AGI - Il conflitto in corso tra Israele e Hamas ha messo in risalto la debolezza dell'Iran, scivolato dal ruolo di principale sostenitore della lotta armata palestinese ad attore di secondo piano, ininfluente negli sviluppi delle ultime settimane. L'approccio retorico perseguito dall'ayatollah Ali Khamenei negli ultimi anni, fatto di minacce e dichiarazioni al vetriolo dal forte impatto ideologico, è stato arginato in pochi interventi e un silenzio pragmatico.
Dopo più di un mese e mezzo dall'inizio del conflitto il ruolo di Teheran è stato quasi nullo. Allo stesso tempo l'Iran non ha avuto peso nell'accordo relativo lo scambio di ostaggi delle ultime ore. La possibilità di un attacco diretto a Israele, che Teheran non riconosce, non è mai stata concreta.
L'opzione di un aggressione 'per procura', per mano degli alleati Hezbollah libanesi si è scontrata con l'influenza nell'area della Turchia e dei Paesi arabi, che non vogliono un allargamento del conflitto. I gruppi armati dall'Iran in Siria sono stati messi fuori gioco dai razzi americani lanciati nelle ultime settimane.
Tutti fattori che hanno limitato il raggio d'azione di Teheran, limitato ad affiancare Hamas non nel conflitto bensì verso una fine delle ostilità che ne garantisca almeno la sopravvivenza. Sembra chiusa l'epoca in cui la guerra per procura ha costituito il principale strumento di influenza di Teheran in Medio Oriente. Anche le accuse agli ayatollah, subito partite in seguito all'attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, si sono sgonfiate velocemente. Non sono infatti emerse prove di un diretto coinvolgimento di Teheran e Khamenei ha negato di essere a conoscenza del piano d'attacco.
Piuttosto che prendere parte al conflitto l'Iran ha cercato di rimediare puntando sulla diplomazia, ultima carta per non perdere influenza nella regione. Il ministro degli Esteri Hossein Amir Abdollahian ha viaggiato in Medio Oriente per una "missione di solidarietà alla Palestina" e riavvicinato il proprio Paese a diversi Paesi, tra cui la Turchia.
Proprio nella capitale Ankara il presidente iraniano Ebrahim Raisi si recherà il prossimo 28 novembre, atteso dal collega Recep Tayyip Erdogan. Lo stesso Raisi ha parlato con diversi leader del mondo arabo, tra cui il presidente saudita Mohammed Bin Salman. Il presidente iraniano ha anche partecipato al vertice d'emergenza dei leader dei Paesi islamici a Riyad; la prima visita di un membro del governo iraniano in Arabia Saudita negli ultimi 15 anni. Se l'Iran ha abbandonato il ruolo di leader dei 'Stati canaglia' le ragioni vanno anche cercate nella tremenda crisi economica che sta stritolando il Paese e nelle crepe insanabili all'interno dell'opinione pubblica.
L'opposizione è reduce dalle proteste del 2022 che hanno infiammato il Paese in seguito alla morte di Mahsa Amini. Di conseguenza una gran parte della popolazione chiede al governo di affrontare i problemi economici e sociali, piuttosto che imbarcarsi in guerre ideologiche. Fieri della cultura persiana, in molti in Iran non si riconoscono nelle battaglie dei movimenti armati arabi.
Tra i sostenitori del governo una corrente è quella degli interventisti, alcuni dei quali hanno lanciato campagne di reclutamento per soldati da mandare a Gaza.
Una corrente di pensiero finita in secondo piano, scontratasi con una linea che prevede sostegno alla causa palestinese, ma si oppone a un'intervento diretto al fianco di Hamas. Una scelta pragmatica, che ha quasi azzerato il ruolo dell'Iran nel conflitto e fatto perdere influenza in Medio Oriente Un pragmatismo che ha pero' limitato ricadute dirette sul Paese, la cui immagine non è stata ulteriormente rovinata da questa guerra.
Allo stesso tempo sono state evitate nuove sanzioni che avrebbero pesato su una popolazione già messa alla prova da una durissima crisi economica.