AGI - Le proteste dell'ambasciatore russo a Washington, Anatoly Antonov, per le ultime dichiarazioni del portavoce del Pentagono, John Kirby, sono solo le più recenti rimostranze di Mosca per i toni sempre meno diplomatici utilizzati dalle autorità statunitensi all'indirizzo della Russia. Ieri Kirby ha parlato di "brutalità del tipo più freddo e depravato" a proposito dei "crimini di guerra" russi in Ucraina.
Un linguaggio aspro che è indicativo del livello di degrado dei rapporti tra le due potenze nucleari, un deterioramento che precede l'esplosione della crisi ucraina. Già il 17 marzo 2021 il presidente americano, Joe Biden, da poco insediatosi, aveva dato del "killer" al collega russo Vladimir Putin, il quale aveva risposto, con sarcasmo, che "serve un assassino per riconoscerne un altro".
Tre mesi dopo ci sarebbe stato il primo faccia a faccia tra i due leader a Ginevra, alla vigilia del quale Biden non solo non fece marcia indietro ma confermò il giudizio, affermando di "essere stato sincero". Più moderati furono invece, e sono ancora, gli accenti utilizzati dai capi delle due diplomazie, Antony Blinken e Serghei Lavrov.
Esattamente un anno dopo, lo scorso 17 marzo, a poche settimane dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina, Biden diede a Putin del "sanguinario dittatore" e del "semplice delinquente", accusandolo di "genocidio", un termine quest'ultimo ritenuto eccessivo anche dal presidente francese, Emmanuel Macron.
"Insulti personali" per il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, la cui replica fu velenosissima. "Avendo presente l'irritabilità, l'affaticamento e la smemoratezza del signor Biden, che finiscono per portare a esternazioni aggressive, preferiamo astenerci dal fare qualsiasi commento forte per non suscitare ulteriore aggressione", affermo' Peskov il giorno dopo, un'allusione alla tesi, diffusa tra i sostenitori dei Repubblicani, secondo cui l'attuale inquilino della Casa Bianca non sarebbe più nel pieno delle sue facoltà mentali.