AGI - Il dramma che ha colpito la Turchia dopo il terremoto dello scorso 6 febbraio ha fatto il giro del mondo attraverso le immagini di 10 grandi città, alcune delle quali rase al suolo dal sisma. Un disastro che però, oltre ai grandi centri, non ha risparmiato i tantissimi piccoli villaggi che punteggiano la mappa della vastissima area dove il sisma ha seminato morte e distruzione.
Villaggi spesso lontani tra loro, collegati da strade sterrate o di montagna, dove la notte la temperatura scende abbondantemente sotto lo zero. È la storia di Zey, un insediamento di circa 200 persone a pochi chilometri da Adiyaman, dove il sisma ha colpito senza pietà e fatto almeno 4 mila vittime facendo finire in secondo piano il dramma dei piccoli insediamenti. Zey è un villaggio che sopravvive con la coltivazione di tabacco e con la pastorizia. Grossi cani da pastore ‘scortano’ la macchina, mentre stalattiti di ghiaccio pendono dalle rocce a bordo strada. Siamo a quasi mille metri di altezza.
Qui i soccorsi non sono mai arrivati, qui incontriamo Ayse, di 70 anni, che ha perso il marito durante il sisma. “Dormivamo e a un certo punto ha iniziato a tremare tutto, mentre cercavamo di raggiungere la porta il muro è crollato. Mio marito Mehmet è morto, io sono rimasta per terra e ho chiesto ad Allah misericordia”, racconta la donna, originaria di Gaziantep, altra provincia colpita. “Non ho sentito i parenti, non so come stiano anche perché il cellulare è rimasto sotto le macerie. Tutto è rimasto sotto le macerie. Mi hanno tirato fuori 30 ragazzi del villaggio. Non ho più niente, ma andrò avanti. Ho la piccola pensione di mio marito, vivrò con quella. Sono qui da 38 anni e non me ne vado”.
Ayse ora vive in una tenda condivisa con altre persone che non hanno più casa o la troppa paura di tornare nelle proprie case. Qui la gente è abituata ad arrangiarsi e ha messo su una tenda per sopperire alla mancanza di aiuti, i ragazzi del villaggio hanno tirato fuori i feriti, molte case sono state distrutte. “Abbiamo chiamato la protezione civile, non è arrivato nessuno, ci hanno detto che l’emergenza principale è in città (ad Adiyaman ndr). Qui siamo abituati a fare da soli, nel villaggio ci conosciamo e ci diamo una mano tutti. Abbiano il cibo e abbiamo gli animali. Sappiamo che Adiyaman è distrutta e che tanta gente e’ morta, ma abbiamo bisogno di una tenda. Il nostro sindaco sta facendo di tutto perché qui la notte fa freddo. Crediamo nello stato, quando l’emergenza finirà ci aiuteranno altrimenti sarà davvero dura”, dice la donna mostrando la tenda.
Alcuni anziani dormono su materassi e tappeti, le donne non vogliono essere fotografate, pesanti coperte sono accatastate ordinatamente in attesa che l’ambiente si riempia nella notte. Tuttavia le lacrime tornano a scorrere quando indica il promontorio del piccolo cimitero dove il marito è stato sepolto. “Lui ha avuto un funerale degno, la mostra moschea è antica e il cimitero è proprio lì”. Appesantita inizia a camminare in una via stretta tra macerie e galline, reggendosi su un bastone fa strada verso il cimitero. Arriviamo alla tomba di Mehmet, la vista sulle montagne innevate è bellissima, il freddo è pungente e il cielo è terso. Ayse piange, prega e dice: “Guarda queste. Tutte tombe di morti per il terremoto, tutte!” Infocando le lapidi arrangiate attorno a quella del marito. Tornando passiamo davanti la casa distrutta.
“Se avessi un materasso dormirei ancora là. Se avessi le forze la ricostruirei da sola, taglierei le pietre ed ergerei i muri, ma non ce la faccio, ho bisogno di aiuto”, dice Ayse ricordando che il dramma di chi resta è enorme quanto il dramma di chi è stato portato via dal sisma.