AGI - Nata a Smichov, Praga, figlia di rifugiati cecoslovacchi fuggiti dagli invasori nazisti e dagli oppressori comunisti, era destino che Madeleine K. Albright, scomparsa a Washington all'età di 84 anni, vivesse di relazioni internazionali, in questo eterno ritorno tra Usa e Europa e il resto del mondo.
Perché il mondo era entrato con prepotenza nella sua vita da bambina. Nonostante il suo carattere discreto, a sfiorare la timidezza, Albright ha costruito una carriera di grande visibilità, prima come brillante analista degli affari internazionali, poi come consigliera della Casa Bianca e della sicurezza nazionale sotto la presidenza di Bill Clinton, per poi diventare ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite e prima donna segretario di Stato nella storia americana.
Quello era stato anche il momento di una grande rivelazione che riguardava il suo passato: aveva appreso dalla famiglia che lei, Madeleine Korbel, era ebrea ma i suoi genitori - per proteggerla durante la Seconda guerra mondiale - l'avevano convertita al cattolicesimo. Albright - dal nome del marito, Joseph Medill Patterson Albright, editore americano, sposato nel '59 - scoprì anche che ventisei membri della sua famiglia, inclusi i nonni, erano state vittime dell'Olocausto.
Con il padre, diplomatico, destinato a essere fucilato, per lei e la famiglia era cominciata presto un'odissea in giro per il mondo, che li aveva portati a lasciare prima la Cecoslovacchia nel '39, dopo l'invasione nazista, quando Madeleine aveva due anni, e poi una seconda volta quando il Partito comunista cecoslovacco aveva preso il potere con il sostegno di Mosca, nel 1948. Albright aveva undici anni.
Negli Stati Uniti era cominciata la sua nuova vita di studentessa brillante, poi sposata al ricco Albright, e rapida nello scalare tutte le posizioni all'interno del Partito democratico, diventando consigliera del presidente Jimmy Carter e di tre candidati alla Casa Bianca: il senatore Walter Mondale, il governatore Michael Dukakis e Clinton, con cui è entrata nella storia.
Da ambasciatrice all'Onu, Albright si scontrò più volte con l'allora segretario generale Boutros Boutros-Ghali, considerato incerto nel condurre operazioni di pace in Somalia, Ruanda e in Bosnia. Fu il veto dell'ambasciatrice a pregiudicare il secondo mandato di Boutros-Ghali al Palazzo di Vetro. Subito dopo, Clinton la nominò segretario di Stato, scelta che il Senato approvò con maggioranza bulgara: 99 voti a favore e zero contrari. Ma quello strappo all'Onu, e l'inazione americana, rimase una macchia.
Anni dopo l'ex ambasciatrice si scusò pubblicamente a nome degli Stati Uniti per non aver fermato in tempo i massacri in Ruanda. È un rimpianto, dice chi la conosce, che ha portato con sé fino all'ultimo, lei che aveva conosciuto fin da piccola il dramma della persecuzione.