AGI - "Il mondo deve essere impazzito se a metà del XXI secolo, quando una madre parla al telefono con la figlia, entrambe le loro voci sono coperte dal suono delle sirene anti-aereo, ma una si trova a Kharkiv e l'altra a Tel Aviv". Le parole su Facebook di Anna Gin, blogger, scrittrice ed ex giornalista ucraina, l'8 ottobre scorso, colpiscono molti in Rete e vengono condivise dalla Russia alla Francia.
Il giorno prima, quando si diffonde la notizia che i commando di Hamas avevano valicato i confini della Striscia di Gaza, seminando morte e terrore nelle zone meridionali di Israele, Gin telefona subito a Tel Aviv alla figlia Aleksandra, che chiama sempre con il diminutivo Sasha. Non le sembra vero che, a distanza di un anno dalla sua fuga da Kharkiv, in Ucraina orientale, verso Israele, la sua "bambina" si trovi di nuova alle prese con l'ombra di una guerra in casa.
Sasha, 23 anni, aveva deciso di emigrare in Israele anche per la facilità di ottenere i necessari documenti, viste le origini ebraiche del nonno materno. Voleva costruirsi un futuro lontano dalla guerra: si è iscritta all'università, ha trovato lavoro nel marketing, ma ora la guerra è tornata a inseguirla anche in Medio Oriente. Mentre madre e figlia parlano al telefono il 7 ottobre, i razzi di Hamas verso Tel Aviv e i missili dei russi su Kharkiv fanno scattare gli allarmi per la popolazione civile.
"Ero terrorizzata per Sasha", racconta Gin all'AGI, "ma lei ha cercato subito di tranquillizzarmi: nel 2022, aveva trascorso più di un mese a Kharkiv, nel picco dei bombardamenti a marzo e aprile, sa come gestire esplosioni, bunker, caccia bombardieri". Sasha aveva appena cominciato a smettere di accucciarsi a terra al passaggio di un aereo e di tremare appena avvertiva un sibilo, quando sabato scorso, lontana oltre 3 mila chilometri dall'Ucraina, si è dovuta di nuovo rifugiare in un bunker.
Gin 50 anni, è arrabbiata perché la guerra in Ucraina, come tutte le guerre, ha privato della giovinezza sua figlia e un'intera generazione. "Ogni mamma desidera che il proprio figlio si diverta, che cerchi e poi realizzi il suo cammino, vuole vederlo ridere e non piangere, seduto in uno scantinato per ripararsi dalle bombe". La scrittrice non ha spinto la figlia a lasciare l'Ucraina, ma ha appoggiato con forza la sua decisione di prendere il passaporto israeliano ed emigrare.
Ora che la guerra ha incrociato di nuovo il suo cammino, Sasha non ha nessuna intenzione di scappare di nuovo, né di tornare in Ucraina, "finché la Russia non sarà sconfitta", racconta la madre. "Non ce la fa più a ricominciare da capo. Sono preoccupata che stia in Israele, ma ho accettato la sua scelta e ora passo la giornata a leggere le notizie che arrivano da li'". Gin, invece, non ha mai pensato di lasciare Kharkiv.
Qui vive con i suoi amati Hector e Kira, un dobermann di 50 chili e un pappagallo che non passa inosservato, con la sua apertura alare di un metro. "Mi è difficile portarli con me anche nei rifugi, figuriamoci emigrare!", spiega ridendo la telefono. Ha scelto di rimanere in Ucraina soprattutto per il senso di appartenenza e di dovere della testimonianza. È impegnata in attività di volontariato all'ospedale militare locale, dove in sei mesi è riuscita a raccogliere fondi per mettere un televisore in ogni stanza da letto "per fare un po' distrarre i feriti con le partite di calcio", e continua a scrivere libri.
Il suo ultimo lavoro, scritto in russo ("La mia lingua madre") e pubblicato anche in ucraino, si intitola 'Come va lì?': e' il diario della guerra a Kharkiv "vista dalla finestra di casa e non dal televisore". La prima storia è datata 22 febbraio 2022, il giorno dell'invasione. C'è il dolore, ma anche il sorriso, come nell'episodio in cui, durante l'evacuazione, finisce per mettere in valigia un costume da bagno, al posto dei ben più necessari abiti invernali.
"Spero sia un documento di questa guerra per le generazioni che la studieranno solo sui manuali di storia", si augura. In 19 mesi di conflitto, Kharkiv è cambiata, racconta Gin: "Ci sono stati tempi terribili in cui venivamo bombardati dai russi più di una volta al giorno. Ora la situazione è più calma, ma le sirene suonano ancora dalle 5 alle 10 volte al giorno, i missili si sentono meno, ma continuano a volare sulle nostre teste. Un anno fa, la città era grigia, la gente depressa, non c'erano bambini in giro. Negli ultimi mesi, molte persone sono tornate, il 1 settembre di quest'anno c'erano tanti bimbi che andavano a lezione nella metropolitana, dove per questioni di sicurezza è stata aperta una scuola. Hanno riaperto negozi e parrucchieri, abbiamo le strade illuminate almeno qualche ora al giorno".
In parte, però, la percezione del cambiamento è dovuta anche all'assuefazione alla guerra, diventata routine. "Non si può fare altrimenti: o vivi in un scantinato per 19 mesi o scappi o continui a vivere con questo fatalismo per cui una bomba può arrivare da un momento all'altro, ma finché non arriva continui a fare la tua vita". Fino al febbraio 2022, quella di Anna Gin era una "famiglia unita e piena di allegria".
La guerra le ha tolto tutto: "I miei genitori sono due croci in un cimitero a Kharkiv, morti d'infarto con i missili che cadevano nel giardino di casa; mia figlia è una voce al telefono, in un altro Paese in guerra. Non c'è più un posto sicuro oggi in Israele, come da tempo non ce n'é più uno in Ucraina".