AGI - In Iran gli scacchi non sono mai stati solo un gioco. Erano una 'questione di stato' ai tempi dell'antica Persia, dove molti sostengono che sono nati, e lo sono ancora oggi, banditi e osannati, lodati e crocifissi sull'altare della politica e della religione. Negli ultimi decenni, però, sono stati usati per prendere posizione, per protestare, per schierarsi contro le scelte imposte dalla Repubblica islamica o, dall'altra parte, per consacrare una tradizione, imporre una linea di condotta, soffocare ribellioni.
La storia di Sara Khademalsharieh (conosciuta anche come Sara Khadem), che ha deciso di sfidare le regole giocando i mondiali rapid e blitz in Kazakhistan senza il velo islamico, è solo l'ultimo episodio di un romanzo di cui è sempre più difficile immaginare una felice conclusione.
L’ultimo colpo di coda di una storia travagliata che rischia di far uscire l’Iran dalla stretta cerchia delle potenze mondiali degli scacchi. Perché come sta avvenendo da diverse settimane nelle strade di Teheran anche davanti a una scacchiera sono i giovanissimi a lottare contro le regole imposte dalla Repubblica islamica. I giocatori migliori, come la 25enne Khademalsharieh, si rendono protagonisti di gesti eclatanti, senza paura. E poi, per evitare conseguenze peggiori, sono costretti a partire approdando in nuovi lidi e abbracciando nuove bandiere e nuove patrie.
Sara Khademalsharieh, Alireza Firoujza, Atousa Pourkashiyan, Dorsa e Borna Derakhsan, Parham Maghsoodloo, Amin Tabatabaei. I nomi forse dicono poco, le loro storie molto di più. Tra di loro c'è chi ha già attraversato il punto di non ritorno, lasciando il Paese, e chi ha subito interrogatori, più o meno pesanti, per rendere conto di comportamenti che Teheran ha giudicato irrispettosi e pericolosi. Le colpe sono sempre le stesse: per le donne il rifiuto di seguire le regole rigide sull'abbigliamento da adottare, hijab in primis; per gli uomini l'impossibilità di affrontare (o l'obbligo di perdere senza competere) contro avversari nati in Israele, Paese nemico e non ufficialmente riconosciuto da Teheran.
Nel 1979, a seguito della rivoluzione islamica, gli scacchi furono messi al bando dall'allora ayatollah Khomeini. L'accusa era semplice: essere incompatibili con i dettami presenti all'interno del Corano che, più di tutti, croficiggeva il gioco d'azzardo. Un tempo, per muovere i pezzi, non si usava solo la genialità umana ma ci si affidava anche ai dadi. Una pratica laterale, ormai estinta, ma che agli occhi dei grandi religiosi conferiva agli scacchi un'aura sinistra, oscura, maligna. Una pratica che avrebbe distratto l'uomo dalle preghiere, dalla devozione religiosa spingendolo verso la perdizione data dal suo dipendere dalla fortuna, dal caso e quindi dal caos.
Tutto ciò non arrestò, ovviamente, la diffusione del gioco che percorse vie clandestine e si srotolò lungo strade occultate al regime. Questo capitolo durò fino al 1988 quando lo stesso Khomeini decise di riabilitare il gioco ascoltando le voci di chi giudicava gli scacchi come opera di ingegno, talento, e caparbietà umana. Uno sport guerresco, muscoloso, di grande tradizione. Quasi una scienza.
Negli anni successivi piazze, parchi e palazzi furono dedicati al gioco esprimendo tutta la schizofrenia di un Paese che non ha mai amato i compromessi, gli intermezzi, i grigi. O bianco, o nero, come per gli scacchi. Da allora le autorità religiose hanno sempre dibattuto sul tema, prendendo posizioni opposte e denunciando, più o meno invasivamente, la natura intriseca delle 64 caselle e dei 32 pezzi. Negli ultimi decenni la questione si è spostata sui singoli casi, sui singoli giocatori. Battaglie solitarie che sempre più si sono trasformate in un vero movimento, un'onda che procede ingrossandosi sempre di più.
Il coraggio di Alireza
Il caso più emblematico è quello di Alireza Firouzja, uno degli astri nascenti degli scacchi mondiali, più volte individuato da Magnus Carlsen, l'attuale campione del mondo, come possibile futuro dominatore del gioco. Firouzja, 19 anni, si è ribellato a Teheran quando ne aveva appena 16, partecipando ai mondiali rapid e blitz di Mosca del 2019 boicottati dalla federazione iraniana in seguito alla partecipazione dei giocatori israeliani. Il talento iraniano decise di partecipare ugualmente sotto le effigi della federazione internazionale (FIDE) scatenando un putiferio. Venne espulso dalla nazionale iraniana e fu costretto a trasferirsi a Parigi dopo la fine del torneo. Dal 2021 gioca regolarmente rappresentando la Francia, sua patria d'adozione.
Quella di Firouzja è una perdita incalcolabile per Teheran. Parliamo di un giocatore che ha raggiunto il titolo di Grande Maestro a 14 anni, è stato due volte campione iraniano ma, soprattutto, il giocatore più giovane di sempre ad aver superato quota 2800 punti Elo (rating che definisce la forza dei giocatori di scacchi). Attualmente è il numero 4 del mondo. Un vero fenomeno. E una frattura del genere, insanabile, è un precedente con cui Teheran sta iniziando a fare i conti ogni giorno.
Quello di Firouzja è un esempio fulgido, difficile da offuscare anche per Teheran e le sue 'fatwe' sportive. La stessa Sara Khademalsharieh, tre anni fa, dovette fare i conti con il regime per aver pubblicato un video in cui supportava apertamente la scelta di Firouzja anticipando, di fatto, quello che sarebbe accaduto in questi giorni. Una nuova frattura, di un altro Grande Maestro, stavolta femminile. Una nuova sfida alla dittatura imposta dalla Repubblica islamica.
Le altre battaglie
Un altro caso importante è quello rappresentato da Atousa Pourkashiyan, altra giocatrice iraniana dal curriculum di primissimo livello. Classe 1988, la scacchista nativa di Teheran ha vinto per ben sei volte il titolo nazionale del suo Paese, in un periodo compreso tra il 2007 e il 2014. Non solo. Nel 2000 ha vinto il campionato mondiale femminile under 12. Un'altra predestinata, insomma. Un'altra che ha deciso di cambiare Paese, oggi vive negli Stati Uniti, e bandiera, visto che rappresenta proprio le stelle e le strisce statunitensi.
A questa lista si aggiungono anche Dorsa e Borna Derakhshan, fratello e sorella. Dorsa, 24 anni, Grande Maestro Femminile e Maestro Internazionale, ha fatto lo stesso percorso di Pourkashiyan. Nel 2017 ha fatto le valigie e si è spostata dall'altra parte dell'oceano. Oggi gioca per gli Stati Uniti rinnegando la propria cittadinanza iraniana. Il motivo della sua partenza? Lo stesso di quello che sta coinvolgendo Sara Khademalsharieh.
Nel 2017, a Gibilterra, ha giocato senza indossare lo hijab obbligatorio e la federazione ha deciso di estrometterla visto che era un comportamento reiterato. Il fratello, Borna, allora 15enne, nello stesso torneo ha accettato di giocare contro l'israeliano Alexander Huzman, scatenando allo stess modo le reazioni di Teheran. Oggi ha 20 anni e rappresenta la federazione britannica, la nazione che ha scelto per incominciare una nuova vita.
Molti si chiedono ora cosa faranno Parham Maghsoodloo (22 anni) e Amin Tabatabaei (21 anni). Sono forse gli ultimi rappresentanti di una generazione che avrebbe portato grande lustro all'Iran anche se, per ora, continuano a rappresentare il loro Paese nei tornei internazionali. Eppure, anche loro, hanno avuto problemi con il regime.
Tre anni fa, al Sunway Sitges Chess Festival, in Spagna, hanno affrontato e sconfitto l'israeliano Ido Gorshtein, 17 anni, in un incontro blitz. Il governo iraniano andò su tutte le furie costringendo i due a un interrogatorio serrato affinché spiegassero le loro azioni. Maghsoodloo e Tabatabaei se la cavarono sostenendo di non essere a conoscenza del fatto che Gorshtein fosse israeliano. Una difesa difficile da sostenere per molti ma che venne ritenuta valida in quanto surrogata dalla mancanza delle usuali bandierine presenti accanto ai nomi dei giocatori. Un errore tecnico che ha evitato guai peggiori.
Intanto in Iran le proteste non si fermano, così come gli scontri, i feriti e i morti. Ragazzi e ragazze lottano per costruire un futuro diverso e per non essere costretti, come tanti scacchisti, ad abbandonare la loro casa. La partita è in corso e l'unica cosa certa è che sembra impossibile che si possa concludere con una patta. Anche grazie alle azioni, eversive e coraggiose, dei giovani scacchisti iraniani in giro per il mondo, capaci di attirare l'attenzione dei media e aiutare così la lotta, senza quartiere, dei loro coetanei.