AGI - Dopo cinque ore e tre votazioni i Repubblicani non hanno ancora lo speaker della Camera, ma in compenso hanno molte ombre sull'unità del partito. Kevin McCarthy, candidato ufficiale indicato a novembre dopo la vittoria alle elezioni di Midterm, è stato bocciato per tre volte. Non era mai successo negli ultimi cento anni che lo speaker indicato dalla maggioranza non venisse eletto al primo turno. McCarthy non solo è stato bocciato, ma ha visto i voti contrari salire tra la seconda e la terza votazione: venti preziosi voti sono andati al fedelissimo trumpiano Jim Jordan, e i "ribelli" non sembrano intenzionati ad arrendersi.
La quarta votazione, inizialmente prevista in serata, non avrebbe cambiato la storia, cosiì è stata trovata una via d'uscita per togliere la Camera dall'imbarazzo internazionale: è stata presentata e approvata una mozione che rinvia a oggi, mercoledì, la ripresa delle votazioni. Nel frattempo ci sarà spazio per le trattative tra i Repubblicani: per loro sarà stata una lunga notte.
Una fronda annunciata
Tecnicamente McCarthy poteva contare sui 222 voti del partito, quattro più dei 218 sufficienti a ottenere la maggioranza sui 434 (su 435) rappresentanti presenti in aula. Il quorum poteva abbassarsi se qualcuno avesse rinunciato a votare, ma non è accaduto. Già alla vigilia era chiaro che McCarthy non avrebbe ottenuto il via libera: le previsioni parlavano di quattordici 'ribelli'. Alla conta sono stati di più. Al primo ballottaggio il candidato democratico Hukeem Jeffries ha ottenuto 212, tutti quelli Democratici, McCarthy si è fermato a 203, dieci sono andati a Andy Biggs, nove ad altri rappresentanti, tra cui Jordan. In totale: 19 voti, cinque più del previsto, non erano andati al candidato ufficiale dei Repubblicani.
Alla seconda votazione Jeffries ha confermato 212 voti, McCarthy 203, e i diciannove voti sono confluiti su Jordan. Alla terza, quella che avrebbe dovuto indicare segnali positivi per i Repubblicani, ha visto Jeffries ancora a 212, McCarthy scendere a 202 e Jordan salire a 20. Tutto da rifare.
Per i dem è una vittoria morale
McCarthy aveva detto ai giornalisti che non si sarebbe arreso: "Resteremo qui fino a che non vinceremo". Altri Repubblicani del suo entourage avevano seminato fiducia: "Alla fine i ribelli torneranno all'ovile, il mondo ci guarda". Ma nessuno è stato in grado di indicare come sarebbero usciti dalla situazione di stallo. Così alla fine la giornata ha consegnato i volti sorridenti di quelli che non avrebbero dovuto esserlo: l'ex speaker Nancy Pelosi, in abito rosa cipria, che ha dispensato saluti, abbracci, conquistando anche l'ovazione degli oltre duecento democratici della Camera, che le hanno dedicato un lungo applauso quando, alla prima votazione, chiamata a indicare il suo candidato, ha fatto il nome di Hukeem Jeffries, il giovane afroamericano che ne ha raccolto l'eredità.
E lo stesso Jeffries, votato alla guida della minoranza, è uscito vittorioso da questa giornata: per lui tutti i 212 voti dei Democratici presenti in aula, compreso lui stesso, grande segno di compattezza in contrasto con le defezioni dei conservatori. Molti americani hanno chiesto ai media se Jeffries potrebbe diventare, addirittura, il nuovo speaker, con l'aiuto di sei voti Repubblicani, ma è un'ipotesi improbabile, perché consegnerebbe il Grand Old Party a una figuraccia storica, e verrebbe visto come un tradimento dagli stessi elettori conservatori.
Oggi si torna in aula per la quarta votazione. Al momento, non sembra essere quella decisiva, ma la sospensione dei lavori apre la strada a trattative per uscire dallo stallo. I Repubblicani non possono permettersi un'altra giornata come questa, che invece doveva essere di celebrazione della vittoria alle elezioni di novembre.