AGI - In Libano, dopo le elezioni di domenica, qualcosa è cambiato ma il rischio della paralisi è dietro l'angolo. Il blocco di Hezbollah e dei suoi alleati ha perso la maggioranza in Parlamento mentre le Forze libanesi di Samir Geagea, legate all'Arabia Saudita, hanno conquistato posizioni, superando il Movimento patriottico libero (Cpl) del presidente Michel Aoun, alleato del Partito di Dio.
Inoltre, a sorpresa. Quello che ne esce è un Parlamento fortemente polarizzato che faticherà a trovare un accordo sulla formazione del nuovo governo e sull'approvazione delle profonde riforme richieste da Paesi donatori e Fondo monetario internazionale per erogare gli ennesimi fondi, essenziali per la sopravvivenza.
In base ai dati definitivi annunciati dal ministro dell'Interno libanese, Bassam Mawlawi, Hezbollah mantiene i suoi 13 seggi, ma il blocco complessivamente si ferma a 58, perdendo la maggioranza di 71 che aveva conquistato nel 2018. Un risultato imputabile alla cattiva performance dei suoi alleati: Amal del presidente del Parlamento, lo sciita Nabih Berri, scende a 15 da 17, mentre il Cpl del cristiano maronita Aoun ne ottiene 17 e viene superato dalle Forze libanesi (19, + 5 rispetto alla precedente tornata elettorale), divenute il primo partito nel blocco cristiano.
Non sono andati meglio i candidati legati al presidente siriano, l'alawita Bashar al-Assad: storici volti come il druso Talal Arslan e il vice presidente del Parlamento Elie Ferzli non sono stati riconfermati, così come Faisal Karami, figlio dell'ex premier Omar. Significativo il successo delle forze della protesta che hanno segnato una svolta decisiva nonostante non si siano presentati uniti alla battaglia elettorale, né su un progetto né in una lista.
Hanno però fatto breccia nell'elettorato, e guadagnato 13 seggi: se si unissero in un blocco, diventerebbero il quarto gruppo in Parlamento e potrebbero avere una certa influenza per scardinare alcuni equilibri. Gli indipendenti segnano 16 deputati ma sotto questa definizione rientrano volti con differenti orientamenti politici. Quanto al campo sunnita, si è fatta molto sentire l'assenza del Movimento del Futuro del leader Saad Hariri: la sua decisione di non correre e il suo appello al boicottaggio è stato in parte ascoltato ed è risultato in una frammentazione della quale hanno fatto i conti tradizionali esponenti sunniti, come l'ex premier Fouad Siniora ma anche l'attuale capo di governo Najib Mikati.
In questa prospettiva di forte polarizzazione, con Hezbollah e alleati da una parte e dall'altra le Forze libanesi, legate a Riad, insieme ad altri oppositori dei filo-iraniani, il primo test sarà l'elezione del presidente del Parlamento - l'inamovibile Berri ricopre l'incarico dal 1992 - prima che si passi ai negoziati per indicare un premier.
Inoltre, a fine ottobre scade il mandato del presidente Aoun, e si attendono ripercussioni anche su quella partita, in un Paese allo stremo, segnato da blackout elettrici, con la valuta che ha perso il 95% del suo valore e tre quarti della popolazione ridotta in povertà.