AGI - Le parole del procuratore generale dell'Iran sulla "chiusura" della famigerata polizia della morale non hanno trovato ancora conferma da parte delle autorità competenti. Diffuse dall'agenzia Isna e rilanciate da diversi media internazionali, le dichiarazioni di Mohamad Jafar Montazeri da Qom hanno fatto il giro del mondo, lasciando pensare a un gesto di distensione verso il movimento di protesta, che da quasi tre mesi chiede maggiori libertà dopo la morte - proprio in custodia della polizia morale, lo scorso 16 settembre - della giovane Mahsa Amini, accusata di non indossare correttamente il velo obbligatorio.
Non è, però, la magistratura ma il ministero dell'Interno ad avere la competenza di una tale decisione e dal governo, al momento, non è ancora arrivata alcuna conferma ufficiale. Anche i media ufficiali iraniani hanno preso le distanze dalla notizia. In un incontro pubblico, a Montazeri è stato chiesto perché, da settembre, non si vedessero più in giro le pattuglie di quella che in farsi si chiama 'Gasht-e Ershad'.
"La polizia morale non ha nulla a che fare con la magistratura. È stata abolita dagli stessi che l'hanno istituita", ha risposto il procuratore generale, assicurando che "naturalmente, la magistratura continuerà a monitorare il comportamento della societa'".
Le parole di Montazeri - che aveva anche annunciato, senza troppi dettagli, che Parlamento e Consiglio di sicurezza stanno discutendo la questione dell'hijab obbligatorio - vanno prese con prudenza: a molti analisti, come lo scrittore ed esperto di Medio Oriente Arash Azizi, sono parse "nella migliore delle ipotesi quanto meno poco chiare".
La Gasht-e Ershad risponde, infatti, al ministero dell'Interno, che non ha ancora commentato ufficialmente la notizia. "Non ci sono conferme sul fatto che le attività della polizia incaricata di garantire la 'sicurezza morale' nella società siano effettivamente terminate", ha riferito l'emittente al Jazeera.
"Nessun funzionario della Repubblica islamica ha detto che la polizia morale è stata chiusa", ha precisato la tv di Stato iraniana in lingua araba Al-Alam, citata da Cnn. Sui social in farsi, intanto, la notizia è stata accolta con scetticismo: sia l'obbligo del velo, uno dei pilastri su cui si fonda la Repubblica islamica, sia i controlli sui comportamenti sociali per ora rimangano in vigore.
Intanto, da lunedì i manifestanti hanno convocato tre giorni di scioperi mentre si aggrava il bilancio della repressione messa in atto dalle autorità: secondo gruppi per i diritti umani si è arrivati ad almeno 470 morti di cui 64 minorenni.
Dopo il 1979, i 'Comitati rivoluzionari islamici' sotto le Guardie della Rivoluzione - l'esercito ideologico della Repubblica islamica - hanno istituito pattuglie per far rispettare il codice di abbigliamento e la "morale" nella Repubblica islamica.
La polizia morale è stata creata dal Consiglio supremo della Rivoluzione culturale sotto il presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad (2005-2013), per "diffondere la cultura della decenza e dell'hijab".
L'obiettivo era far rispettare il rigoroso codice di abbigliamento che impone a tutte le donne - iraniane e straniere, musulmane o no - non solo di coprire il capo col velo, ma anche di non indossare pantaloni attillati o scoprire le gambe. Chi viola il codice rischia l'arresto. Sotto la presidenza di Hassan Rohani, l'applicazione e i controlli del codice di abbigliamento erano stati allentati ma con l'arrivo al potere dell'ultraconservatore Ebrahim Raisi, la 'Gasht-e Ershad' e' tornata ad agire con durezza.