AGI - Incirli è un piccolo villaggio curdo nella provincia dell'Hatay che dista un'ora e mezza di macchina da Antiochia, uno dei centri più colpiti dal sisma abbattutosi sul sud est della Turchia e pochi minuti dal muro che segna il confine con il nord della Siria, altra area che il sisma non ha risparmiato.
Sulla strada per Incirli la distruzione dei grandi centri abitati lascia posto a un panorama agreste, greggi di capre, enormi cani da pastore, bambini che giocano per strada, oche che si muovono in gruppo a bordo strada, trattori che trasportano fieno.
Campi coltivati lasciano spazio a un terreno roccioso e accidentato quando la pianura diventa gradualmente collina. Basta alzare lo sguardo per vedere snodarsi poco lontano il muro che divide Siria e Turchia, voluto dal governo turco per arrestare il flusso di profughi in fuga dal conflitto. Incirli normalmente conta 120 abitanti, ma dopo il terremoto sono diventati 450.
"Qui è più sicuro e poi non ho più casa", spiega un membro della famiglia Ozkan, giunti qui da Reyhanli un centro di 20 mila abitanti devastato dal sisma a 40 minuti di distanza.
"Qui sono nato e qui vivono i miei genitori. Sono andato via per lavoro, ma ora ho pero la casa, grazie a dio stiamo tutti bene e siamo tornati al villaggio, molto meglio che andare in tenda o in albergo, le case sono basse e solide e si esce rapidamente in caso vi siano scosse", racconta ad Agi. Una casa dove vivevano due anziani è diventata rifugio sicuro per 28 persone. Tutte scampate al sisma.
Non è andata così per la famiglia Yildirim, radunati attorno a sedie di plastica nel cortile della casa, dove si accede dopo aver fiancheggiato un recinto con le pecore. Qui si piange la morte dell'unico maschio dei dieci figli, della coppia di anziani che è sempre rimasta a vivere qui.
Qui sono tornate otto della altre nove figlie, una era rimasta qui con il marito, le altre tutte con mariti e bambini della famiglia Yildirim e una casa dove c'erano 4 persone ora ne ospita 33.
"Qui è più sicuro, il terreno è roccioso, le case sono a un piano, aspettiamo una tenda per sistemarci meglio perché siamo tanti e poi il cibo non manca mai", racconta il fratello della vittima, anch'esso emigrato ad Antiochia per lavoro, anch'esso rimasto senza casa,
"Casa mia si è inclinata, sono saltato dal secondo piano, ma casa di mio fratello è andata distrutta, lo hanno ritrovato dopo 3 giorni". A pochi metri mi aspetta nel cortile la famiglia Dinler. Due enormi cani avvisano del mio arrivo, bambini di più o meno tutte le età giocano nel cortile.
"Siamo 4 generazioni, qui, normalmente siamo in 7 a vivere in questa casa" mi dice il nonno di 75 anni, già bisnonno, perché il più piccolo abitante della grande casa ora ha un anno e mezzo.
"Ma mio suocero è morto due mesi fa, aveva 97 anni, altrimenti saremmo 5 generazioni. Quanti nipoti ho? Ho perso il conto anche io, non finivano più di arrivare - sorride - Il terremoto è stato un disastro, ma per fortuna il terreno roccioso ci ha evitato danni. Ora siamo tutti qui, sono tornati tutti da Antiochia. Erano tutti partiti per lavoro, ora sono tutti tornati a casa dai genitori", racconta in un turco un po' stentato il capofamiglia, di madrelingua curda.
Con la storia di queste famiglie ci si trova dinanzi a un esempio di come la storia possa compiere un percorso inverso, imposto in questo caso dal terremoto. Tra le cause dei numerosi crolli nelle città vi è anche l'urbanizzazione sregolata seguita alla migrazione della gente dai villaggi verso i centri più grandi degli anni 80 e 90, in cerca di lavoro.
Anni che hanno visto spopolarsi i piccoli villaggi, sopratutto al sud facendo crescere esponenzialmente la popolazione nelle città che aveva bisogno di case, spesso costruite male.
Il sisma ha creato l'effetto inverso, villaggi di montagna dove le scosse hanno colpito con minore intensità grazie al terreno roccioso e all'altitudine sono tornati a popolarsi di vita e bambini, nati altrove, offrendo un rifugio sicuro a molte famiglie.