AGI - I recenti scontri che hanno fatto nuovamente alzare la tensione in tra Armenia e Azerbaigian in Nagorno Karabakh mettono a serio rischio lo storico processo di normalizzazione avviato tra Turchia e Armenia. Già nei mesi scorsi le proteste andate in scena nella capitale Yerevan contro le 'eccessive concessioni' all'Azerbaigian, la richiesta di dimissioni del premier Nikol Pashinian avevano fatto tremare un riavvicinamento che già in passato è naufragato quando sembrava ormai che i due Paesi fossero vicini a stringersi la mano e lasciarsi alle spalle il passato.
I 50 militari azeri morti complicano non poco il cammino verso la normalizzazione con la Turchia, dove è tornato a farsi sentire lo slogan "Due Stati una nazione", con cui la quasi totalità dei cittadini turchi si rapporta all'Azerbaigian, considerato un Paese gemello, accomunato da lingua e cultura. Un tema di valenza trasversale, uno dei pochi in un Paese fortemente polarizzato che si avvicina a un cruciale appuntamento con le urne nel 2023. Un passo indietro sull'Azerbaigian significherebbe per il governo di Recep Tayyip Erdogan perdere consenso.
Il leader turco al momento ha taciuto, ha telefonato al presidente azero Ilham Aliyev ribadendo il sostegno di Ankara e al suo posto è intervenuto il consigliere e portavoce, Ibrahim Kalin, che ha invitato l'Armenia ad "abbandonare l'approccio aggressivo e provocatorio mentre i negoziati sono in corso". "Pace e stabilità possono essere raggiunte solo attraverso l'integrità territoriale dell'Azerbaigian", ha detto Kalin, intendendo che l'integrità territoriale azera passa necessariamente attraverso il riconoscimento del Nagorno Karabakh come parte dell'Azerbaigian.
"La Turchia continuerà a sostenere l'Azerbaigian nelle proprie giuste rivendicazioni", ha dichiarato il ministro della Difesa Hulusi Akar, mentre i droni turchi TB2 colpivano obiettivi armeni nell'area contesa. Concetti ribaditi dal ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che ha accusato l'Armenia di aver devastato e minato i territori abbandonati, riaffermato che la Turchia "è e sarà al fianco di Baku" e che è "chiaro" al mondo e all'Armenia che il processo di normalizzazione "non puo' andare avanti a prescindere dal Nagorno Karabakh". In questo momento il Nagorno Karabakh rappresenta il vero nodo irrisolto nella disputa tra Yerevan e Ankara forse piu' del mancato riconoscimento del genocidio armeno da parte della Turchia.
La situazione rimane comunque complicata dal malcontento interno all'Armenia e dalla pressione delle opposizioni sul premier e sul suo traballante governo. Dall'altro lato c'è l'intransigenza turca sul Nagorno Karabakh. Gli scontri degli ultimi giorni rappresentano il picco della tensione, iniziata a salire da quando l'accordo siglato a Mosca il 10 novembre 2020 ha posto fine alla guerra in Nagorno Karabakh sancendo una sostanziale vittoria dell'Azerbaigian a scapito dell'Armenia.
Sconfitta sul campo e spinta da Mosca ad accettare le condizioni del trattato di pace e abbandonare territori occupati per 30 anni. Sembrava la fine di un conflitto iniziato nel 1991 e riesploso a ottobre 2020, quando per 44 giorni gli eserciti dei due Paesi si sono dati battaglia e gli uomini di Baku, aiutati dai droni turchi, hanno ripreso il controllo di diverse città e circa 300 villaggi rimasti sotto occupazione.
Erdogan, in difficoltà dinanzi al proprio elettorato a causa della peggiore crisi economica degli ultimi 20 anni ha avviato un processo di riavvicinamento e normalizzazione con diversi Paesi con cui non la Turchia non ha intrattenuto relazioni negli ultimi anni. Riavvicinarsi all'Armenia, processo avviato ma a rischio piu' che mai, non porta i petrodollari di Arabia Saudita ed Emirati, nè il gas di Israele, ma segnerebbe una svolta per l'immagine della Turchia a livello internazionale e metterebbe la parola fine ad uno dei temi che ha sistematicamente creato attriti e alimentato polemiche con alleati importanti come Stati Uniti, Francia e Germania.