AGI - Sono oltre 61 milioni gli iraniani chiamati venerdì alle urne per eleggere i 290 deputati del Parlamento, ormai dominato dai conservatori, e gli 88 membri dell'Assemblea degli esperti, l'organismo incaricato di eleggere la Guida Suprema della Repubblica islamica. Come la precedente consultazione nel 2020, anche queste elezioni saranno caratterizzate dall'indifferenza dell'elettorato per la difficile situazione economica, dalla squalifica dei candidati riformisti e dalla disaffezione politica, accentuata dalle proteste scatenate per la morte in custodia della polizia morale della giovane curda Mahsa Amini, nel settembre del 2022. Sono 15.200 i candidati in lizza per uno dei 290 seggi del Parlamento iraniano, ma in molti nel Paese non hanno intenzione di recarsi alle urne "per non legittimare" la Repubblica islamica, che invece attribuisce grande importanza al dato dell'affluenza. "Se mostriamo al mondo che il popolo è presente in situazioni importanti e determinanti, salveremo il Paese", ha dichiarato la Guida suprema, Ali Khamenei, a meno di 48 ore dall'inizio delle elezioni. "Non votare non porta a niente e non risolve i problemi del Paese", ha aggiunto l'ayatollah, incontrando un gruppo di giovani, che voteranno per la prima volta venerdì. Il comandante dei Guardiani della Rivoluzione, il generale Hossein Salami, ha affermato che votare sarà "un pugno in bocca ai rivali".
Le previsioni indicano una bassa partecipazione alle elezioni, tra le richieste di astensione da parte di personaggi pubblici come la premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi, detenuta in carcere, che considera il boicottaggio "un obbligo morale per gli iraniani che amano la libertà e cercano giustizia". Secondo un recente sondaggio, condotto da un centro governativo, solo il 30 per cento degli iraniani ha intenzione di recarsi alle urne; nelle ultime legislative del 2020, l'affluenza era stata del 42 per cento, il dato più basso della storia della Repubblica islamica. Tra le ragioni per spiegare la disaffezione verso il voto vi è la situazione economica del Paese: paralizzata dalle sanzioni occidentali dal 1979, la Repubblica islamica continua a essere tagliata fuori da gran parte del mondo. L'inflazione è superiore al 32 per cento, con milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Altra ragione che non incoraggia la partecipazione dell'elettorato è la squalifica dei candidati riformisti.
Tra gli "esclusi" quest'anno anche i l'ex presidente Hassan Rohani, che aspirava a confermare il suo posto nell'Assemblea degli esperti. L'affluenza alle urne può, però, risultare diversa al di fuori dei centri urbani. Nelle cittadine e nei villaggi sono attesi livelli più elevati di partecipazione elettorale. Gli osservatori internazionali hanno ripetutamente criticato Teheran per tenere elezioni né libere né giuste, caratterizzate da un filtro elevato del tipo di candidati ammessi al processo elettorale.
Si vota anche per il dopo Khomeini
Le elezioni in programma il prossimo 1 marzo in Iran non riscuotono interesse e non vedranno la partecipazione della maggior parte della popolazione, ma sono cruciali per il sistema di potere della Repubblica islamica perché oltre al Parlamento si rinnova l'Assemblea degli esperti, l'organismo che elegge la Guida Suprema. L'ayatollah Ali Khamenei, attuale leader della Repubblica islamica, ha ormai 84 anni e la necessità di garantire che la sua successione avvenga all'interno di un gruppo di potere sempre ristretto ha comportato la "squalifica" di molti candidati, anche illustri, che aspiravano a un posto nell'Assemblea. Nel 2021, quando Khamenei era già in precarie condizioni di salute, candidati come l'ex presidente del Parlamento Ali Larijani furono squalificati. Stavolta, è stato escluso anche l'ex presidente moderato Hassan Rouhani che puntava al rinnovo del suo incarico.
Venuto completamente meno il momento di partecipazione popolare, le elezioni iraniane non si presentano più ormai neanche come un sistema di alternanza al potere delle e'elite. Il prossimo 1 marzo costituisce solo un'occasione per il sistema di mettere in cassaforte il dopo Khamenei. La morte dell'ayatollah è destinata a costituire un momento chiave per il futuro dell'Iran. Alla guida del Paese dal 1989, Khamenei ha da allora accumulato un potere che nella storia iraniana puo' essere paragonato solo al vertice della dinastia Qajar. La Guida Suprema ha costituito un oscuro apparato di 5 mila persone, in cui il figlio Mojtaba riveste un ruolo centrale, ma da dietro le quinte. Un ufficio in cui sono numerosi anche i membri dei pasdaran, in un connubio che Guida Suprema e Guardiani della Rivoluzione sono determinati a mantenere anche nel post-Khamenei. A differenza del padre della Rivoluzione islamica, Khomeini, morto nel 1989, Khamenei non ha delegato molti dei poteri a lui riconosciuti. Anzi, il presidente Ebrahim Raisi lavora sotto l'influenza costante dell'apparato della Guida Suprema. Al momento non vi sono candidati alla successione di un ruolo diventato cosi' tentacolare nel sistema di potere del Paese, 'una piramide sulla testa' di Khamenei, secondo la definizione di molti analisti. L'estabilishment usera' le prossime elezioni per garantirsi che il dopo Khamenei venga gestito dallo stesso circolo di potere ristretto che lui stesso ha nutrito dal 1989 a oggi.