AGI - Dopo decenni di 'soft power' esercitato dalla Cina su Hollywood (e viceversa), dalla pandemia di Covid-19 in poi un'era è tramontata: i film sfornati dagli studios di Los Angeles piacciono sempre meno ai cinesi e buona parte dei film americani usciti negli ultimi mesi nelle sale cinesi hanno avuto un rendimento molto scarso, a volte veri e propri flop.
Per non parlare poi dei casi più evidenti in cui le autorità locali hanno proprio bloccato l'uscita di alcuni titoli, per esempio 'Eternals' (2021) di Chloe Zhao. Un'evoluzione frutto delle rivalità diplomatiche, economiche e commerciali tra Washington e Pechino che hanno contagiato anche l'industria cinematografica, su una base per lo più ideologica, modificando significativamente gli equilibri della diplomazia culturale. A parlare sono i numeri.
La Cina primo mercato cinematografico al mondo
Nel 2020 e nel 2021 la Cina si è imposta come il primo mercato cinematografico mondiale - con un fatturato di circa 7,4 miliardi di dollari - e nella potenza sempre più patriottica i film locali conquistano ormai fino all'85% degli incassi. Un dato agli antipodi rispetto agli anni 1930-1940, quando i film americani rappresentavano il 75% del mercato cinese, un'epoca in cui Shanghai era il primo centro cinematografico della Cina.
Ciclicamente gli esperti del settore rilanciano la fatidica domanda: il cinema di Hollywood ha ancora un futuro nella potenza asiatica rivale? Un punto di svolta nel boom delle produzioni 'made in Cina' si è registrato nel 2021, anno del centenario del Partito comunista cinese (Pci) e di crescenti tensioni su più fronti tra Pechino e Washington.
La rinascita dopo il Covid
È stata un'annata di rinascita per il cinema cinese dopo il fermo Covid nel 2020, quando gli incassi sono crollati a 3 mld, comunque superiori al livello abissale del mercato Usa, dal valore di 2,3 mld. Segno del declino di Hollywood presso il colosso asiatico, il contributo dei film cinesi non è mai stato così forte negli ultimi anni. Le produzioni locali ottengono fino all'85% degli incassi, secondo i dati pubblicati dall'amministrazione cinematografica cinese. Questa quota era del 64% nel 2019 e del 58% nel 2016.
"Questa situazione non è solo dovuta a un forte calo del numero di uscite cinematografiche all'estero a causa della pandemia, ma anche alla mancanza di attrattiva dei film stranieri, che testimonia l'evoluzione del gusto degli spettatori cinesi. Ciò significa che la scomparsa dei film importati potrebbe diventare una tendenza generale in Cina", ha commentato Pang Hongbo, editorialista del media cinese 'Yuemu Film'.
Per giunta, fa notare Liu Haibo, professore alla Shanghai Film Academy, "l'epidemia ha accelerato la visione di film su Internet a casa. Anche il tempo che intercorre tra l'uscita nelle sale e il caricamento dei film sulle piattaforme è stato enormemente ridotto". In realtà il cinema americano in Cina ha già conosciuto periodi di declino durante il secolo scorso, ad esempio dopo la rivoluzione del 1949, quando il governo decise allora di bloccare la diffusione delle produzioni di Hollywood.
Dopo lo scoppio della guerra in Corea (1950), i film americani furono completamente banditi in Cina, dove l'industria fu nazionalizzata nel 1953 sul modello sovietico. Nel 1960 uscì un solo un film americano, "Il sale della terra", di Herbert J. Biberman (1954), che racconta di una rivolta mineraria in Messico, principalmente opera di artisti i cui nomi comparivano sulla lista nera anticomunista stilata da Hollywood.
Dopo le riforme economiche avviate nel 1979 e l'avvento dell'"economia di mercato socialista", il cinema americano è tornato gradualmente sugli schermi cinesi, anche se ha dovuto subire una rigida censura da parte del governo comunista. L'importazione è stata poi interrotta dal 1990 al 1992, dopo le proteste di Tiananmen. Nel 1994 è stata emanata una nuova regola per rivitalizzare il mercato interno: da quella data potevano uscire ogni anno dieci blockbuster stranieri.
La Città orientale del cinema
Gli studi americani iniziarono allora a investire in coproduzioni in Cina, a Taiwan e Hong Kong, integrando attori quali Jackie Chan, Jet Li, coreografi specializzati in arti marziali come Yuen Woo-Ping e Cheung-Yan Yuen, e alcuni registi quali John Woo, Ang Lee e Tsui Hark oltre a temi cinesi nelle produzioni americane. Questa tendenza ha interessato principalmente i film di genere, di kung-fu, wu xia pian (film di cavalleria marziale), film di sciabola, film d'azione e film noir, che sono diventati punti di contatto tra le due industrie e le due culture. Già nel 2012, la Cina è diventata il quarto produttore cinematografico al mondo, con 745 film, dietro a India, Nigeria e Stati Uniti. Costruito a 10 mila chilometri dai leggendari studi americani, l'Oriental Movie Metropolis cerca di farsi un nome sulla mappa del cinema mondiale.
Questa "Città Orientale del Cinema", grande quanto 500 campi da calcio, è cresciuta a Qingdao, città portuale equidistante da Pechino e Shanghai, nota soprattutto per la sua birra, retaggio dell'occupazione tedesca all'inizio del 20 secolo. Fino a pochi anni fa i campi di grano circondavano la piccola collina, mentre ora si affaccia su un nuovo quartiere interamente dedicato al cinema.
Lì, con la competenza degli studi britannici Pinewood, sono sorti 40 studi ultramoderni, tra cui "il più grande del mondo" di 10mila metri quadrati e 22 metri di altezza. Per esperti del settore, il nuovo rapporto tra Hollywood e la Cina è in primo luogo la conseguenza di uno slancio nazionalista e identitario, con da una parte la consapevolezza dei cinesi in merito al complottismo nei loro confronti dilagato in Occidente sulle origini del virus e dall'altra una forte vena patriottica veicolata da film cinesi diventati cult, quale "La Battaglia del Lago Changjin", uscito il 1 ottobre 2021, giorno della festa nazionale, incentrato su un episodio della guerra di Corea, quando le truppe cinesi respinsero gli avversari americani su un campo di battaglia nordcoreano a temperature gelide.
In soli quattro giorni sul grande schermo, si è imposto nella Top 10 del botteghino mondiale, diventando poi il film di maggior incasso di tutti i tempi in Cina nell'arco di due mesi, spodestando "Wolf Warrior 2", lungometraggio del 2017, esaltando anche la fibra patriottica, con un incasso di 781 milioni di euro.
Un clamoroso successo che non è isolato, risultato della linea politica del presidente Xi Jinping che incoraggia le opere patriottiche proprio per contrastare l'influenza hollywoodiana. In effetti, da aprile 2018 l'Ufficio Cinema è posto sotto il diretto controllo del Dipartimento Propaganda del Partito comunista cinese, mentre gli altri settori culturali dipendono dal Ministero della Cultura.
Pechino fa scouting a Hollywood
"La Cina sta cercando da Hollywood competenze per la globalizzazione del suo mercato cinematografico. Vuole essere in grado di raccontare storie che piacciono a tutti, imparare e comprendere il sistema di marketing e distribuzione di Hollywood", ha spiegato Stanley Rosen, professore di Scienze politiche specializzato in Cina presso la University of Southern California (Los Angeles). E per diversi esperti di cinematografia, si va verso un sistema integrato in cui sarà sempre più difficile separare gli interessi di Hollywood da quelli cinesi. Gli investitori cinesi stanno cercando di diversificare le proprie attività all'estero, poiché la crescita rallenta in patria, in particolare nel settore immobiliare.
Nel contempo il volume degli investimenti americani nell'industria cinematografica cinese ha rilanciato il settore. Secondo Jason E. Squire, docente presso la University of Southern California e la Beijing Film School, autore di The Movie Business Book International, "negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un cambiamento graduale e storico. Con una classe media cinese in crescita, l'intrattenimento come espressione del soft power è diventato più centrale. Il pubblico cinese è giovane, intelligente, connesso e il cinema è l'area di consumo numero uno per il tempo libero. Negli Stati Uniti è diventata la seconda o terza scelta. Straordinaria è anche la crescita della produzione di sofisticati film cinesi a scopo di lucro".
Il sogno di una potenza cinematografica
A fine 2021 Pechino ha presentato il suo 14 piano quinquennale per lo sviluppo del cinema cinese con l'obiettivo dichiarato di voler fare della Cina "una potenza cinematografica" entro il 2035. Significa tra l'altro un maggior numero di schermi di cinema da realizzare, che dovrebbero superare i 100 mila nel 2025, rispetto agli 82.248 a fine 2021, di fatto già la rete più grande del mondo. Oggi nel Paese stanno esplodendo i cantieri per i multiplex.
La Cina costruisce in media 27 schermi al giorno, soprattutto nelle grandi città, e ha 23 schermi per milione di abitanti, ancora indietro rispetto agli Stati Uniti, il cui rapporto è cinque volte superiore. Inoltre il sistema di distribuzione secondaria - DVD, trasmissioni televisive e video on demand - è ancora poco sviluppato. Nonostante questi rapidi cambiamenti, la strada verso il dominio mondiale del cinema cinese è tutta in salita. "La qualità dei film cinesi è ancora molto disomogenea e non credo che da soli possano soddisfare pienamente le aspettative degli spettatori cinesi", ha concluso Liu Haibo, oltre al fatto che "non riescono ancora a essere esportati".