AGI - Non è la rivoluzione che qualcuno si aspettava: la Commissione europea, per affrontare la sfida della competitività industriale nelle tecnologie pulite poste con prepotenza da Stati Uniti e Cina, mette sul tavolo un Piano industriale per il Green deal che essenzialmente si basa sull'allentamento delle regole sugli aiuti di Stato e sul dirottamento verso il Green di fondi già nei bilanci. Di risorse fresche, da destinare all'ambizioso impegno assunto da Bruxelles, c'è al momento solo una promessa.
Entro fine estate verrà istituito un fondo per la sovranità europea per finanziare i progetti d'interesse comunitario e le tecnologie dirompenti nel settore. Plaudono Germania e Francia (destinatari dei due terzi delle deroghe sugli aiuti di Stato finora adottate) e protestano gli Stati con meno margini fiscali che vorrebbero poter contare su fondi comuni nuovi. Critici anche i principali partiti che sostengono la maggioranza von der Leyen, Ppe e S&d: "Troppo poco e troppo tardi".
In estrema sintesi l'esecutivo europeo, non senza malumori interni, propone - tre la altre azioni - di facilitare i sussidi alle industrie "verdi", creare un fondo europeo per finanziarle, accelerare i permessi e ridurre la burocrazia, migliorare l'accesso alle principali materie prime e firmare nuovi accordi commerciali. "Nei prossimi anni si deciderà la forma dell'economia a emissioni zero e dove sarà collocata, e vogliamo essere una parte importante di questo settore di cui abbiamo bisogno a livello globale", ha spiegato la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, presentando il Piano ai giornalisti.
Il mercato mondiale delle tecnologie pulite triplicherà il suo valore entro il 2030, fino a 600 miliardi di euro, e l'industria europea legata alle emissioni zero ha già mobilitato circa 100 miliardi di euro nel 2021, il doppio rispetto all'anno precedente, spiegano i tecnici della Commissione. A costringere però Bruxelles a intervenire è stata l'Ira, la legge americana contro l'inflazione, con i suoi quasi 370 miliardi di dollari di sussidi alle tecnologie pulite, e i massicci aiuti di Stato della Cina, che prevede d'investire nel settore 280 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni.
E proprio sui sussidi si concentra anche il piano europeo: le norme sugli aiuti di Stato saranno più flessibili fino al 2025 per facilitare ai governi la concessione di sovvenzioni, comprese le agevolazioni fiscali, agli investimenti in tecnologie verdi, progetti su rinnovabili o decarbonizzazione industriale, nonché consentire loro di utilizzare i fondi di Recovery per fornire questi aiuti.
L'allentamento - sempre temporaneo e mirato - è rivolto soprattutto ai settori più colpiti dalla legge statunitense (pannelli solari, batterie, turbine eoliche o pompe di calore) ma consentirà ai governi, a determinate condizioni, di fornire sussidi complementari per evitare che le aziende europee delocalizzino. Gli aiuti possono arrivare addirittura agli stessi importi offerti da Paesi terzi.
Per il medio termine Bruxelles sostiene la creazione di un "fondo di sovranità" con finanziamenti europei in modo che anche i Paesi con meno forza finanziaria possano sostenere le loro imprese e non scoppi una guerra di sussidi nella stessa Ue. Ma la Commissione non ha ancora deciso né l'importo né le modalità di finanziamento. Diversi Stati, guidati da Germania, Paesi Bassi e Svezia, hanno già detto no a un nuovo debito comune.
"Mentre si negozia questa soluzione strutturale - ha spiegato von der Leyen - l'Ue ha bisogno di un finanziamento ponte che verrebbe dagli aiuti di Stato e dal reindirizzamento da altri fondi comunitari verso l'industria verde, come il Repower Ue, il Fondo per l'innovazione o Invest Eu". Insomma "al momento dobbiamo usare ciò che abbiamo", ha ammesso.
A metà marzo invece la Commissione presenterà una nuova "legge sull'industria a zero emissioni" incentrata sull'aumento della produzione sul suolo europeo di prodotti strategici per la transizione climatica, come batterie, biocarburanti, sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio, energie rinnovabili o idrogeno. Fisserà obiettivi di produzione per il 2030 e semplificherà le regole, accelerando la concessione di autorizzazioni, creando uno sportello unico per gli investitori e sviluppando standard europei comuni per determinate tecnologie.
Del 'pacchetto' farà parte anche una legge sulle materie prime critiche che ne faciliti l'estrazione, la lavorazione e il riciclo nell'Ue per ridurre la dipendenza da Paesi terzi, in particolare dalla Cina, e con la firma di nuovi accordi commerciali per diversificare le fonti di approvvigionamento.