AGI - Boris Johnson alla fine ha mollato. Il primo ministro britannico che si trovava con un governo falcidiato dalle dimissioni ha deciso di farsi da parte dopo che una cinquantina fra ministri e collaboratori ministeriali lo avevano abbandonato.
Le dimissioni saranno effettive forse già oggi, ma Johnson resterà in carica fino a quando non sarà scelto il nuovo leader Tory alla congresso del partito, a quanto pare già questa estate.
Dominic Cummings, l'ex braccio destro divenuto acerrimo nemico dopo esser stato cacciato da Downing Street, esulta per la notizia. "Dentro il bunker dicono che è finita. Cambio di regime", ha 'twittato' prontamente.
Anche Nadhim Zahawi, nominato cancelliere dello scacchiere martedì dopo le dimissioni di Rishi Sunak, ha chiesto via Twitter al premier Boris Johnson di dimettersi.
Superato ampiamente il record del 1932 quando si dimisero 11 ministri in un solo giorno. Il problema, per i conservatori, è ora trovare un nuovo leader. Nell'attesa BoJo resterà a Downing Street nonostante il caos in cui si trova il partito di maggioranza e, di conseguenza, il Paese. La crisi che stava scivolando dal piano politico a quello costituzionale potrebbe essersi fermata.
Sono così smentite quelle fonti interne al partito convinte che Johnson non si sarebbe dimesso neanche se il Comitato 1922 avesse cambiato le regole e avesse perso una conseguente nuova mozione di sfiducia, sbandierando il mandato che 14 milioni di persone gli hanno dato alle elezioni generali del 2020.
Per una democrazia parlamentare come quella britannica, l'attitudine di Johnson suggeriva connotazioni presidenziali più vicine al sistema statunitense. E il ministro dimissionario della Salute, Sajid Javid, aveva azzardato un paragone tra Johnson e Donald Trump per il suo rifiuto di prendere atto della situazione.
"Le istituzioni e l'integrità sono entrambi pilastri centrali che sostengono la nostra grande democrazia", ha detto Javid durante il suo durissimo discorso alla Camera, "a prescindere da quali siano le vostre idee politiche in quest'aula, io sono convinto che siamo tutti motivati dall'interesse nazionale e che il pubblico si aspetta che tutti noi mettiamo onestà e integrità in ciò che facciamo".
"Questa non è una questione astratta", ha concluso l'ex ministro, "abbiamo visto cosa succede alle grandi democrazie quando si esasperano le divisioni e non si creano ponti di dialogo. Non possiamo permettere che questo accada qui: dobbiamo unire il Paese come una sola nazione"