AGI - Quando si percorre la strada che porta verso il centro di Kahramanmaras si è portati a pensare di aver visto abbastanza case, palazzi, negozi distrutti. Cosa può esserci di più terribile di un panorama di tendopoli enormi, macerie e resti di un quotidiano che non c'è più che per decine di minuti scorre come una pellicola di guerra al fianco del finestrino? L'unico conforto per gli occhi è dato dalle montagne innevate che sovrastano come un velo candido, un teatro di disperazione e morte. Eppure basta fare poche decine di metri all'interno della città, tra fiancate di palazzi crollati, cumuli di macerie e nuvole di polvere alzati dalle ruspe, per capire che la distruzione vera è quella del centro.
A differenza del centro di Antiochia, qui a essere crollati sono per lo più palazzi molto grandi, che hanno lasciato ora a bordo strada enormi mucchi di macerie. Impossibile pensare che da sempre questa è la città del dondurma, il gelato turco che tanti turisti per le strade di Istanbul provano ad afferrare dalle palette di gelatai-giocolieri, che ne sfruttano la consistenza gommosa per mettere in scena una sorta di spettacolo, in cui il gelato compare e ricompare sul cono lasciando di stucco i passanti che scattano foto e video.
Sembra impossibile, ma questa tradizione è nata proprio in questa città, oggi devastata. Basta scendere dalla macchina che ci si ricorda del freddo gelido, che rende più difficile la vita degli sfollati, e ci si accorge di un vento tagliente, che porta con sè polvere che rende impossibile tenere gli occhi aperti e un odore acre, misto di fuochi alimentati con ciò che si trova e cadaveri. Per la prima volta indosso la mascherina per proteggermi le narici che hanno subito preso a bruciare nell'aria irrespirabile. Se Adiyaman rappresenta la distruzione e Antiochia l'apocalisse, Kahramanmaras è l'inferno.Sacchi neri vengono continuamente trasportati fuori cumuli di macerie da squadre di soccorso turche, spagnole e anche del Kirgizistan. Ai parenti in attesa tocca il triste rito del riconoscimento. Un momento che termina tra urla disperate, pianti e svenimenti che rendono indispensabile l'intervento dei sanitari.
La gente ha raccolto copie del Corano dalle case crollate e le ha messe bene in vista su cumuli di macerie, per permettere a chi voglia di recitare una preghiera per i tantissimi che il sisma ha portato via da questa città. Volontari distribuiscono zuppa di lenticchie, spezzatino, riso e acqua agli abitanti, a volontari, squadre di soccorso e anche giornalisti. Da mangiare e bere è impossibile trovare altro. Un segno di speranza sono dei bambini che giocano con le biglie in un parchetto, poco lontano delle bambine giocano con delle bambole riparandosi dalla polvere sollevata dalle macerie con degli ombrellini colorati. Ridono e giocano, indifferenti alla distruzione che regna tutt'intorno e all'aria irrespirabile.
Se il terremoto di grado 7.8 che ha cambiato per sempre la storia della Turchia lo scorso 6 febbraio si fosse limitato a colpire questa città parleremmo già di una tragedia enorme. La tragedia di una città devastata per la sfortuna di essere sorta a pochi chilometri dall'epicentro del disastro. Sono circa diecimila i morti di Kahramanmaras. Una città non nuova ai terremoti, in cui gli abitanti erano quasi abituati alle scosse telluriche, ma come racconta ad Agi un uomo di mezza età seduto in uno dei tanti gruppi familiari raccolti attorno a uno dei tanti fuochi di fortuna accesi per strada :"Scosse ne ho sempre sentite, sempre, ma questa volta è stato qualcosa di diverso. Che Allah non lo faccia vivere a nessuno. È stato terribile. Abbiamo perso 5 parenti stretti, amici tanti ma non voglio sapere quanti, mi rifiuto di contarli".
Ma la sua è la storia di tantissimi degli abitanti di questa città, accomunati da una tragedia immane e ora restii ad abbandonare i luoghi dove sono nati, anche perchè non saprebbero dove andare e le tende non bastano per tutti. Mentre Antiochia sembra una città fantasma qui molta gente ha deciso di sfidare il freddo e rimanere a bordo strada, al fianco delle proprie case distrutte, dormendo avvolti in coperte attorno a fuochi alimentati con ciò che si trova. Cala la sera, manca l'elettricità e le uniche luci rimangono quelle della pale meccaniche, mentre i fuochi si alzano a ondate a bordo strada in lunghi bidoni, alimentati con bottiglie di benzina che vengono distribuite insieme a cibo, the e acqua. La macchina scivola via, lasciandosi lentamente dietro un panorama infernale. Le narici bruciano, la gola è secca e la bocca impastata. Abbandono Kahramanmaras con la certezza che Kahramanmaras non mi abbandonerà mai più.