AGI - Se Gaza è rimasta ininterrottamente sotto i riflettori dal 26 ottobre 2023, quando Israele ha dato il via all'invasione di terra della Striscia per annientare Hamas, della Cisgiordania e di Gerusalemme, dove vivono in condizioni disperate quasi 50mila cristiani "si è parlato molto meno, nonostante le difficoltà per certi versi maggiori che a Gaza". A constatarlo è l'Ambasciatore Leonardo Visconti di Modrone, oggi al suo secondo mandato come Governatore Generale dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Già Ambasciatore italiano in Spagna e, dal 2017, Governatore dell'istituzione laicale al servizio della Chiesa Cattolica in Terra Santa, Visconti di Modrone ha appena concluso una delle missioni più complesse della sua lunga carriera: una settimana in pellegrinaggio nei luoghi dove infuria la guerra, con una piccola delegazione dell'Ordine guidata dal gran maestro, il Cardinal Fernando Filoni, e a stretto contatto con le popolazioni rimaste in città 'fantasma' come Gerusalemme, Betlemme e altri centri della Cisgiordania. Civili - evidenzia il diplomatico - che stanno soffrendo "non certo meno che a Gaza".
Le festività natalizie, anche durante l'intifada, riuscivano a portare in questi luoghi sacri, ricchi di storia e d'arte, turisti da tutto il mondo. Nella Città Santa, dentro le antiche mura, dove normalmente fiorivano piccole attività commerciali legate al turismo, “ho trovato solo botteghe e ristoranti sprangati: deserta la Via Dolorosa, dalla Porta dei Leoni verso il Santo Sepolcro - racconta il diplomatico – deserte le chiese, e luci spente nei musei principali: quello della Terra Santa e il Museo della Flagellazione”.
“L’assenza del turismo e dei pellegrini – osserva – ha distrutto la già fragile economia che c’era anche se la città è stata senza dubbio meno bersagliata dai razzi di Hamas, dicono, perché abitata da molti più palestinesi”. Nei sette giorni trascorsi in quei luoghi, secondo fonti locali, Hamas ha sparato su Tel-Aviv e dintorni ben 27 razzi: “Anche a Gerusalemme, racconta, in tanti hanno visto i razzi di Hamas sorvolare la città prima di essere intercettati”.
I Cristiani nella regione
Chiediamo subito qual è la situazione della comunità cristiana della regione. “A Gaza, conferma Visconti di Modrone, vivono solo pochi cristiani (n.d.r. un migliaio circa): 600 si sono rifugiati nell’edificio, peraltro danneggiato, dell’unica parrocchia della Striscia, altri 200 nella chiesa ortodossa mentre un centinaio è riuscito a fuggire verso sud e oggi è in Egitto”. In tutto, prosegue l’ambasciatore, si calcola che siano morti almeno 25 cristiani dall’inizio delle ostilità, di questi 17 uccisi dal fuoco israeliano”. I numeri sono tuttavia incerti per via dei numerosi feriti ricoverati negli ospedali (di cui non si sa nulla) e per l’assenza di fonti verificabili.
“Solo i giordani, racconta ancora l’ambasciatore, sono riusciti a paracadutare cibo e medicinali a Gaza…Il nord da tempo è inaccessibile anche alla Chiesa e ai suoi volontari”. Nella Parrocchia di Gaza, peraltro, i religiosi erano riusciti a stoccare beni all’inizio della guerra e anche a trasferirvi un forno per la panificazione: “ora non c’è più farina e il forno è inutilizzato. Il Patriarcato a Gaza è impotente ma farà di tutto per aiutare chi è rimasto a Gaza, senza un tetto, non appena il conflitto sarà terminato”, fa sapere Visconti di Modrone prima di descrivere l’altrettanto drammatica situazione in cui versa la comunità cristiana (40 mila persone circa) dei Territori.
In Cisgiordania, dove vivono circa 40mila cristiani
“Di Cisgiordania si parla meno, ma lì vi sono molti più cristiani e i problemi per il Patriarcato saranno ancor maggiori che a Gaza proprio perché i cristiani sono molto più numerosi. In Cisgiordania, prosegue, si vive in un autentico clima di guerra e di occupazione anche se diverso da quello di Gaza…Lo si percepisce dai racconti, disperati, dei Palestinesi”.
Il dramma della disoccupazione
All’inizio dell’anno, inoltre, sono entrate in vigore, stando a quanto riferito al governatore, nuove misure per regolare il mercato del lavoro: si offre lavoro agli indiani, ai cingalesi, ai rumeni, ai moldavi, ai filippini al doppio del salario di un palestinese, pur di privarlo del lavoro che aveva: “è stata approvata – spiega - una legge dal parlamento di Israele che offre a 80.000 indiani lavoro, con salari più alti (circa 2.000 euro per mese più assicurazione)”.
La paura e la guerra hanno insomma favorito misure per creare disoccupazione ‘ad arte’ tra i palestinesi, anche a prezzo di danneggiare gravemente l’economia israeliana per via dei costi maggiori della manodopera importata dall’estero. La riscossione delle imposte stessa, effettuata da Israele per conto dei palestinesi, ne risentirà.
Gli insediamenti
Intanto, rammenta ancora l’ambasciatore, gli insediamenti continuano, complici le agevolazioni fiscali concesse da Tel-Aviv agli ebrei della diaspora per occupare edifici costruiti su terreni requisiti militarmente, e distribuiti territorialmente laddove abitavano i palestinesi. Si tratta di attività onerose per il bilancio israeliano che, tuttavia, si addossa i costi equiparandole a operazioni militari.
“La procedura degli insediamenti – a quanto mi è stato spiegato - inizia con una confisca seguita da un’occupazione giustificata da ‘ragioni militari’ quindi senza compenso; progressivamente l’occupazione si converte in un insediamento, dove si applica la legge israeliana: nessun palestinese può entrare se non per lavoro dipendente e con speciali permessi e gli insediamenti sono collegati con bus riservati agli ebrei fino a Gerusalemme… Grazie alle pressioni americane contro le nuove colonie oggi esiste ancora un ‘corridoio’ libero da insediamenti verso la Giordania”.
Cristiani- israeliani contro cristiani-palestinesi
“In questo contesto di odio radicalizzato da anni di violenza e di errori che risalgono al passato, anche i Cristiani, contrari a qualsiasi forma di violenza, da qualsiasi parte provenga, sono evidentemente invisi ai più fanatici fra gli ebrei che si rendono conto di non avere alleati in essi”, spiega ancora Visconti di Modrone rammentando come le violenze contro i Cristiani e i loro simboli siano “all’ordine del giorno”.
“Per l’opinione pubblica internazionale, aggiunge, il contrasto è fra ebrei e arabi, ma in realtà qui si percepisce che è anche fra ebrei e cristiani. Il rapporto fra i cristiani-israeliani e i cristiani-palestinesi è difficile e, paradossalmente, la guerra sta vedendo anche militari cristiani-israeliani che combattono a Gaza contro cristiani palestinesi”.
Inoltre, constata il diplomatico, “si prevede che la ricostruzione di Gaza sarà lunga: ci vorrà un anno solo per ripulire la città e sette anni per ricostruirla. Ma in Cisgiordania i cristiani e, in particolare, il Patriarcato possono rimboccarsi le maniche subito, sia sul fronte umanitario che su quello della creazione di posti di lavoro per ridare speranza a chi l’ha perduto”. E senza mai dimenticare, ribadisce evidentemente riferendosi alla brutale aggressione del 7 ottobre di Hamas contro inermi civili che "il massacro non ha mai giustificazione". E, infatti, il Patriarcato è stato ugualmente solidale con quegli israeliani costretti ad abbandonare tutto dopo quell'assalto.
Ricostruire la fiducia reciproca, una missione possibile?
“L’odio e le tensioni radicati profondamente in Cisgiordania, dopo anni di violenze, saranno difficili da ‘riparare’ ma è proprio qui, dove il Patriarcato possiede ancora parecchie terre, che si può fare la differenza”, afferma il diplomatico dando una luce di speranza mentre descrive la futura “missione possibile” dell'Ordine: non solo l’azione umanitaria, la priorità odierna, ma politiche attive sui Territori e in Terra Santa, volte a promuovere l’occupazione, riaprire le scuole, riattivare la rete della solidarietà, rilanciare il turismo e i pellegrinaggi.
“Sarà un lavoro colossale”, sospira l’Ambasciatore.