AGI - Avrebbe certamente evitato di partire per il G20 di Bali il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, salito sul volo di stato appena due ore dopo il tremendo attentato che ha colpito nel cuore di Istanbul uccidendo sei persone e ferendone decine. Avrebbe evitato Erdogan, anche perché l'ultimo attentato su suolo turco era datato alle prime ore del 1 gennaio 2017 e aver riportato la sicurezza in Turchia è da sempre un suo cavallo di battaglia.
Inoltre la bomba ha messo fine a una stagione turistica record che stava portando ossigeno alla disastrata economia turca e stabilità alla svalutata moneta locale, principali ostacoli per il leader turco verso le elezioni previste tra 7 mesi. Non si trattava però di un viaggio a cui Erdogan si è potuto sottrarre, così dopo aver convocato una conferenza stampa straordinaria in aeroporto per aggiornare sul bilancio dell'attentato e fornire i primi particolari ("una donna ha avuto un ruolo"), al leader turco non è rimasto nient'altro da fare che dare istruzioni ai suoi, delegare i propri poteri al suo vice, Fuat Oktay, e partire per l'Indonesia.
Delle prime ore della missione G20 di Erdogan si sa solo che il leader turco ha partecipato al protocollo del vertice e incontrato il presidente indonesiano Joko Vidodo. Probabile che la mente del presidente turco fosse altrove. Nelle stesse ore infatti la donna autrice dell'attentato veniva arrestata insieme ad altre 46 persone (ora 50 ndr). Sempre nella mattinata di lunedì il ministro degli Interni Suleyman Soylu faceva le veci di Erdogan rispedendo al mittente le condoglianze giunte dall'ambasciata americana in Turchia e lanciava un chiaro segnale a Usa e Grecia.
"Basta finanziare i terroristi (messaggio agli Usa ndr). Se non la avessimo arrestata oggi l'attentatrice sarebbe fuggita in Grecia", ha detto Soylu riferendosi a Usa e Grecia, due Paesi con cui le polemiche negli ultimi anni non sono mai mancate. Il colpo di scena è però arrivato nel pomeriggio, quando dalla capitale turca Ankara è trapelata la notizia di un incontro tra i capi dei servizi segreti di Usa e Russia.
Il direttore della CIA, William Burns ha incontrato il proprio omologo russo Sergey Narishkin che, come specificato da entrambe le parti, non costituisce una prova di negoziato, ma nasce con una motivazione specifica: mettere Mosca in guardia dal rischio dell’escalation nucleare e tentare di dare nuovo impulso al trattato di non proliferazione nucleare rimasto lettera morta nei mesi precedenti l’invasione
Ancora una volta è la Turchia di Erdogan a mettere a disposizione un tavolo cui hanno preso posto questa volta non Russia e Ucraina, ma i servizi segreti del più influente Paese della Nato e del Cremlino. Un faccia a faccia che solo ufficialmente non ha fatto parte dell'incontro che Erdogan ha avuto oggi con il presidente americano Joe Biden a margine del G20. Altrettanto probabile è che i due abbiano parlato dell'esplosione di domenica, è anzi da sottolineare che l'inquilino della Casa Bianca ha porto le condoglianze per l'attentato di Istanbul, dopo che ieri il ministro degli Interni aveva respinto al mittente le condoglianze giunte dagli Usa.
Biden ha poi definito "importante" il ruolo della Turchia nell'allargamento Nato, garantito che sosterrà la vendita ad Ankara dei 40 jet da guerra F16 su cui Erdogan spinge da mesi dopo le pressioni della Grecia sul Congresso Usa per negare gli aerei. Il presidente americano ha poi ringraziato Erdogan per il ruolo svolto nel mantenere in vita l'accordo per il corridoio del grano.
Ringraziamenti replicati dal presidente francese Emmanuel Macron, che ha sottolineato le ricadute positive sull'Europa dell'intesa che dal 22 luglio ad oggi ha permesso il passaggio di più di 10 milioni di tonnellate bloccato nei porti ucraini. Intesa che ha vacillato appena due settimane fa dopo che la Russia aveva annunciato la sospensione unilaterale della propria partecipazione, chiedendo nuove garanzie. Garanzie che Erdogan ha poi fornito, convincendo Mosca a rientrare nell'accordo.
Incontro di diverso peso, ma di innegabile importanza, è quello che Erdogan ha avuto poi con il principe saudita Mohamed Bin Salman (MBS). Un faccia a faccia su cui la presidenza turca ha mantenuto il più totale silenzio, ma che certifica la ripresa dei rapporti tra i due Paesi dopo la rottura scaturita dall'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul a ottobre 2018.
Decisivo per il riavvicinamento la fine del processo che vedeva imputati 26 funzionari sauditi, accusati dell'omicidio e dell'occultamento di cadavere del giornalista. I due si erano incontrati per la prima volta dopo quasi 5 anni lo scorso aprile. Un incontro al termine del quale fu emesso un comunicato con cui si annunciava una "nuova pagina" delle relazioni tra i due Paesi e una collaborazione in ambito economico.
Lo scorso maggio è trapelata la notizia secondo cui Turchia e Arabia Saudita stanno lavorando a un fondo di investimenti di 20 miliardi di dollari che i sauditi destinerebbero alla Turchia. Ossigeno per l'economia turca, alle prese con l'inflazione ormai superiore all'85% e una svalutazione che in un anno è costata il 50% del valore della moneta. Due situazioni che Erdogan è costretto a gestire anche perché con l'attentato di domenica scorsa i numeri potranno solo peggiorare.