delle critiche subite negli ultimi anni, conferma che la Turchia è un Paese dove il processo democratico si svolge in maniera regolare, la gente crede nel potere del voto e della rappresentanza.
Nonostante infatti l'affluenza del 78.5% sia stata la più bassa degli ultimi 20 anni, rimane un dato alto. A tenere lontani tanti elettori stavolta è stata la delusione per la gestione dell'economia. Per rendere l'idea della dimensione della partecipazione basti pensare che nelle presidenziali di appena 10 mesi fa l'affluenza fu dell'87%, ma furono necessari due turni di elezioni per eleggere Erdogan, che al ballottaggio la spuntò con un risicato 52%, una percentuale non certo 'bulgara', lontana da quelle di Paesi come Russia e Azerbaigian.
La pesante sconfitta patita da Erdogan ha fatto scivolare in secondo piano la crescita del partito Yeni Refah, islamici ultraconservatori che nel giro di 10 mesi hanno raddoppiato i voti e con 2,8 milioni di preferenze sono diventati il terzo partito del Paese. Un successo ottenuto grazie a una campagna contro Erdogan, accusato di "aver svenduto Gaza a Israele", di non essere intervenuto a favore dei palestinesi e non aver applicato sanzioni economiche a Israele. Ha fatto il giro del web la pubblicità in cui un timbro dell'Akp diveniva una bandiera israeliana. Refah ha accusato Erdogan di essere passato alla politica dell'aumento dei tagli di interesse, teoricamente non in linea con la religione, ma anche di aver dato troppo spazio e libertà alla comunità Lgbtq e di aver imposto il vaccino anti-Covid alla popolazione.
Alla crescita di Yeni Refah è corrisposto il crollo dei filo curdi di Dem, sigla che ha sostituito Hdp. Cinque anni fa schierati al fianco del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, quest'anno i Dem hanno presentato una candidata che ha raccolto il 2% delle preferenze. Un crollo verticale rispetto all'8% ottenuto alle presidenziali di 10 mesi fa nella stessa Istanbul. È evidente come i voti, nonostante la presenza di una candidata, siano finiti nel paniere di Imamoglu, mostratosi più concreto rispetto al partito stesso. Su scala nazionale i voti raccolti dai filo-curdi sono stati molti meno, i Dem sono passati dall'8,8% dello scorso maggio al 5,7% attuale e non sono più il terzo partito del Paese.