AGI - Il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, sancito dalla presa di Kabul di un anno fa, ha fatto sorgere dubbi e paure per la sicurezza globale e una possibile nuova ascesa del terrorismo di stampo islamista.
L'invasione Usa fu motivata e giustificata dal fatto che, all'indomani dell'11 settembre 2001 l'Afghanistan venne identificato come la base di al-Qaeda, rifugio sicuro per il terrorismo internazionale.
Sebbene in questo primo anno al governo i talebani abbiano fornito ampie rassicurazioni sulla lotta al terrorismo interno contro l'emergente Isis-Khorasan (Isis-K) e siano fin troppo impegnati a gestire la disastrosa situazione del Paese piuttosto che pensare a organizzare attacchi oltre confine, ha suscitato clamore e imbarazzo (nel governo talebano) la recente morte di Ayman al Zawahiri, ideologo di al-Qaeda ucciso da un drone americano nel centro di Kabul.
Il braccio destro e medico personale di Osama Bin Laden, figura chiave negli attentati dell'11 settembre, viveva nel centro di Kabul e i talebani non potevano non sapere. C'è da chiedersi se la presenza dell'ideologo di bin Laden sul suolo afgano vada intesa come una concessione dei talebani a un vecchio amico con la salute precaria o vi sia dietro la precisa volontà di sostenere i piani di al-Qaeda, o quel che ne rimane.
La morte di Al Zawahiri ci dice che gli Usa hanno dimostrato di poter colpire anche dove non sono presenti con le truppe, ma cosa ci dice della lotta al terrorismo promessa dai talebani? Il medico egiziano ispiratore di bin Laden è stato colpito in un quartiere di Kabul che prima del ritorno al potere dei talebani era riservato ad alti funzionari del governo di Hamid Karzai. La casa dove Al Zawahiri viveva appartiene ora al clan di Sirajuddin Hakkani, ministro degli Interni in pectore e capo del clan Hakkani, la fazione più intransigente del governo fondato un anno fa.
Padrona delle aree di confine con il Pakistan, la fazione degli Hakkani non ha mai smesso di combattere gli americani e non ha mai abbandonato il legame con al-Qaeda, permettendo all'organizzazione di mantenere campi di addestramento nei territori sotto il proprio controllo almeno fino alla morte di Osama bin Laden. Negli ultimi anni la differenza tra miliziani di al-Qaeda e gli uomini di Hakkani si è ridotta fino quasi a sparire e molti dei combattenti fedeli a bin Laden sono passati sotto il comando del potentissimo clan.
Della prossimità tra il clan Hakkani e al-Qaeda si sapeva già un anno fa, tuttavia la morte di Al Zawahiri aumenta i dubbi sull'effettivo raggio d'azione dell'organizzazione e la sua capacità di colpire e progettare attacchi, alla luce del fatto che il legame tra i talebani e al-Qqeda è tutt'altro che troncato. In questi primi 365 giorni al potere l'impegno dei talebani a contrastare il terrorismo di stampo islamista c'è effettivamente stato ed è stato diretto a colpire sopratutto Isis-K, organizzazione estremista che mira a spodestare i talebani e prendere il potere in Afghanistan per instaurare un califfato di ispirazione salafita sul modello di quanto accaduto a Raqqa.
I talebani hanno spesso sgominato cellule, colpito leader del gruppo, condotto operazioni in diverse province per sradicare Isis-K e reagito con decisione agli attentati sferrati dall'organizzazione. L'impegno c'è stato, sebbene sorga il dubbio che la determinazione dei talebani sia stata ispirata più dalla lotta per conservare il potere ed evitare defezioni dai propri ranghi che da una opposizione ideologica all'estremismo di Isis-K.
Sebbene Isis-K abbia ridotto i propri attacchi in quest'anno, solo sabato quattro persone, tre delle quali addetti alla sicurezza talebani, sono rimaste ferite in un attentato nel centro di Kabul realizzato con un esplosivo piazzato su una motocicletta. La stessa morte di Al Zawahiri non ha mancato di creare polemiche, accuse e tensioni all'interno della frangia più estremista dei talebani, i cui scontenti non è detto che non vadano a ingrossare le fila o stringere alleanze con Isis-K.
A complicare l'impegno dei talebani a mantenere il controllo di un Paese di per sé complicato è anche la storica presenza di foreign fighter della jihad, per i quali l'Afghanistan è una meta sin dai tempi dell'occupazione sovietica. Combattenti centroasiatici, uzbeki, tagiki, uiguri, insieme a tantissimi pakistani delle aree di confine e jihadisti provenienti da tutto il mondo arabo, per più di 40 anni hanno fatto tappa in un Paese nel cui territorio hanno sempre trovato un approdo sicuro.
Molti analisti concordano sul fatto che una nuova ondata di combattenti abbia raggiunto l'Afghanistan proprio dopo l'uscita di scena degli americani (coincisa con la fine del jihadismo verso la Siria). Un flusso in entrata a cui i talebani non si sono opposti, sia per i legami sviluppati negli ultimi 20 anni con organizzazioni che hanno combattuto la presenza degli americani, ma soprattutto per garantirsi finanziamenti sia dal Pakistan che dai Paesi del Golfo.
Abbandonare l'enorme network della jihad internazionale, in cui l'Afghanistan riveste una posizione storicamente centrale, sarebbe un tradimento che finirebbe con il costare tantissimo al disastrato governo afghano già solo in termini economici. I finanziamenti garantiti dal network jihadista rappresentano una delle principali fonti di sostegno economico e sono necessari per mantenere in vita una economia al collasso e tappare le voragini apertesi nella pubblica amministrazione con le sanzioni decise dalla comunità internazionale.
Allo stesso tempo va tenuto in conto che l'influenza dei comandanti talebani si basa sul numero di uomini a questi fedeli. Una fedeltà garantita dalla capacità di pagare i jihadisti, i cui 'stipendi' sono stati storicamente assicurati proprio dai capitali forniti dal network jihadista. Soldi fondamentali per garantire ai comandanti talebani la protezione e la forza politico militare di cui hanno vitale necessità.
Finanziamenti destinati a divenire ancora più importanti se i talebani cederanno alle pressioni della comunità internazionale e vieteranno la coltivazione dell'oppio, che rimane sempre la principale fonte di sostentamento dell'economia afghana. Non si tratta del solo motivo per cui appare estremamente improbabile che i talebani si oppongano alla presenza di foreign fighter.
Espellere i jihadisti verso i Paesi d'origine, arrestarne i membri, sgominarne i campi finirebbe inoltre con il creare spaccature e divisioni all'interno dello stesso movimento talebano. La Cina, che in Afghanistan punta a investire, ha chiesto più volte la consegna dei leader e combattenti uiguri che nel nord est del Paese combattono al fianco dei talebani.