AGI - Modifica della Costituzione, digitalizzazione completa dell'amministrazione, del patrimonio culturale e storico, ma anche asilo climatico in Australia per gli abitanti. Le autorità delle isole Tuvalu, stato composto da diverse isole nel Pacifico del Sud, corrono ai ripari di fronte all'ineluttabile rischio di scomparire per via dell'aumento del livello dell'acqua, conseguenza diretta dei cambiamenti climatici.
Nel Pacifico, centinaia di micro isole sono notoriamente a rischio di sommersione a causa dell'innalzamento del livello dell'acqua. Secondo uno studio della Nasa, il livello del mare intorno a Tuvalu - in passato le Isole Ellice, tuttora formate da nove isole distinte - è aumentato di quasi 10 centimetri negli ultimi 30 anni, e si prevede che aumenterà nuovamente di 10 centimetri o più entro il 2050.
In altre parole, se il ritmo attuale di erosione delle superfici degli atolli e di innalzamento dei mari dovesse essere confermato - secondo gli esperti - Tuvalu, uno degli stati più piccoli e meno abitati al mondo, proprio per la sua particolare conformazione, avrebbe un'aspettativa media di sopravvivenza compresa tra i 50 e 100 anni al massimo.
Ovviamente Tuvalu, considerato un paradiso terrestre per le sue bellezze naturali e le sue acque cristalline, ha già adottato misure per prepararsi a ciò che sembra inevitabile: due mesi fa ha modificato la sua Costituzione per indicare che la nazione manterrà comunque il suo status di Stato e le zone marittime anche se non avrà più terre fisiche, per continuare ad affermare la propria sovranità.
Grazie a un piano audace e di sicuro impatto mediatico, le isole Tuvalu sono riuscite a far parlare di loro come prima nazione digitale al mondo. Il piano in questione prevede, infatti, la creazione di un clone del Paese stesso nel metaverso, per preservarne la storia e la cultura online in modo che le persone possano, attraverso la realtà virtuale, visitare le isole anche molto tempo dopo che saranno state inghiottite dalle acque.
L'ultimo provvedimento concreto per far fronte all'emergenza climatica è stata la firma, il mese scorso, del cosiddetto accordo sulla mobilità climatica con l'Australia. Traslocare è senz'altro una soluzione al problema, e il governo di Canberra si è offerto di accogliere gli abitanti delle Tuvalu ai quali sarà concesso l'asilo climatico. L'accordo prevede che 280 persone all'anno potranno stabilirsi in Australia pertanto, di questo passo, ci vorranno 40 anni perché gli attuali 11 mila abitanti di Tuvalu lascino l'arcipelago.
Il rovescio della medaglia è che, in cambio, il governo australiano avrà una sorta di potere di veto quando Tuvalu vorrà stipulare un accordo di sicurezza o di difesa con un altro Paese. Una clausola che guarda in direzione della Cina, per arginare la sua crescente presenza nel Pacifico meridionale, dopo aver ottenuto il riconoscimento diplomatico nelle Isole Salomone, nel 2019, e concluso un accordo di sicurezza nel 2022.
L'altro motivo di criticità nei confronti del governo di Melbourne, sollevato dall'opposizione politica delle Tuvalu, riguarda i mancati provvedimenti di lotta al riscaldamento da parte dell'Australia, uno dei più grandi esportatori di combustibili fossili al mondo. "Se l'Australia vuole fornire un percorso umanitario ai Tuvaluani, il modo migliore per farlo è ridurre le proprie emissioni, smettere di aprire miniere di carbone e smettere di esportare carbone", hanno sottolineato i detrattori dell'accordo di asilo climatico.