AGI - "La religione non dimentica mai perché vuole essere eterna e non ha nulla a che fare con le nostre vili emozioni terrene", ma "niente, assolutamente niente giustifica una fatwa, una condanna a morte".
Così l'omaggio allo scrittore Salman Rushdie del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, la cui redazione nel 2015 era stata vittima di un attentato terroristico nel quale morirono dodici lavoratori della testata.
In quell'occasione i terroristi islamici avevano preso di mira i giornalisti francesi per delle vignette sul profeta Maometto considerate blasfeme da molti musulmani.
"Nel momento in cui scriviamo, non conosciamo le motivazioni dell'autore dell'accoltellamento a Salman Rushdie", si legge nell'editoriale.
"Si sarà ribellato al riscaldamento globale, al calo del potere d'acquisto o al divieto di annaffiare i vasi di fiori a causa dell'ondata di caldo?", hanno scherzato gli autori satirici dell'irriverente settimanale.
"Corriamo allora il rischio di dire che probabilmente si tratta di un credente, che è altrettanto probabilmente un musulmano e che ha commesso il suo atto ancor più probabilmente in nome della fatwa lanciata nel 1989 dall'ayatollah Khomeini contro Salman Rushdie".
"La stessa sera" dell'attentato "abbiamo sentito dei commentatori spiegare che la fatwa contro Salman Rushdie era tanto più rivoltante perché ciò che aveva scritto nel suo libro, I versetti satanici, non era assolutamente irrispettoso dell'islam. Ragionamento di grandissima perversione perché induce che, al contrario, osservazioni irrispettose nei confronti dell'islam giustificherebbero una fatwa e una punizione, anche se fatale", hanno aggiunto i giornalisti.
"Ebbene no, dobbiamo ripetere ancora e ancora che niente, assolutamente niente giustifica una fatwa, una condanna a morte", si sottolinea nell'editoriale. Charlie Hebdo ha poi definito "coloro che si arrogano il diritto di dire che qualcuno deve morire" delle "piccole guide spirituali mediocri, intellettualmente nulle e spesso culturalmente ignoranti".
"Dovremmo smettere di rispettare la parola 'rispetto' quando viene usata in modo improprio e per intimidire e giustificare l'esecuzione in nome di Dio. La parola 'rispetto' è diventata un'arma usata per minacciare e persino uccidere" e "è sistematicamente brandita dalle religioni". "Quando ispiri rispetto, non hai bisogno di emettere fatwa per essere credibile. Il rispetto non e' dovuto, si guadagna. Questa è la grande debolezza delle religioni. Più spesso ispirano il ridicolo che il rispetto", conclude l'editoriale.