AGI - Sull'esito delle elezioni anticipate in Danimarca potrebbe gravare il "Minkgate", lo scandalo dei milioni di visoni fatti abbattere due anni fa per il timore che fossero vettori di una forma mutata di Covid-19, fino al punto di minacciare l'efficacia dei vaccini.
Una decisione difficile quella varata nel novembre 2020 dal governo della premier Mette Frederiksen che, in piena pandemia, ordinò l'abbattimento dell'intero allevamento nazionale, 17 milioni di visoni dalla pregiata pelliccia, di cui la Danimarca era il primo esportatore mondiale.
Le critiche al governo
La decisione della leader socialdemocratica, in carica da giugno 2019, ha suscitato forti critiche quando è emerso che il governo non aveva alcuna base legale per imporre il provvedimento agli allevatori, trasformandosi in uno scandalo giuridico noto come "Minkgate", che ha fortemente indebolito la coalizione di governo tra forze di sinistra. Gli alleati dei Radicali di sinistra hanno chiesto alla premier la convocazione di elezioni anticipate, con sette mesi di anticipo sulla scadenza naturale della legislatura, nella primavera del 2023.
Successivamente, lo scorso settembre, la stessa richiesta è arrivata anche dai sei partiti di opposizione di destra e di estrema destra.
La chiamata alle urne rappresenta quindi l'atto finale di una vera e propria saga che ha sconvolto il Paese per lunghi mesi, mettendo in seria difficoltà il governo a Copenaghen e intaccando, solo in parte, la popolarità della premier 44enne Frederiksen.
Frederiksen ordinò l'abbattimento dei visoni seguendo il consiglio delle autorità sanitarie che avevano rilevato mutazioni passate all'uomo, le quali indebolivano la capacità di creare anticorpi. Un provvedimento che ha messo in crisi un settore economico di enorme peso.
Un business vecchio 90 anni
L'allevamento dei visoni risale a 90 anni fa e negli ultimi decenni ha dato vita a un business, spesso criticato per motivi etici, ma vivacissimo: l'export di pelli, soprattutto verso i mercati asiatici, fattura circa un miliardo di dollari all'anno, oltre 840 milioni di euro, una parte consistente delle esportazioni nazionali, e coinvolge un migliaio di imprese; circa 6 mila posti di lavoro sarebbero ora a rischio, secondo Kopenhagen Fur, la casa d'aste dove si svolge il mercato mondiale delle pelli.
Ma ciò che la premier Frederiksen non aveva previsto è stata la tempesta politica scoppiata subito dopo, quando si è saputo che il governo avrebbe potuto abbattere i visoni solo nelle fattorie dove era stato rilevato il contagio o che che si trovassero 7,8 chilometri dalla struttura in cui era stata rilevata un'anomalia.
Sebbene l'esecutivo abbia negoziato sul filo del rasoio una riforma con i suoi alleati di centrosinistra per dare legalità all'ordine e vietare l'allevamento di visoni fino al 2022, la pressione dei media, dell'opposizione e del Parlamento ha costretto il ministro dell'agricoltura, Mogens Jensen a dimettersi.
Jensen ha lasciato l'incarico lo stesso giorno in cui sono stati pubblicati i risultati di tre indagini interne, dalle quali risultava che era già stato avvertito a settembre 2020, quando il contagio tra i visoni aveva cominciato a crescere ed era anche stato informato dei problemi legali di un possibile sacrificio dell'intera popolazione. Frederiksen era stata informata del problema legale quattro giorni dopo l'annuncio, ma non ha comunque fermato l'ordine; ha informato il Parlamento solo per lettera e gli allevatori di visoni non hanno ricevuto alcuna notifica dalle autorità fino a dopo 48 ore.
Il ruolo della polizia
Il "Minkgate", così battezzato dalla stampa, si è aggrovigliato ancora di più quando si è saputo che la polizia, che ha agito a sostegno delle autorità, aveva esortato i propri agenti ad informare gli allevatori dell'obbligo di sacrificare i propri visoni anche se si sapeva già che l'ordine era illegale se non era stato rilevato alcun contagio o la struttura non era vicina a un'altra infetta.
"E' un fallimento di cui mi rammarico profondamente. Abbiamo molto lavoro e, purtroppo, a volte ci sono degli errori. Voglio scusarmi personalmente con gli allevatori che hanno ricevuto informazioni errate", è il 'mea culpa' del direttore della polizia nazionale, Thorkild Fogde. In segno di protesta, nel novembre 2020, per le vie di Copenaghen sfilarono centinaia di trattori, molti con le bandiera nazionale, come è accaduto anche nella seconda città danese, Aarhus.
Il caso ha poi voluto che in alcune località siano riemersi dal terreno le carcasse di visoni abbattuti, ad esempio in un centro di addestramento militare a Holsterbo. Il macabro fenomeno è stato causato dalla scarsa quantità di terra, in alcuni casi appena un metro, che è stata posta sopra le carcasse che, gonfiate dai gas della decomposizione, hanno fatto pressione sul terreno.
Successivamente, dietro pressioni della piazza, dei media e di parte della classe politica, 4 milioni di visoni abbattuti sono stati riesumati e cremati: il governo ha dovuto riconoscere che le fosse rappresentavano un rischio ambientale per le falde acquifere e i laghi vicini alla zona in cui sono stati sepolti.
Nel dicembre 2020 il Parlamento danese ha approvato un'apposita legge che ha vietato l'allevamento di visoni fino al 2022. Inoltre il provvedimento legislativo ha fornito, retroattivamente, la base legale per il loro controverso sterminio. Nel contempo l'allarme creato dalla mutazione SARS-CoV-2 è progressivamente scomparso, quando le autorità sanitarie hanno dichiarato che il ceppo "con grande probabilità" era stato debellato e hanno abolito addirittura le dure restrizioni messe in campo.
L'esecutivo ha poi accolto la richiesta di creare una commissione di inchiesta, ma non è bastato a placare il malcontento. A fine 2021 gli allevatori hanno fatto causa al governo per chiedere un ulteriore risarcimento.
I danni registrati dagli allevatori
Le associazioni degli allevatori hanno lamentato che a fine 2020 le autorità avevano versato 250 corone (circa 34 euro) per ogni animale abbattuto, ma che un anno dopo il prezzo delle pellicce di visone è salito a 323 corone (43 euro) l'una. E' stato quindi chiesto allo Stato il rimborso della differenza, per un totale di 600 milioni (12,1 milioni di euro).
I media inoltre hanno resuscitato il fantasma del "caso Tamil": nel 1993 il governo del conservatore Poul Schlutter dovette rassegnare le dimissioni per aver mentito al Parlamento sul ritardo delle autorità nel valutare le richieste di ricongiungimento familiare di diversi profughi dello Sri Lanka.
Dal voto di martedì potrebbe uscire vincitore il "blocco blu" dei partiti di destra, formato dal partito liberale, conservatore e da tre formazioni della destra nazionalista, dato al 49-50% contro 47-50% della coalizione di sinistra guidata dal partito Social-Democratico. I diretti rivali di Frederiksen, entrambi candidati alla successione, sono il conservatore Soren Pape Poulsen, nei sondaggi al 27,4%, e il liberale Jakob Ellemann-Jensen, al 23,3%.