AGI - A un anno dall'Election Day americano i due probabili duellanti si trovano alle prese con due grandi incognite: uno il crollo di popolarità, l'altro i processi. Joe Biden, 81 anni tra due settimane, e Donald Trump, 77, sembrano destinati a essere la coppia di sfidanti più anziana della storia americana delle presidenziali, ma da qui al 5 novembre 2024, giorno dell'Election Day, tutto può succedere.
Biden è assediato da sondaggi disastrosi, che lo vedono soccombere con Trump in cinque dei sei "swing states", gli Stati chiave, quelli che oscillano tra Democratici e Repubblicani. Il vantaggio per il tycoon oscilla tra i 4 e i 10 punti percentuali. Se quei numeri dovessero venire confermati al seggio, l'ex presidente sarebbe quasi certamente sicuro di tornare alla Casa Bianca.
E questo nonostante gli oltre novanta capi d'accusa che gli sono stati contestati in quattro inchieste, e il processo civile in corso a New York. Il tycoon continua a essere popolare e a godere della fiducia degli americani soprattutto in campo economico.
La Bideconomics, come è stata ribattezza l'agenda economica di Biden, e che ha portato ai minimi storici del tasso di disoccupazione, non sembra aver convinto gli elettori di essere guidati dalla persona giusta.
La crisi in Medio Oriente ha evocato il precedente di un altro democratico, Jimmy Carter, che fallì nella corsa al secondo mandato piegato dall'estenuante trattativa per la liberazione degli ostaggi americani tenuti in mano dall'Iran e dalla tensione con l'allora Unione Sovietica, alle prese con un'altra invasione, non dell'Ucraina, ma dell'Afghanistan.
Adesso il senso di disorientamento non riguarda solo gli indipendenti. Anche nella base democratica c'è voglia di un ricambio, al punto che lo stesso storico stratega di Barack Obama, David Axelrod, analizzando gli ultimi sondaggi pubblicati da New York Times e Siena College, si è chiesto se candidarsi nel 2024 "sia una decisione saggia" e se correre di nuovo sia "una scelta per il suo bene o per quello del Paese".
Considerato che dietro Axelrod c'è Obama, questo inusuale commento è stato visto come un segnale non di poco conto. Trump, come detto, guida i sondaggi in cinque "swing state": Arizona, Georgia, Nevada, Michigan e Pennsylvania, mentre è indietro di due punti in Wisconsin.
Sono numeri che spaventano i Democratici al punto che si fa più forte la pressione perchè qualcuno dei big esca allo scoperto e dia una svolta alla corsa presidenziale. E, forse, qualcuno ci sta pensando, seppure senza farlo apertamente.
Il governatore della California Gavin Newsom e quello dell'Illinois J.B. Pritzker hanno staccato un assegno per finanziare la campagna a sindaco di Charleston del democratico afroamericano Clay Middleton, impegnato domani nelle elezioni municipali insieme ad altri cinque candidati, tra cui il sindaco in carica, un altro democratico, John Tecklenburg. Secondo alcuni analisti è un segnale del desiderio dei due governatori di lanciare un segnale al partito e che vada oltre il loro Stato di competenza.
Entrambi sono visti dalla base come una felice alternativa a Biden: entrambi più giovani dell'attuale presidente, rassicurante cognome wasp americano, molto popolari nei loro due Stati. Newsom, 56 anni, ha dalla sua il carisma e l'aspetto da attore di Hollywood, ma il limite di essere californiano, caratteristica non molto amata nell'America rurale, che vede in quelli della costa ovest il prototipo dei radical chic al pari dei newyorkesi.
Pritzker, 58 anni, milionario filantropo prestato alla politica, è considerato un uomo d'azione ma meno famoso di Newsom. In questo momento di disorientamento della base, è su di loro che gli elettori democratici ripongono le speranze di una candidatura a sorpresa.
Tra i Repubblicani, invece, non sembra esserci alcun dubbio: il candidato ideale è Trump, l'unico capace di entusiasmare la base dei conservatori. Le incriminazioni e i processi non hanno scalfito la sua popolarità e l'idea che il tycoon, come racconta il New York Times, mediti una vendetta verso tutti i suoi ex collaboratori, una volta tornato alla Casa Bianca, da un lato spaventa i Democratici e dall'altro esalta i Repubblicani.
Il tycoon sarebbe deciso, nel caso tornasse presidente degli Stati Uniti, a utilizzare il dipartimento Giustizia per avviare indagini su Biden, sull'ex attorney general William Barr e l'ex capo di stato maggiore Mark Milley, che nei mesi scorsi aveva preso le distanze tra Trump. Voci che si intensificano in attesa che vada in scena, mercoledì sera, il terzo dibattito televisivo tra i candidati conservatori alle primarie presidenziali.
L'appuntamento è in programma alle 20, quando in Italia saranno le due di notte, dall'Adrienne Arsht Center di Miami, in Florida, a poca distanza dal resort di Trump. Il quale, come nei due precedenti dibattiti, non parteciperà.
Non ne ha bisogno. I due primi dibattiti si sono trasformati in rissa televisiva tra i candidati, senza che nessuno davvero sia emerso come sfidante credibile. Il governatore della Florida Ron DeSantis non decolla, mentre ha guadagnato punti, ma non abbastanza, l'ex ambasciatrice Usa all'Onu Nikki Haley. L'ex vicepresidente di Trump, Mike Pence, si è ritirato dalla corsa. Altri lo faranno nelle prossime settimane se i sondaggi non indicheranno un cambio di tendenza.
Ma al momento appare improbabile. Per cui, a meno di un anno dal voto la situazione appare cristallizzata in un paradosso americano: i Democratici hanno un candidato ufficiale, Biden, che molti elettori della base non vorrebbero; mentre i Repubblicani devono ufficialmente sceglierne uno, sapendo però che per la base c'è un solo nome. Biden contro Trump, dunque, duello al momento quasi scontato, ma in fondo, tra sondaggi e inchieste, neanche così certo.