AGI - Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, sarà a Pechino per cercare una convergenza con la Cina su alcuni grandi capitoli di quella cooperazione che appare oggi congelata tra diffidenze e scambi di accuse reciproci. La ripresa del dialogo sembra archiviare l'incidente del pallone spia cinese abbattuto nei cieli degli Stati Uniti a febbraio scorso, che fece slittare fino a oggi la visita di Blinken a Pechino, ma la tensione è ancora palpabile.
Nell'ultimo colloquio telefonico, il segretario di Stato Usa ha sottolineato l'importanza di "mantenere aperte le linee di comunicazione" tra Cina e Stati Uniti, mentre il suo omologo cinese, il ministro degli Esteri Qin Gang, ha parlato di "nuove difficoltà e sfide" nelle relazioni bilaterali. Washington fa sapere che Blinken avrà incontri con alti funzionari cinesi durante la permanenza a Pechino, ma non è chiaro se verrà ricevuto anche dal presidente Xi Jinping, che ha invece accolto come un "vecchio amico" il fondatore di Microsoft, Bill Gates.
Nonostante rapporti "glaciali" - come li ha definiti Pechino - Cina e Stati Uniti hanno continuato a parlarsi negli ultimi mesi, anche se non si registrano intese significative tra le due grandi potenze. La questione di Taiwan, su cui Pechino rivendica la sovranità e che pone come centrale per avere rapporti con gli Stati Uniti, e gli scambi sempre più frequenti con la Russia allontanano le due sponde del Pacifico.
Il peso dei sospetti di hackeraggio
Washington dichiara di volere il "de-risking" nei rapporti economico-commerciali con la Cina, e non la separazione delle economie, il "de-coupling" - usando la formula codificata allo scorso vertice del G7 di Hiroshima - ma Cina e Stati Uniti continuano ad allontanarsi tra sospetti di hackeraggio e di spionaggio: gli ultimi riguardano una base cinese a Cuba, di cui parlava il Wall Street Journal, e solo parzialmente smentita dall'amministrazione Usa. Pechino nega e punta il dito contro quelli che considera tentativi di "diffamazione" da parte degli Stati Uniti.
"La Cina chiarirà la sua posizione e le sue preoccupazioni in merito alle relazioni con gli Usa e salvaguarderà risolutamente i propri interessi", e' stato il messaggio di oggi del portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, in vista dell'arrivo nella capitale cinese del capo della diplomazia americana.
In linea di massima, per la Cina gli Stati Uniti dovrebbero "rispettare le preoccupazioni fondamentali della Cina, smettere di interferire negli affari interni della Cina e di minarne la sovranità, la sicurezza e gli interessi di sviluppo in nome della concorrenza", ha aggiunto il portavoce, che chiede agli Usa "azioni concrete" per gestire le divergenze, promuovere gli scambi e stabilizzare le relazioni.
Il presidente Usa Joe Biden vuole mantenere aperte le comunicazioni con Pechino e installare "guardrail" nel rapporto con la Cina, ma per Pechino non basta, e nel rapporto con gli Usa occorre un dialogo in cui si affrontino le preoccupazioni di tutti. Alla vigilia del viaggio di Blinken in Cina, Washington sottolinea di avere un approccio "a occhi aperti", disilluso riguardo agli sforzi di riformare la Cina.
"Occorre un'intensa diplomazia se vogliamo gestire le tensioni", ha dichiarato il Coordinatore per gli Affari dell'Indo-Pacifico dell'amministrazione Usa, Kurt Campbell, presentando il viaggio di Blinken, e questo "è l'unico modo per spazzare via incomprensioni, comunicare e lavorare insieme dove e quando i nostri interessi si allineano". Le divergenze, pero', sono molte.
Taiwan
È il grande nodo da sciogliere, essenziale per Pechino per avere un rapporto significativo con Washington. La visita a Taipei dell'ex speaker della Camera dei Rappresentanti Usa, Nancy Pelosi, ad agosto scorso, ha innescato la rabbia cinese e ha dato il via a sette giorni di esercitazioni militari attorno all'isola e chiuso il dialogo con Washington sul piano militare (ancora da riprendere). Stesso copione, in formato ridotto, è andato in onda ad aprile, dopo l'incontro in California tra la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, e il successore di Pelosi, il repubblicano Kevin McCarthy.
L'attrito cresce mentre le posizioni si radicalizzano: il presidente cinese, Xi Jinping, ha promesso che "la riunificazione si farà", senza fissare una data, ma magari già entro il 2027, sostengono i più pessimisti a Taiwan, in occasione del centenario della fondazione dell'Esercito Popolare di Liberazione cinese; gli Usa, invece, dichiarano di non volere cambiamenti nello status quo nello Stretto, e continuano a vedere armi all'isola, innescando la rabbia di Pechino, che ha sanzionato due gruppi della Difesa Usa, Boeing Defense e Raytheon Technologies.
Le tensioni crescono e i rischi aumentano in assenza di un dialogo sul piano militare: Pechino ha nominato ministro della Difesa, a marzo scorso, Li Shangfu, un generale sanzionato dagli Usa nel 2018 per una compravendita di armi con la Russia. Il pericolo di un incidente appare sempre più reale.
A inizio giugno, mentre agli Shangri-La Dialogue di Singapore Li e il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, si scambiavano poco più di una stretta di mano "senza scambi significativi" - secondo quanto riferito dal Pentagono - nello Stretto di Taiwan unità navali di Usa e Cina sfioravano la collisione in un incontro a distanza mai così ravvicinata in quelle acque. Un campanello d'allarme sulla questione di Taiwan è suonato nelle scorse ore anche da parte dell'ex segretario di Stato americano, Henry Kissinger: in un'intervista all'agenzia Bloomberg, l'architetto delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, cento anni compiuti il mese scorso, ha dichiarato di ritenere probabile un conflitto militare nello Stretto se le tensioni continueranno.
Il mare Cinese Meridionale
Sempre più strettamente collegato alla questione di Taiwan c'è il capitolo riguardante il Mare Cinese Meridionale. Il comportamento di Pechino è sempre più assertivo nei confronti degli Stati litoranei, con cui sono in corso dispute di sovranità su isole, isolotti e atolli che la Cina ha militarizzato nel corso degli anni.
La disputa più acuta è quella con le Filippine, tanto da levare il sonno al presidente Ferdinand Marcos jr (secondo le sue stesse parole): il punto di svolta più netto si è registrato a febbraio, quando gli Stati Uniti si sono assicurati l'accesso per i propri soldati a quattro basi militari, in virtù di un accordo del 2014, l'Enhanced Defense Cooperation Agreement (Edca) pietra miliare dell'alleanza con Manila.
L'intesa sulle quattro basi nel nord dell'arcipelago, firmata durante la visita di Austin, ha il doppio scopo di puntare al contenimento delle mire di Pechino sul Mare Cinese Meridionale e al monitoraggio della situazione nello Stretto di Taiwan. Nel mare Cinese Meridionale, però, la Cina si è resa protagonista di manovre azzardate, e di atti denunciati come bullismo dalle Filippine.
La tensione è salita nuovamente alla fine di maggio, quando il Comando Usa per l'Indo-Pacifico ha diffuso un video di un incontro a distanza ravvicinata nei cieli del Mare Cinese Meridionale tra un aereo da ricognizione statunitense e un caccia cinese: la manovra dell'aereo da combattimento dell'Epl è stata così azzardata da fare tremare la cabina dell'aereo militare statunitense.
Il Pacifico
La disputa tra Cina e Stati Uniti si allarga al continente blu, dove la competizione tra le due grandi potenze si intreccia con le preoccupazioni degli Stati insulari per gli effetti del cambiamento climatico. Dopo avere sottratto nel 2019 a Taiwan le Isole Salomone come alleato diplomatico, Pechino ha stretto lo scorso anno un accordo sulla sicurezza con Honiara che ha irritato fortemente Washington, al punto che gli Usa hanno deciso di riaprire l'Ambasciata alle Salomone, trenta anni dopo la chiusura, per riaffermare la loro presenza nel Pacifico occidentale.
Nella concorrenza per l'influenza regionale gli Stati Uniti hanno invece segnato un punto importante il mese scorso, quando - nonostante il presidente Usa, Joe Biden, abbia dovuto rinunciare a essere presente di persona - hanno siglato a Port Moresby un accordo con la Papua Nuova Guinea di cooperazione bilaterale sulla Difesa, in base al quale gli Usa forniranno 45 milioni di dollari al Paese del Pacifico meridionale, e che prende in considerazione anche le aree del contrasto alla criminalità transnazionale e della mitigazione degli effetti della crisi climatica. La Cina cerca di espandere la propria influenza anche in territori storicamente legati agli Usa.
Pur senza risultati finora apprezzabili, le mosse di Pechino preoccupano Washington, che vuole ristabilire il proprio ruolo a livello regionale: per la prima volta, a settembre scorso, l'amministrazione guidata da Joe Biden ha tenuto il primo summit con gli Stati insulari del Pacifico con l'obiettivo implicito di contrastare l'influenza cinese.
Ucraina: il ruolo ambiguo di Pechino
La guerra in Ucraina è stata oggetto delle discussioni del mese scorso a Vienna tra il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, e l'alto diplomatico di Pechino, Wang Yi. Dettagli non sono emersi dai colloqui - circa otto ore spalmate su due giorni, secondo fonti della Casa Bianca - ma Cina e Stati Uniti, a detta di entrambi, hanno avuto conversazioni "schiette e costruttive". Le diffidenze sul piano in dodici punti per una soluzione politica della crisi, come la definisce Pechino, non mancano.
Gli sforzi diplomatici della Cina si sono concretizzati con la lunga missione dell'inviato speciale Li Hui in Ucraina, Unione Europea e Russia, senza generare entusiasmi in Occidente, che da Pechino vorrebbe un ruolo più attivo nel convincere il presidente russo, Vladimir Putin, a fermare la guerra. La Cina risponde, però, con un'intesa sempre più forte con Mosca, con cui condivide l'opposizione alle sanzioni "illegali". Cina e Russia, ha detto Xi durante la recente visita a Pechino del primo ministro russo, Mikhail Mishustin, devono "sostenersi fermamente a vicenda" sulle questioni di "interesse fondamentale" per entrambi.
L'intesa con Mosca comprende anche la sfera militare: Pechino e Mosca devono aumentare la cooperazione, hanno concordato nei giorni scorsi i capi di Stato maggiore dei due Paesi, Liu Zhenli e Valerij Gerasimov, confermando che la Russia sarà invitata a partecipare alle prossime esercitazioni militari organizzate dalla Cina, e denominate "Northern Joint 2023". La settimana scorsa, inoltre, Cina e Russia hanno annunciato un pattugliamento aereo strategico congiunto - il sesto dal 2019 - sopra il Mar del Giappone e il Mare Cinese Meridionale, dove si concentrano le maggiori rivendicazioni territoriali della Cina.
G7, Quad, Nato e le "piccole cerchie"
Ai rapporti sempre più stretti con la Russia fanno da contraltare le critiche sempre più forti al G7. In un lungo comunicato, la Cina ha espresso "forte insoddisfazione" e "ferma opposizione" contro il vertice di Hiroshima, che ha chiesto a Pechino di risolvere pacificamente la questione di Taiwan e ha espresso preoccupazione per la situazione nei mari della Cina Orientale e Meridionale.
"Incurante delle serie preoccupazioni della Cina, il G7 ha insistito nel manipolare le questioni relative alla Cina, diffamando e attaccando la Cina e interferendo grossolanamente negli affari interni della Cina", ha specificato il ministero degli Esteri cinese. La Cina incolpa costantemente le "piccole cerchie", come il G7 e il Quad, il gruppo che riunisce Stati Uniti, Giappone, Australia e India, di volere contrastare la Cina nell'Asia-Pacifico, facendo della regione uno scacchiere per giochi geopolitici. Nel mirino della Cina c'è anche l'Aukus, l'alleanza sui sottomarini tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia, e quelli che Pechino vede come tentativi di espansione della Nato.
Non è passata inosservata la conferma del Giappone di essere in trattative con l'Alleanza Atlantica per l'apertura di un ufficio di collegamento a Tokyo, il primo di questo tipo in Asia. "L'Asia-Pacifico è una terra di cooperazione e sviluppo pacifico", ha commentato la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, e "la spinta a est della Nato e l'interferenza nelle questioni dell'Asia-Pacifico danneggeranno la pace e la stabilita' regionali".
Le sanzioni alle aziende cinesi
La Cina accusa gli Stati Uniti di volere "contenere e reprimere" lo sviluppo della Cina, prendendo di mira la cooperazione economico-commerciale, e "i legittimi interessi di sviluppo" delle aziende cinesi. Per Pechino "non si puo' comunicare danneggiando gli interessi dell'altra parte", e la Cina sente i propri interessi danneggiati ogni volta che nuove aziende cinesi vengono inserite nella black list di Washington.
L'ultimo caso, dei giorni scorsi, riguarda 31 aziende cinesi sospettate di avere aiutato il processo di modernizzazione dell'Esercito Popolare di Liberazione, inserite nella lista per il controllo delle esportazioni del Dipartimento del Commercio Usa. Una mossa sgradita a Pechino e contro cui il ministero del Commercio ha gia' minacciato contromisure.
In un panorama dominato dalle diatribe non mancano le schiarite, anche se finora appaiono episodiche e legate a rapporti individuali. "Le economie di Cina e Stati Uniti sono profondamente integrate" e le due parti dovrebbero "rafforzare il dialogo economico e commerciale e la cooperazione", ha dichiarato con toni distensivi il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao, il 31 maggio scorso nell'incontro con il patron di Tesla, SpaceX e Twitter, Elon Musk, giunto a Pechino per la prima volta dalla fine delle restrizioni anti-pandemiche.
Ancora più chiaro il messaggio di fiducia del presidente cinese, Xi Jinping, pronunciato oggi al fondatore di Microsoft: "credo che il fondamento delle relazioni sino-americane risieda nelle persone e ripongo la mia speranza nel popolo americano".
La guerra dei chip
"Il mondo è uno e i Paesi dovrebbero cooperare". Con questo sottile avvertimento, a margine dello scorso vertice del G20 di Bali, in Indonesia, il presidente cinese, Xi Jinping, si era rivolto al primo ministro olandese, Mark Rutte, per scoraggiare - senza riuscirci - divieti all'export di componenti elettroniche su pressioni statunitensi.
La disputa sull'hi-tech, e in particolare sui chip, è al cuore della competizione tra Cina e Stati Uniti per la supremazia tecnologica: Pechino, a dicembre scorso, ha sporto reclamo al Wto (Organizzazione Mondiale del Commercio) per le restrizioni all'export di chip da parte degli Stati Uniti, che vogliono evitare che tecnologie chiave finiscano nelle mani di Pechino e che la Cina possa utilizzarle a scopo militare.
È la "guerra dei chip", fatta di restrizioni alle esportazioni di queste componenti, fondamentali per gli smartphone, i prodotti elettronici e attrezzature militari. Oltre agli Stati Uniti, anche i Paesi Bassi, su preoccupazioni di sicurezza nazionale, e più recentemente il Giappone, hanno avviato controlli all'export. Pur senza prendere direttamente di mira la Cina, il pericolo è quello di un utilizzo a scopo militare di questi prodotti. Per Pechino si tratta di una "politicizzazione delle questioni commerciali e tecnologiche" che danneggia la stabilita' delle catene di approvvigionamento globali, dietro la quale si celano gli Stati Uniti e le pressioni esercitate nei confronti degli alleati.