AGI - Le autorità italiane sono venute meno al dovere di proteggere una donna e il figlio caduto vittima dalla violenza domestica del partner della madre. E' quanto ha stabilito la Corte europea per i diritti dell'uomo nella sentenza sul caso di Annalisa Landi. Quest'ultima "ha sostenuto che lo Stato italiano non abbia intrapreso le azioni necessarie per proteggere lei e i suoi due figli dalla violenza domestica inflitta dal suo convivente". La condotta dell'uomo "nel 2018 aveva portato all'omicidio del figlio di un anno e del tentato omicidio della stessa donna". La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto all'unanimità che vi sia stata una violazione dell'articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
In particolare, "le autorità erano rimaste passive di fronte al grave rischio di maltrattamento della signora Landi e la loro inerzia aveva consentito al partner della ricorrente di continuare a minacciarla, molestarla e aggredirla senza ostacoli e nell'impunità. Le autorità avrebbero dovuto valutare il rischio di nuove violenze e adottare misure adeguate", si legge nella decisione. "Le autorità - si legge ancora - non avevano reagito" ne' l'avevano fatto "immediatamente, come richiesto nei casi di violenza domestica". Ciononostante, la Corte non ha ritenuto che le carenze contestate potessero essere considerate un atteggiamento discriminatorio da parte delle autorità. Il Tribunale ha dunque concesso alla ricorrente un'equa compensazione di 32 mila euro.