AGI - Danimarca oggi alle urne (che chiudono alle ore 20) per le elezioni legislative anticipate indette dalla premier Mette Frederiksen alle prese con una crisi di governo all’interno della stessa coalizione di sinistra al potere da giugno 2019.
La chiamata al voto, con sette mesi di anticipo sulla scadenza naturale della legislatura, nella primavera del 2023, è stata la conseguenza diretta dello scandalo suscitato nel 2020 dall’abbattimento di 17 milioni di visoni, ovvero la totalità di tutti gli animali allevati nel Paese per l'industria della pellicceria, per la preoccupazione che potessero veicolare il virus del Covid-19. Ma dopo il sabotaggio, a fine settembre, del gasdotto sottomarino Nord Stream, avvenuto in parte nella zona economica esclusiva della Danimarca nel Mar Baltico, nel contesto della guerra alle porte tra Ucraina e Russia, è la questione della sicurezza a trovarsi al centro del dibattito politico danese.
In effetti, in virtù di un prossimo disimpegno militare e strategico degli Stati Uniti in Europa, anticipato da analisti blasonati, la Danimarca è chiamata ad assumere un maggiore impegno per la Difesa, soprattutto in ambito Nato, a maggior ragione per la sua posizione strategica. Anche se al momento non ci sono minacce militari dirette, ha detto Mette Frederiksen, “la Danimarca si trova in una zona di pericolo. La nuova politica della sicurezza non deve solo considerare le minacce evidenti, ma immaginare quelle meno prevedibili”, ha aggiunto.
Quindi sono tante le sfide a cui far fronte, cause e al tempo stesso amplificatori delle tensioni politiche all’interno della stessa coalizione al potere a Copenaghen: i Socialdemocratici di Frederiksen sono stati messi alle strette dai Radicali di sinistra oltre a registrare un calo di consensi nei confronti della sua coalizione di minoranza. Gli ultimi sondaggi in vista del voto anticipato evidenziano uno scarto di consensi molto limitato tra il “blocco rosso”, di sinistra, guidato dal partito Social Democratico, accreditato del 47-50% dei consensi, contro il 49-50% per il “blocco blu” dei partiti di destra, formato dal partito liberale, conservatore e da tre formazioni della destra nazionalista.
Di fatto in Danimarca nessun blocco ha la maggioranza in Parlamento, senza il sostegno dei deputati della Groenlandia e delle Isole Faroe. Se il duello tra i blocchi appare molto serrato, la 44enne Frederiksen rimane tuttavia saldamente in testa tra le personalità politiche favorite dei danesi, quindi dovrebbe essere riconfermata a capo del governo. Secondo una recente indagine, il 49,4% degli elettori la vuole per un secondo mandato, contro il 27,4% del conservatore Soren Pape Poulsen e il 23,3% del liberale Jakob Ellemann-Jensen, entrambi candidati alla sua successione. Deve la forte popolarità alla sua buona gestione globale della pandemia, al fatto che sia un simbolo della socialdemocrazia che attua, però, con una linea più rigorosa sulle migrazioni a nome della difesa dello Stato provvidenza.
Molto attiva e popolare sui social, Frederiksen è alle prese anche con una forte inflazione che accomuna tutti i Paesi europei - conseguenza del conflitto in Ucraina e del Covid-19 - oltre appunto allo scandalo domestico, quello dei visoni. In risposta al manifestarsi di una variante del virus negli animali dalla pregiata pelliccia - di cui la Danimarca era il primo esportatore mondiale - in piena pandemia la premier danese ha ordinato l’abbattimento dell'intero allevamento nazionale. La decisione ha suscitato forti critiche quando è emerso che il governo non aveva alcuna base legale per imporre il provvedimento agli allevatori. Lo scandalo giuridico ha reso la sua coalizione più fragile, spingendo gli alleati Radicali di sinistra a chiedere la convocazione di elezioni anticipate. A metà settembre, lo hanno fatto anche i sei partiti di opposizione di destra e di estrema destra.
Secondo gli analisti, il panorama politico danese è più frammentato che mai, con non meno di 13 partiti che potrebbero aggiudicarsi seggi parlamentari. L’elettorato danese risulta essere sempre più infedele: il 45% ha cambiato partito dalle ultime elezioni del 2019.
L’altra incognita è rappresentata dalla divisione dell’estrema destra, fino a poco fa dominata dal Partito del popolo danese (DF), che in passato ha sostenuto diversi governi. Due nuovi partiti nazionalisti concorrenti hanno visto la luce: i Nuovi Conservatori e i Democratici della Danimarca, il cui nome imita quello dell'estrema destra svedese – i Democratici di Svezia. Fondato dall’ex ministro per l’Immigrazione, Inger Stojberg, è dato al 9% dai sondaggi. Immigrazione, inflazione e caro bollette sono gli altri temi centrali del dibattito politico, in un Paese in cui l’affluenza alle urne è storicamente alta. Nel 2019, l'84,6% dei circa 4,2 milioni di elettori è andato a votare. La soglia dell'ingresso in Parlamento è del 2%.