AGI - Il ritorno sulla scena di David Cameron ha scioccato gli esperti di politica britannica e ancora più chi - dopo aver subito le conseguenze della Brexit - se lo ritrova da ministro degli Esteri a gestire le "sfide più ardue" che Londra si sia trovata ad affrontare in tempi recenti.
Qualunque cosa abbia ottenuto durante i suoi sei anni a Downing Street, dal 2010 al 216, Cameron sarà per sempre ricordato come l’uomo che ha portato la Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea.
Si tratta di uno strano epitaffio per un leader politico che una volta giurò di voler farla finita con l'ossessione dei conservatori per l'Europa, e non è certo il modo in cui avrebbe voluto passare alla storia.
Ha guidato il Partito conservatore per quasi 11 anni - solo Stanley Baldwin, Margareth Thatcher e Winston Churchill hanno fatto meglio - riportandolo al potere dopo più di 'digiuno'.
Quando irruppe sulla scena nel 2005, battendo i rivali più noti alla leadership del partito, voleva essere visto come un nuovo tipo di conservatore, giovane, di mentalità liberale, socialmente impegnato e, soprattutto, moderno.
Assicurava che non ci sarebbe stato spazio nel 'suo' Partito conservatore per le polemiche tossiche sull'Unione europea che avevano portato il partito sull'orlo della distruzione.
Ci sarebbe invece stata una visione positiva, ottimista e inclusiva della Gran Bretagna. Parlava di fare dei conservatori il partito del servizio sanitario nazionale e dell'ambiente e di voler “condividere i proventi della crescita” con i meno abbienti.
Quando scoppiò la crisi bancaria del 2008, il suo tono cambiò: le riforme sociali c’erano ancora ma erano accompagnate da un’attenzione più tradizionale al pareggio di bilancio attraverso tagli alla spesa pubblica.
Pragmatico, sospettoso nei confronti dell’ideologia, Cameron è sempre stato capace di adattare le sue posizioni ai tempi.
È stata questa flessibilità che gli ha permesso di formare alleanze con oppositori politici, in particolare con il leader liberaldemocratico Nick Clegg, nel primo governo di coalizione dalla Seconda Guerra Mondiale, e di condividere piattaforme con esponenti laburisti durante la campagna referendaria sulla Brexit.
Ma era una qualità che suscitava sospetto e, in seconda battuta, aperta ostilità tra i suoi colleghi conservatori ideologicamente più puri. Il suo background da rampollo privilegiato divenne anche fonte di risentimento per alcuni nel suo partito, che preferivano per i loro leader con un'istruzione elementare e lo stampo da autodidatta di una Thatcher o di un Major.
Cameron è stato il primo leader conservatore dall'inizio degli anni '60 ad aver frequentato una delle scuole private più importanti della Gran Bretagna, Eton, e a far risalire i propri antenati a Guglielmo IV, lontano parente della regina Elisabetta.
David Cameron ha detto di aver avuto un'infanzia felice, ma in cui "lamentarsi non era nel menu". A 43 anni, Cameron si trovò a essere il più giovane primo ministro dai tempi di Robert Banks Jenkinson: aveva sei mesi meno di Tony Blair quando entrò a Downing Street nel 1997.
Il suo cancelliere George Osborne era ancora più giovane: i due avevano stretto uno stretto legame fin dai loro primi giorni come parlamentari e avrebbero governato in gran parte come una squadra, come avevano fatto Tony Blair e Gordon Brown durante gli anni laburisti, ma senza l'aspra rivalità e il rancore personale.
Con sorpresa di molti, forse anche dello stesso Cameron, le maggiori difficoltà che incontrò non furono nel gestire la coalizione con i LibDem, ma nel mantenere il controllo dell'ala destra sempre più ribelle del suo stesso partito, che odiava l'alleanza con Clegg e stava iniziando a mobilitarsi per un referendum sulla permanenza nell'Ue.
Nell’agosto 2013, subì un duro colpo alla sua autorità quando è diventato il primo premier in più di un secolo a perdere un voto in politica estera, dopo che decine di parlamentari conservatori unirono le forze con i laburisti per bloccare i suoi piani di intervento militare in Siria. Ma forse la crisi più grande del suo mandato si verificò nel periodo precedente al referendum sull’indipendenza scozzese del settembre 2014, quando il Sì sembrava sul punto di vincere.
Cameron aveva accettato un referendum pensando che avrebbe risolto una volta per tutte la questione dell’indipendenza scozzese – logica simile che poi lo avrebbe portato a promettere un referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’UE, nel gennaio 2013. Entrambe le decisioni, in modi diversi, si sarebbero rivelate spettacolari errori di valutazione.
Quando fece la promessa del referendum sull’UE, i conservatori stavano perdendo sostegno al Partito per l’Indipendenza del Regno Unito, un gruppo euroscettico che una volta aveva liquidato con disinvoltura come un insieme di “pazzi e criptorazzisti”. Come altri leader europei finì per commettere l'errore degli errori: personalizzare un referendum. Nello specifico quello sulla permanenza della Gran Bretagna nell'Unione europea per il quale fu costretto a sospendere la responsabilità collettiva del governo e a consentire ai ministri di fare campagna per entrambe le parti, anche se la posizione ufficiale del governo era che la Gran Bretagna dovesse rimanere nell'Ue.
Fu l’ex sindaco di Londra Boris Johnson, ex compagno di scuola a Eton, che da tempo era considerato intenzionato a prendere il posto di Cameron come leader e primo ministro, il primo a pugnalarlo, unendosi alla campagna per il Leave. Seguito dall'allora ministro della Giustizia Michael Gove, uno dei suoi più stretti amici e alleati.
La campagna referendaria finì per scatenare quel tipo di brutale guerra civile ai vertici del Partito conservatore che Cameron aveva cercato di prevenire per tutta la sua carriera.
E sebbene avesse promesso che sarebbe rimasto primo ministro qualunque fosse il risultato del referendum, fu costretto a rimangiarsi l'impegno e finì per lasciare anche il seggio in Parlamento. Lasciava Westminster dopo essere riuscito a cambiare il Partito conservatore in molti modi, reclutando più esponenti tra le donne e le minoranze etniche.
Ma aveva fallito nel tentativo di conquistare la potente ala destra, che diffidava del suo conservatorismo liberale e di quello che vedevano come il suo stile di governo elitario e patrizio. Fu questo, insieme alla sua sciagurata decisione di cercare di risolvere la questione Europa prendendola di petto, che alla fine si rivelò la sua rovina.