AGI - “Nulla di ciò che Musk ha fatto e disfatto nelle ultime settimane – a partire dai licenziamenti – desta tanta preoccupazione quanto la sua decisione di ripristinare improvvisamente l'account dell'ex presidente Donald Trump”, scrive il New York Times.
“Una decisione incomprensibile”, chiosa il quotidiano, anche perché il ritorno di Trump sul social media “significherebbe un'accresciuta diffusione sia della disinformazione che della proliferazione di discorsi dispregiativi, l'ulteriore diffusione dell'incitamento all'odio e l’erosione delle norme e delle istituzioni democratiche” oltre al rischio di “aumentare le probabilità di violenza politica”. Un mix esplosivo, secondo il Times.
Tuttavia, annota il quotidiano, per capire perché il possibile ritorno di Trump su Twitter sia così pericoloso basta dare un’occhiata “alla somiglianza strutturale tra la piattaforma Twitter e il contenuto della retorica di Trump”.
E aggiunge: “Come tutte le forme di comunicazione, le caratteristiche distintive di Twitter creano pregiudizi strutturali intrinseci” in quanto la piattaforma è adatta per comunicare messaggi semplici in modo ampio e rapido. Ma “i tre pregiudizi strutturali principali di Twitter - semplicità, inciviltà e impulsività - lo rendono una piattaforma scadente per impegnarsi in discussioni ponderate e sostenute su questioni serie legate all'interesse pubblico”, dovuti essenzialmente alla “rigida limitazione di 280 caratteri” del social.
L’estensore della riflessione, Brian L. Ott, professore di comunicazione alla Missouri State University e coautore di "The Twitter Presidency: Donald J. Trump and the Politics of White Rage", sottolinea che “le piattaforme dei social media puntano alla divisione e al dogmatismo. La struttura alla base di queste piattaforme generalmente invita e incoraggia gli utenti a cercare persone che la pensano allo stesso modo che, a loro volta, si convincono ancora di più della ‘correttezza’ delle proprie opinioni” e “dato che gran parte delle nostre notizie e informazioni viene filtrata attraverso i social media, gran parte di ciò a cui siamo esposti conferma semplicemente ciò che già pensiamo”.
Secondo Ott “le piattaforme di social media sono particolarmente abili nel mobilitare le emozioni, in particolare quelle negative” e si chiede: “Quando è stata l'ultima volta che avete incontrato un centrista arrabbiato e inflessibile che ha chiesto in modo aggressivo di vedere le cose da diversi punti di vista? Mai. Fondamentalmente, i social media ci radicalizzano e ci preparano a essere intolleranti verso gli altri i cui atteggiamenti, opinioni e punti di vista differiscono dai nostri”.
Pertanto, è la conclusione del professore, poiché “una delle premesse fondamentali di chi studia la retorica è che il discorso rivela sempre le intenzioni”, il discorso di Trump dell’ex presidente dal 2020 “suggerisce costantemente che è motivato da una sola cosa: il desiderio di vendetta”. Ovvero, “vuole punire tutti coloro che secondo lui gli hanno fatto un torto o non abbia mostrato fedeltà illimitata”.
Quindi per Trump, “il desiderio di vendetta ha coinvolto a lungo la violenza simbolica sotto forma di discorso che umilia in modo aggressivo gli altri. Tali discorsi rischiano di scatenare violenza materiale” proprio perché “Twitter e Trump rappresentano una pericolosa fusione di forma e contenuto”, chiosa il professor Ott.