AGI - Dall’Uzbekistan - che può 'osare' prendere le distanze da Mosca per non far naufragare le sue politiche di aperture - al Kazakistan - impegnato in un esercizio di equilibrismo, per non sconfessare un forte sponsor come la Russia e allo stesso tempo non essere trascinato nella fossa delle sanzioni - la guerra del Cremlino in Ucraina agita anche le ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, di per sé già soggette a volatilità in termini geopolitici e di sicurezza.
Anche se “ancora è troppo presto” per valutare come e se il conflitto in corso stia cambiando gli equilibri nella regione, sul lungo periodo vale la pena tenere sotto osservazione alcuni aspetti, spiega in un’intervista all’AGI Niccolò Pianciola, professore associato di Storia dell’Asia all’Università di Padova.
Il Kazakistan
“Lo Stato potenzialmente più influenzato è il Kazakistan, che sta cercando di mantenere una posizione difficile: non distanziarsi troppo da Mosca politicamente e diplomaticamente, ma abbastanza da non essere tirato giù nella fossa delle sanzioni e della recessione economica provocate dalla guerra”, fa notare Pianciola.
Il Kazakistan, inoltre, “è lo Stato con la più grande minoranza russa nella regione, poco meno del 20% della popolazione. Come sappiamo bene dal caso ucraino, essere russi o russofoni non vuole dire sostenere Vladimir Putin, ma vuol dire essere delle potenziali pedine nelle sue politiche espansionistiche. È comprensibile che i kazaki siano nervosi, come traspare dalle conversazioni sui social media e con conoscenti, anche perché le falsità di Putin sull’'artificialità dei confini' ucraini potrebbe applicarsi perfettamente anche al Kazakistan, dato che entrambi sono stati creati amministrativamente nello stesso periodo”.
Secondo Pianciola, tuttavia, “non vi è un rischio concreto di invasione nel medio periodo: quello che importa a Putin è l’egemonia, le annessioni violente non sono per forza di cose necessarie (la Bielorussia, per esempio, è stata assoggettata senza combattere).
Il Kazakistan è di fatto nella sfera d’influenza russa e non può aspirare, data la sua posizione geografica, a entrare a far parte di alleanze o blocchi che l'attuale classe dirigente russa percepisce come ostili”. Il Paese, dove le manifestazioni contro la guerra di Putin sono al momento tollerate, “è vicino a Mosca politicamente ed il regime di Tokayev è stato aiutato a rimanere in piedi dalla Russia durante la rivolta popolare del gennaio scorso”.
Le altre ex Repubbliche
Differente il caso dell’Uzbekistan: senza confini con la Federazione e con una minoranza russa molto più piccola, si è schierato apertamente contro l’operazione militare russa, chiedendo “la fine delle ostilità” e ribadendo il “riconoscimento dell'indipendenza, della sovranità e dell'integrità territoriale dell'Ucraina”.
Pianciola ricorda che “sotto l'attuale presidente Shavkat Mirziyoyev, Tashkent sta cercando di aprire la propria economia e attrarre investimenti; allinearsi troppo a una Russia sotto sanzioni e in via di maggiore isolamento nei rapporti internazionali e anche nei flussi di capitali metterebbe a grave rischio gli sforzi intrapresi in questa direzione”.
“Inoltre”, prosegue, “l'Uzbekistan non fa parte dell'Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, l'alleanza militare egemonizzata dalla Russia, di cui sono invece membri, tra gli Stati centroasiatici, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan”.
Gli aspetti economici
Le prime conseguenze della guerra in questa regione saranno di carattere economico. “Molte aziende con sede in Russia si sono già trasferite in Kazakistan, anche se per limitare il deflusso di capitali Mosca sta cercando di rendere questi trasferimenti più complicati”, fa notare Pianciola, “data la forte interdipendenza delle economie russa e centroasiatiche, la depressione in Russia, indotta da guerra e sanzioni, non mancherà di avere conseguenze in Asia Centrale”.
“In particolare, in Russia vivono e lavorano più di 4 milioni di cittadini di Stati centroasiatici: la metà dall'Uzbekistan, che ha la popolazione di gran lunga maggiore nella regione, i restanti quasi tutti da Tagikistan e Kirghizistan”, sottolinea il professore. “Soprattutto l'economia di questi ultimi due Paesi dipende in misura significativa dalle rimesse degli emigrati, la maggior parte dei quali lavora appunto in Russia".
"Per ora, non c'è un significativo flusso di ritorno, ma con il deteriorarsi della situazione economica in Russia, è probabile che questo avverrà, anche se è da vedere in quali dimensioni. Se a questo si somma il probabile aumento del costo degli alimenti, come il grano, che sono in parte significativa importati dalla Russia, la miscela potrebbe essere destabilizzante almeno per le economie più povere della regione, come il Tagikistan e il Kirghizistan”.
La Cina
La guerra non influirà, invece, sulla crescente influenza della Cina in Asia centrale: “Da circa 10 anni, la Repubblica popolare è diventata il primo partner commerciale della regione, soppiantando la Russia. Dato che la Cina è una potenza in crescita e la Russia è in declino, questo processo continuerà”, sostiene Pianciola.
“Sono, però, dinamiche che non dipendono dalla presa di distanza o meno da Mosca, dato che la Russia stessa inevitabilmente, dato il vicolo cieco diplomatico in cui questa guerra di aggressione l'ha messa, in futuro dipenderà di più dalla Cina economicamente e diplomaticamente”.
“Ci sono, però, tanti fattori imponderabili in gioco che potrebbero modificare questo scenario”, conclude, “ad esempio, in caso di collasso del regime di Putin a causa di guerra e sanzioni, cosa al momento improbabile ma pur sempre possibile, i rapporti tra gli Stati della regione, la Russia e la Cina cambierebbero radicalmente”.