AGI - Una "doppia strategia", in bilico tra l'Occidente e la Russia di Vladimir Putin. È il sottile filo rosso su cui si muoverà Viktor Orban, anche (e soprattutto dopo) la vittoria oltre le previsioni alle elezioni politiche ungheresi, dove il suo partito ha conquistato una maggioranza superiore ai due terzi del Parlamento, assicurando al premier magiaro un solido quinto mandato di governo.
O almeno, è questa la convinzione di Marton Gergely, caporedattore del principale settimanale ungherese, Hvg, e docente di storia e giornalismo ad Amburgo e a Budapest. La domanda che oggi viene posta nelle capitali occidentali, da Berlino a Roma passando da Washington, è come la vittoria "grande come la luna" (come l'ha definita lo stesso Orban) influirà sui rapporti tra Budapest e l'Ue (oltreché con la Nato), di cui è membro.
"Questo dipende soprattutto dallo spazio d'azione finanziario che rimane al premier, che ha speso moltissimi soldi nella campagna elettorale", ragiona Gergely. "Per lui non sarà facile, se intende profittare ancora dei finanziamenti europei: non ha ancora avuto i fondi del Recovery fund ed è tuttora in ballo la procedura per violazione dello stato di diritto, il che potrebbe indicare che si mostrerà relativamente moderato. Ma in effetti la linea del confronto con l'Ue dipenderà anche da quanto durerà e da come si svilupperà la guerra in Ucraina e da come, in questo contesto, si muoveranno nei prossimi mesi i suoi antichi alleati in Europa orientale. Soprattutto la Polonia: con i 'migliori amici' di Varsavia i rapporti ultimamente si sono fatti piuttosto gelidi a causa del conflitto e dei rapporti con Putin. Il quale oggi è stato tra i primi a congratularsi con Orban".
Appunto: tradizionalmente il premier ha mantenuto rapporti cordiali con il presidente russo. Cambieranno? "Probabilmente no", spiega l'osservatore ungherese. "Da una parte, dopo la diffusione dei primi risultati Orban non ha mancato di lanciare diversi contrattacchi, tra cui quelli indirizzato al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che l'aveva con durezza invitato a cambiare atteggiamento sul conflitto e nei rapporti con la Russia: un atteggiamento che ha offeso Orban e i suoi sostenitori. In pratica, io penso che il premier resterà nel campo di Putin, ma tentando al tempo stesso di continuare una 'doppia strategia' che gli permetta di non chiudere i canali verso l'Occidente".
Finora, però, la tattica di Viktor Orban ha pagato sotto il profilo elettorale, no? "Assolutamente. Il governo si è messo in scena come garante della pace e ha accusato l'opposizione di voler mandare l'Ungheria in guerra. Per settimane il Paese è stato tappezzato di manifesti che indicavano gli avversari come 'pericolosi', dicendo che con il voto si votava su guerra o pace, dove guerra voleva essere sinonimo di opposizione. Non è vero, ma gli elettori ci hanno creduto".
Per quanto riguarda il giudizio complessivo delle elezioni ungheresi, Marton Gergely taglia corto: "Sappiamo che non sono state elezioni eque. L'opposizione aveva pochissime occasioni di raggiungere la popolazione, gli elettori sono stati 'schermati' mediaticamente in modo da far passare solo la propaganda. Lo sfidante ha avuto solo cinque minuti per parlare in televisione, non c'è stato alcun dibattito con Orban".
Ma il problema non è stato affatto solo "mediatico", aggiunge il giornalista. "Quello che ha sorpreso è la dimensione della sconfitta dell'opposizione. La verità è che i partiti dell'alleanza non hanno saputo lavorare in armonia con i candidati. Lo sfidante, Peter Marki-Zay, si è ritrovato a condurre la campagna praticamente da solo: i partiti si sono tenuti in seconda linea, anche dal punto di vista finanziario".
L'altra scommessa perduta è quella della formazione di destra radicale Jobbik, unitasi all'alleanza di centrosinistra: "Con il risultato - afferma ancora Gergely - che il milione dei suoi elettori di quattro anni fa o sono rimasti a casa o hanno sostenuto l'altro partito di estrema destra".
In pratica, dice il caporedattore di Hvg, "non sappiamo più cosa sia l'opposizione in Ungheria, oltre che un cumulo di macerie. Lo stesso Marki-Zay probabilmente non entrerà in Parlamento e si limiterà a restare sindaco. I partiti della minoranza sono sei, ma non sappiamo su quale sostegno reale possano contare. Chi nel Paese ha immaginato la spallata a Orban probabilmente si allontanerà dalla politica".